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Intervista di Alessia Mocci a Claudio Alvigini: vi presentiamo il saggio L’inconcepibile esercizio
“L’attaccamento alla legge del padre Platone o del padre
Aristotele o del padre Tolomeo degli intellettuali di allora divenne sempre più
forte. Essi, infatti, temevano che, perdendo ciò in cui loro, la chiesa e
tutti, credevano, avrebbero perso il loro potere e quindi… anche la loro
privilegiata posizione di assistiti e beneficiati dal signore di turno. Forse
un pensiero sul perché ci sia voluto tanto tempo per scardinare il mondo di
Tolomeo, può condurci a qualche considerazione su Colombo e sulla scoperta
delle Americhe.” – Claudio Alvigini
Nel mese di luglio 2019 la casa editrice Macabor Editore
ha pubblicato, per la collana Noisette, il saggio “L’inconcepibile
esercizio” di Claudio Alvigini.
L’autore è nato in Svizzera ma ha vissuto a Palermo,
Pozzuoli e Roma. Giovanissimo ha iniziato la sua carriera aeronautica come
pilota civile dell’Alitalia e per svariati anni è stato comandante di Boeing
747.
L’adolescenza in Sicilia ha fortemente segnato le
prime prove letterarie di Claudio e si può constatare l’ininterrotta attività
che ha visto i primi frutti nel 1997 proprio con il saggio “L’inconcepibile
esercizio” edito nella rivista di psicoterapia e psichiatria “Il sogno della
farfalla”.
Successiva di un anno, nel 1998, è uscita la sua prima
silloge poetica “Visita in città” con Nuove Edizioni Romane, nel 2002 per
Edizioni La camera verde è uscita “La casa sol terrazzo”, nel 2005 “Ulàn
Batòr” per Edizioni Helicon, nel 2007 “Trafficante di colori” per
Edizioni LietoColle, nel 2012 “Il principio di non contraddizione” per
Manni Editore, e nel 2018 con Macabor Editore il romanzo “Il Capitano di
Bastur”.
A.M.: Salve Claudio, sono lieta di questo nuovo
incontro. Nel 2018, in una nostra intervista, hai parlato di un possibile
ritorno alla poesia ed invece ti ritrovo con una pubblicazione di un saggio
filosofico. “L’inconcepibile esercizio” è stato, infatti, pubblicato per la
prima volta nel 1997, perché hai deciso di riprendere in mano il lavoro?
Claudio Alvigini: Cara Alessia, intanto permettimi di
ricambiare, anch’io sono lieto di questo nuovo incontro, il ricordo delle tue
belle domande su “Il capitano di Bastur” edito da Macabor, è ancora vivissimo.
Mi chiedi perché ho deciso di riprendere in mano un lavoro di più di 20 anni
fa. Era uscito, infatti, nel 1997, nobilitato dall’accoglienza nelle belle
pagine della raffinata rivista di psicoterapia e psichiatria “Il sogno della
farfalla” che si avvaleva allora come oggi dell’elaborazione teorica di Massimo
Fagioli. Mi chiedi come venne quel titolo che, anche a distanza di anni,
continua a piacermi assai. Fu un giorno lontano, un decollo assai mattutino da
Addis Abeba; ricordo uno strato compatto e uniforme di nubi che si stendeva a
perdita d’occhio. Una smisurata coperta immobile e sospesa a poche decine di
metri da terra, pronta a posarvisi da un momento all’altro, non so se per
difenderla così dal freddo del mattino o per… soffocarla. C’era quel tanto di
visibilità orizzontale che consentiva il decollo. Iniziammo così la nostra
corsa sulla pista, con, sulla testa quel tappeto volante e senza fine di nubi
che schiacciava la terra… a terra. Ed ecco, un attimo dopo la rotazione, giusto
quel mezzo secondo necessario ad attraversare in accelerazione quello strato e
ci trovammo proiettati, sbucammo, irrompemmo in un delirio di luce e di sole. E
il nostro giorno (il nostro destino?) cambiò. Sulla terra sotto di noi e su
coloro che su di essa si aggiravano, rimase quella buia incombente coperta, la
loro giornata non cambiò, non so del loro destino… Pensai all’assurdità
dell’esercizio del volo e forse fu proprio allora che il termine
“inconcepibile” cominciò a farsi strada in me. All’Inconcepibile esercizio ero
e sono legatissimo; con esso, infatti, tentai di penetrare il centro nascosto,
il cuore segreto di quello che per anni e anni è stato il mio mestiere e che,
pensavo, “sentivo” non essere stato ancora sufficientemente e correttamente
“indagato”. Tieni presente poi che “L’inconcepibile” è stato anche il mio primo
lavoro pubblicato. Dunque amore grande. L’idea di scrivere sul volo l’avevo in
mente da tempo; la spinta definitiva mi venne da un fortuito colloquio con
Massimo Fagioli. Si parlò del volo mi chiese qualcosa. Poi buttò lì una di
quelle sue apparentemente semplici quanto geniali e definitive frasi… “Vedi”,
mi disse, “il problema del volo è che è disumano…” Testuale. Rimasi allo
stesso tempo fulminato e illuminato. Mi aveva suggerito la strada, avevo finalmente
in mano il bandolo della matassa.
Come dicevo, a mo’ di bella addormentata nel bosco,
l’Inconcepibile dormiva un sonno profondo e apparentemente definitivo; nessun
principe nei dintorni che potesse risvegliarlo. Accadde che, in occasione della
prima presentazione in Calabria de “Il Capitano di Bastur”, m’incontrai con
Bonifacio Vincenzi e gli consegnai una copia dei miei lavori precedenti,
poesie, racconti e questo lavoro su cui mi intervisti. Gli editori, si sa, sono
molto occupati e Bonifacio non fa eccezione alla regola, anzi! Poi un giorno,
per chissà quale fortunata combinazione astrale, ha avuto il tempo e la
curiosità di leggere il lavoro in questione (anche se, te lo posso confessare,
aspetto ancora che legga il resto…). Come lui stesso mi ha confessato, ne restò
molto colpito e mi disse subito che lo avrebbe pubblicato con entusiasmo nella
preziosa collana di saggi “Noisette” della Macabor. Dunque, cara Alessia io non
ho deciso nulla, ho solo risposto all’entusiasmo di Bonifacio. E, permettimi di
dirlo, è stato il modo migliore di rimettere mano a quel lavoro, il modo più
auspicabile, rispondere all’interesse sincero di qualcuno, all’entusiasmo…
giovanile di Bonifacio. (Dovendo lui, nello specifico del mio esempio,
rappresentare il principe che sveglia la bella addormentata dal suo invincibile
sonno, il termine “giovanile” mi sembra più che mai adatto… Lui mi perdonerà −
spero −). Sapevo che quel vecchio lavoro aveva una sua originalità, sapevo
quanto mi era costato e che anche in esso, come ne “Il Capitano di Bastur”
c’era una spremuta di vita ma, sinceramente, pensavo che nulla avrebbe potuto
interromper il suo sonno. Puoi dunque immaginare con che gioia abbia accettato
la proposta di Bonifacio; una conferma del mio rapporto con lui, un rapporto
che, fino ad ora e facendo i debiti scongiuri, confermo essere quello ideale
che ciascun autore sogna di avere con il proprio editore. Ho naturalmente
apportato diversi cambiamenti al testo, non tanto nella sua sostanza, che
rimane la stessa, quanto nella forma utilizzata: le note, che erano tantissime
e avevano la stessa dignità del testo e che, nella versione originale e grazie
alle dimensioni della rivista stavano a fondo pagina, sono entrate a far parte,
con piccoli accorgimenti, del testo. E qui, un grazie di cuore va all’amico
Pietro de Simoni per avermelo suggerito. Come un grazie sincero va all’amico
Carmelo D’Angelo per le infinite riletture cui lo ho sottoposto. È stata
un’emozione anche per me rileggerlo, ricordare le fatiche e le ricerche, le
varie biblioteche visitate e i miei stati d’animo di allora, in primis la
grande emozione che la scoperta della straordinaria storia del sarto di Ulm mi
procurò e che divenne lo snodo centrale di tutta la narrazione. La storia del
sarto impone all’Inconcepibile una decisa accelerazione, uno slancio
immaginifico e bello come immaginifico e bello fu il sogno di Albrecth Ludwig
Berblinger (questo era il nome del sarto), la sua “follia”: il volo umano!
A.M.: La dedica del saggio recita: “Vi sono stati
in tutti i tempi dei grandi ingegni/ che hanno avuto questa pazzia in capo”.
Di chi è la citazione?
Claudio Alvigini: La citazione è di Carlo Moretti, abate
e bibliotecario all’Ambrosiana di Milano cui era affidato il delicato incarico
di custodire e preservare i libri Sul volo di Leonardo da Vinci. Quelle sue
parole mi sembrarono il modo migliore di iniziare il lavoro. Siamo negli anni ‘80
del 1700. È stata una delle tante felici scoperte dei due e più anni di lavoro
per preparare L’inconcepibile e che mi hanno visto peregrinare tra le
biblioteche di mezza Italia e anche all’estero. Profittavo degli scali dei miei
voli e, se avevo un giorno libero o anche mezza giornata, spendevo quel tempo
nelle locali biblioteche cercando materiali per l’Inconcepibile. All’Ambrosiana
di Milano, fondata dal Borromeo nel 1607 e che è stata la prima biblioteca
pubblica italiana, ho fatto questa scoperta (sono passati molti anni e spero di
non sbagliarmi e di ricordare bene), è lì che si trova anche il Codice
Atlantico di Leonardo, meraviglia difficilissima da consultare e da me
utilizzata nell’Inconcepibile. Molte ricerche le ho fatte (e molte cose le ho
trovate) nella biblioteca nazionale di Roma, ma stranamente un libretto
Feltrinelli del 1991, Leonardo l’uomo e la natura, a cura di M. De Micheli, si
è rivelato preziosissimo, direi fondamentale.
Libretto che − intuizione non cosciente? − mi regalò allora mia figlia
Elda, del tutto ignara di ciò cui stavo lavorando.
A.M.: Come ben scrivi nel saggio, i tentativi umani
di volare sono documentati dal Medioevo ma scorrendo nella mitologia greca si
deve forzatamente passare da Dedalo e da suo figlio Icaro. Perché l’uomo, ribellandosi
al peso del corpo, guarda in alto e si ingegna per alzarsi in volo?
Claudio Alvigini: Forse perché l’uomo, come dice Fagioli,
appartiene a “… una specie animale che ha per sorte una fantasia, ha per
sorte un’intuizione e una conoscenza della propria soggettività precaria, della
propria corsa verso la morte…” Perché c’è sempre un oltre, Alessia, c’è
sempre un nuovo viaggio, nuovi rapporti, nuove conoscenze; si può sempre fare
di più e fare meglio, correggere gli errori di navigazione della vita e dirigersi
verso terre, o cieli, che mai avremmo creduto di poter raggiungere. Il volo è
libertà totale e forse eccessiva, esercizio… inconcepibile e misterioso, atto
empio, acquisizione superba di una dimensione che non attiene all’uomo, alla
sua antropologia, furto agli dei. È “disumano”, appunto. Ed è stato solo l’uomo
a ribellarsi al peso del corpo, non gli animali (sì, sì, è vero, gli uccelli
volano ma è la loro condizione naturale…). Perché, se è vero che l’uomo ha
mille limiti − a partire dal peso del corpo per arrivare alla finitezza della
vita − la sua curiosità, la sua ansia di sapere, la sua fantasia non ne hanno.
Naturalmente qui ci riferiamo a quei pochi che, con il loro coraggio, hanno di
volta in volta rifiutato il sapere attuale, hanno infranto le regole,
rivoluzionato il pensiero, Copernico, Giordano Bruno, Leonardo, Einstein cioè,
Fagioli in epoca più recente. Certo, come quest’ultimo dice, schierarsi contro
la cultura dominante, rifiutare i maestri del pensiero… richiede indubbiamente
coraggio…
A.M.: Impeccabile il passaggio da Claudio Tolomeo a
Niccolò Copernico passando per il “De Rerum Natura” di Lucrezio: “L’animo
infatti richiede di conoscere a pieno, essendo infinito lo spazio oltre i muri
del mondo, cosa esista lassù, dove intenda scrutare la mente, dove il libero
balzo dell’animo voli spontaneo”. Perché per più di tredici secoli non si è
riusciti a riesumare le teorie del filosofo Aristarco di Samo?
Claudio Alvigini: La domanda è molto interessante, c’è
proprio da chiedersi perché è passato così tanto tempo e, contemporaneamente,
come fu che Aristarco, che tu opportunamente citi, in un tempo così remoto
seppe spingersi così lontano, essere così moderno. Forse mi sbaglio, forse, per
quel che riguarda il pensiero dell’uomo, attribuisco troppa influenza
(negativa) alla religione, ma un pensierino su politeismo e monoteismo lo
farei. Aristarco fiorisce nel terzo secolo a. C. C’erano gli dei burloni e
vendicativi, Eolo cacciava fuori i venti dai suoi otri, Giove scagliava saette
e seduceva giovani donne, Giunone ce l’aveva a morte con Enea e aiutava Ulisse.
Ma, nell’ingenuità della rappresentazione antropomorfa, tutti quei dei
lasciavano l’uomo un po’ più libero, ognuno adorava quello che voleva o gli era
più simpatico; nella Roma imperiale convivevano culti diversissimi, orientali,
dell’Egitto, portati da terre lontane dai soldati che tornavano. Una grande
tolleranza tra questa miriade di rappresentazioni e, credo, un’aria più
leggera. Tanto leggera che permise ai presocratici, con l’acqua, il fuoco,
l’aria, la terra di cercare oltre quegli stessi dei… Poi ci fu Costantino (mi
si perdoni la brutale sintesi), la religione cristiana fu prima accettata poi
nel 380, con Teodosio, divenne religione di stato. Nacque il dio unico, il
monoteismo. E qui non c’è lo spazio per discuterne, ma un dio unico, al di là
della benevola − almeno a parole − comprensione e pacifica convivenza, porta
con sé l’idea, tanto nascosta quanto profonda, che solo esso, essendo l’unico,
è quello giusto e vero; gli altri no. Con tutte le tragiche conseguenze cui
nella Storia e, purtroppo, anche nella nostra epoca assistiamo… Poi, certo,
mettiamoci anche il buio della caduta dell’Impero, le invasioni dei “Barbari”,
i saccheggi e le distruzioni e poi l’anno mille, l’attesa della fine del mondo.
Le eclissi che sconvolgevano e generavano angosce profonde, le malattie, la
peste e la sifilide… L’attaccamento alla legge del padre Platone o del padre
Aristotele o del padre Tolomeo degli intellettuali di allora divenne sempre più
forte. Essi, infatti, temevano che, perdendo ciò in cui loro, la chiesa e
tutti, credevano, avrebbero perso il loro potere e quindi… anche la loro
privilegiata posizione di assistiti e beneficiati dal signore di turno. Forse
un pensiero sul perché ci sia voluto tanto tempo per scardinare il mondo di
Tolomeo, può condurci a qualche considerazione su Colombo e sulla scoperta
delle Americhe. Fagioli osservava che una dilatazione così clamorosa e
lacerante dello spazio fisico, dello spazio esterno, costrinse l’uomo a
dilatare il proprio spazio interiore, ad avere un animo più ampio che potesse
contenere la nuova immagine del mondo che le scoperte della navigazione
marittima imponevano. I tempi grossomodo coincidono, Leonardo fa i suoi studi sul
volo intorno al 1505, Copernico elabora le sue teorie nei primi del 500 e
comincia ad esporle nel 1515, l’America era stata scoperta, l’immagine del
mondo aveva già, come dire, rotto gli argini…
A.M.: “La luna densa e grave, come sta la luna?”
Claudio Alvigini: La luna pesante e compatta come fa a
reggersi? Come mai, assieme agli astri e alle stelle non precipita sul capo
dell’uomo annientando ogni cosa? È la bellissima domanda che si poneva Leonardo
ed è, secondo una geniale interpretazione di cui nell’Inconcepibile dò conto,
il riecheggiamento, nella maturità, delle immagini del bambino Leonardo
sdraiato sulla culla in quelle calme, dense e limpide notti d’estate, col viso
rivolto al cielo, ad osservare... (Leonardo passò in campagna il primo lustro di
vita). Poi c’è il fascino e lo sgomento che la luna, piazzata lassù,
apparentemente a portata di mano, bianca e fredda ha sempre esercitato ed
esercita sull’uomo, c’è Leopardi e… c’è Armstrong, il comandante Armstrong che,
primo uomo nella Storia, calca il suolo lunare.
A.M.: Il 20 luglio 1969 è la fatidica data
dell’allunaggio ad opera di Neil Armstrong. Ma già dal 1976 si è iniziato a
parlare di un finto atterraggio sulla Luna da parte degli americani. Il primo
che ne parlò fu Bill Kaysing nell’opuscolo autopubblicato “We Never Went to the
Moon”. Perché, secondo te, la teoria del complotto ha avuto così tanto successo
sino ad arrivare ai nostri giorni?
Claudio Alvigini: Ed eccoci al 20 luglio del 1969, l’uomo
mette piede sulla luna. Domando che sembra spezzata in due questa, dalla data
fatidica si passa subito alla contestazione dell’evento, al finto allunaggio,
al complotto. Non credo che la teoria del complotto abbia avuto poi tanto
successo in questo caso, non credo cioè che sia così diffusa; alcuni la
sostengono, ne parlano, ci fu anche un film mi pare. Io ho letto molto sul
programma di conquista dello spazio, sull’addestramento degli astronauti, sulla
conquista della luna, sul “dopo” delle loro imprese. Conosco molti aneddoti. Potrebbe
essere interessante, dopo aver parlato del sarto di Ulm, parlare del… barbiere
di Armstrong. Il comandante si accorse che quando gli tagliava i capelli, il
suo barbiere li raccoglieva da una parte con una cura eccessiva che lo
insospettì. Scoprì poi che li metteva in certi vasetti che vendeva a qualche
centinaio di dollari l’uno; erano pur sempre i capelli del primo uomo che era
stato sulla luna!... Dovette cambiare barbiere. La moglie racconta che dopo
l’allunaggio si sia chiuso in un silenzio lungo tre anni… Un suo sospiro,
diceva, era una parola e un suo cenno o una delle rarissime parole che comunque
pronunciava, un intero discorso. A proposito, quanti sanno che Armstrong è
morto qualche anno fa per una banale operazione di bypass mal condotta? Il
primo uomo ad essere stato sulla luna muore per un caso di mala-sanità e
nessuno, o pochissimi, ne sanno qualcosa…
Domandi perché si creda al complotto. Non so rispondere
con esattezza, ma un’idea ce l’ho e nell’Inconcepibile, tra le righe, è
contenuta. Qui potrei accennare brevemente ad un’impresa “eccessiva” per i
tempi in cui avvenne, “inconcepibile”, per restare in tema. Dalla quale ci si
difende cercando di farla sparire (anche qui la teoria fagioliana mi è di
fondamentale aiuto). E quale maniera migliore per ottenere questo scopo di
quella rappresentata dal complotto? Quell’impresa era eccessiva? Bene, diciamo
allora che fu solo mimata e mai realmente avvenuta, parliamo, scriviamo di un
complotto, facciamola sparire. Poi, sai, alcuni credono alle scie cosmiche o
come diavolo si chiamano, altri agli extraterrestri che sono già tra noi o che
li hanno anche rapiti e con i quali hanno fatto persino dei figli. Infine ci
sono quelli che credono che la terra sia piatta, i terrapiattisti, ultimamente
alla ribalta. Perché meravigliarsi allora se qualcuno dice che sulla luna non
ci siamo mai andati? Io faccio parte di coloro che non credono al complotto, ma
una piccola considerazione sul complotto può essere comunque fatta. Da una
parte un atteggiamento critico serve, la cosiddetta controinformazione
necessaria ed essenziale per non farsi abbindolare da false notizie – argomento
questo, grazie ai social e a internet, più attuale che mai – dall’altro la
tendenza a vedere complotti d’ogni parte, potrebbe nascondere, sotto
insospettabili spoglie, una voglia di conservazione, una forma di opposizione a
quanto di nuovo può scardinare il vecchio mondo e il vecchio modo di pensare.
Ogni caso comunque, va valutato a parte, non si può generalizzare. Era un
complotto dire che la strage di Piazza Fontana era stata causata dagli
anarchici, fu allora importantissimo dirlo che era un complotto, rifiutare la
falsa verità sparata a nove colonne sui quotidiani. La contro informazione fu,
nell’occasione, sacrosanta. Non credo che si possa sostenere lo stesso per quel
che riguarda l’allunaggio del ‘69. Del resto si sta programmando un ritorno a
breve sulla luna da parte degli americani e forse dei cinesi, ricordo che ci
sono un paio di jeep con cui, nelle missioni che seguirono all’Apollo 11, gli
astronauti scorrazzavano lassù. False anche quelle? Se saranno ritrovate, assieme alla bandiera
che lasciò Armstrong, cosa diranno gli scettici? Senza parlare poi di quelle
centinaia di chili di roccia lunare che sono osservabili tutt’oggi e gli
infiniti filmati. Ne è stato presentato
uno che dicono formidabile e mai visto prima sull’intera impresa, il mese
scorso a Zurigo (era presente il quasi novantenne Aldrin, pare più in forma che
mai, secondo uomo a calcare il suolo lunare); uscirà a settembre in Italia. C’è
poi da considerare l’attenzione spasmodica con cui le reti radar e
l’intelligence russa hanno seguito ogni passo della vicenda, se ci fosse stato
imbroglio ed inganno vi sarebbero balzati sopra come un sol uomo. Ripensiamo a
quegli anni: si era in piena guerra fredda, la Russia, dopo lo Sputnik del 1957
che, volteggiando ben visibile nel cielo americano, si prendeva gioco di
un’intera nazione con i suoi beep-beep ad ogni passaggio (circa ogni ora e
mezza), dominava la competizione spaziale. Sembrò averla definitivamente vinta
con l’impresa del 1961 del ventisettenne Yuri Gagarin, primo uomo in orbita
attorno alla terra. L’America doveva rispondere in qualche modo, va tenuto
infatti presente che la supremazia nella corsa allo spazio era sinonimo, in
quegli anni, di dominio mondiale. Nel 1962, in un celebre discorso, Kennedy,
per recuperare il terreno perduto, lanciò il decennio della luna e promise che
nei prossimi dieci anni l’America avrebbe portato un uomo sulla luna e lo
avrebbe riportato a terra. Partì la più colossale cooperazione tecnico
industriale che la storia abbia mai visto. Milioni di contratti, di moduli, di
simulatori, costruzione di Hangar giganteschi, selezione tra i migliori piloti
americani per scegliere gli astronauti, lo straordinario addestramento cui
furono sottoposti, il diario che molti di loro hanno tenuto. Tutti d’accordo
nella grande recita? Tutto un bluff?
A.M.: Questa nuova fiducia posta su Macabor Editore è
prova di affidabilità della casa editrice?
Claudio Alvigini: O.K., torniamo… sulla Terra. Credo che,
in quanto detto nei punti precedenti, sia già contenuta una risposta. Posso
aggiungere che siamo di fronte, in questo caso, al rovesciamento delle parti, è
l’editore a spingere l’autore, a proporgli la pubblicazione… Altro che
affidabilità Alessia! Auguro alla Macabor ogni successo, perché lo merita come
nessun altro, perché è una casa editrice che ama ancora il bello, lo cerca e lo
stimola. La mia stima e amicizia con Bonifacio, consolidata da interminabili
telefonate tra Lisbona e Francavilla Marittima (in genere lo colgo mentre sta
cucinando e gli faccio bruciare tutto...) è oramai consolidata, la passione con
cui fa il suo lavoro, il suo disinteresse, mi fanno pensare che anche oggi,
nonostante si cerchi solo il danaro ed il successo a poco prezzo e con poca
fatica, sia possibile fare bene le cose in cui si crede, seguire la propria
strada infischiandosene di dove vanno gli altri, perseguire la propria idea, il
proprio sogno, proprio come fece il sarto di Ulm. E, a proposito del sarto,
l’entusiasmo di Bonifacio per questa dimenticata eppur storica figura è stato
tale che ha deciso di dare alla rivista di poesia che si appresta a pubblicare
(e questa è una vera anticipazione!) proprio questo nome: Il sarto di Ulm.
A.M.: Hai già il programma delle presentazioni estive
de “L’inconcepibile esercizio”?
Claudio Alvigini: La pubblicazione dell’Inconcepibile, mi
ha come sorpreso, tutto, da un certo momento in poi si è svolto molto
rapidamente e dunque le presentazioni le stiamo organizzando solo ora. Penso
quindi di fartele sapere e renderle pubbliche quanto prima.
A.M.: Mi è rimasta la curiosità sul tuo ritorno alla
poesia: in quest’ultimo anno sei stato visitato dalle Muse?
Claudio Alvigini: Sì, cara Alessia, e ancora una volta
grazie della tua attenzione e sensibilità; qualcosa è accaduto, qualche musa si
deve essere smarrita finendo così sulle soglie dell’Atlantico; lì ci siamo
incontrati.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Claudio Alvigini: Ripensavo al sarto di Ulm, a Bonifacio,
a come intende il mestiere e la vita, a come la intendo io la vita, ripensavo
alle tue domande e continuava a venirmi in mente una citazione apparentemente
semplice ma, a guardar bene, profondissima e tale da segnare un discrimine tra
gli uomini: “Bisogna spendere i soldi per la vita, non la vita per i soldi.”
Indovina un po’ di chi è?
A.M.: Ora ho finalmente compreso perché Mnemosýne ha
lasciato i monti della Pieria: sta cercando una delle sue adorate figliuole! Ti
ringrazio, Claudio, per la tua gentilezza nell’accogliere le mie domande e per
il tempo che hai dedicato. Questo caro amico sarto che spese ogni suo denaro
per un prototipo di deltaplano e che morì di malnutrizione nel 1829 − dopo aver
donato il suo grande ingegno ad Ulm − è stato celebrato dal drammaturgo e poeta
tedesco Bertolt Brecht. Saluto, dunque, con due strofe della favola allegorica “Il
sarto di Ulm”: "Vescovo, so volare",/ il sarto disse al vescovo./
"Guarda come si fa!"/ E salì, con arnesi/ che parevano ali,/ sopra la
grande, grande cattedrale.// Il vescovo andò innanzi./ "Non sono che
bugie,/ non è un uccello, l'uomo:/ mai l'uomo volerà",/ disse del sarto il
vescovo.”
Written by Alessia Mocci
Photo Claudio Alvigini by Barbara Ledda
In copertina foto di Claudio Alvigini ventenne
Info
Sito Macabor Editore
http://www.macaboreditore.it/home/
Acquista “L’inconcepibile esercizio”
https://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-products-listing/product/84-l%E2%80%99inconcepibile-esercizio
Facebook Macabor Editore
https://www.facebook.com/Macabor-Editore-232652587202894/
Articolo The Guardian Bill Kaysing
https://www.theguardian.com/science/2019/jul/10/one-giant-lie-why-so-many-people-still-think-the-moon-landings-were-faked
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/07/17/intervista-di-alessia-mocci-a-claudio-alvigini-vi-presentiamo-il-saggio-linconcepibile-esercizio/
Intervista di Alessia Mocci a Francesco S. Mangone: vi presentiamo La spazzola dell’ingegnere
“Furore prende il
titolo dal grande romanzo di John Steinbeck, uscito nel 1939; leggendolo si
capisce come la crisi umana, sociale e politica di quegli anni assomiglia alla
disperazione dell’oggi. Il romanzo sociale è tale perché rimette al centro la
vita delle donne e degli uomini in carne e ossa, in questo tempo dello
spettacolo e della finzione.”
– Francesco S. Mangone
Francesco Siciliano
Mangone è nato e vive a Trebisacce sul golfo di Sibari. È stato docente nelle Medie e presso il
Liceo della sua cittadina. Ha collaborato con la redazione della rivista
letteraria “La colpa di scrivere” e successivamente nel “Fiacre n° 9”.
Per anni, come
volontario nell’associazione Passaggi, ha insegnato ai migranti ed ancora conduce un laboratorio teatrale di
giovani e anziani.
Le sue passioni sono i libri, la barca a vela, le api, ed ultimamente
l’orto e le sue coltivazioni. Ha pubblicato romanzi, raccolte di poesie e
saggi. Ricordiamo “Schnellboot s-57” (Aljon, 2009), “Jonion” (Robin Edizioni,
2011), “1961, Le vacche di Fanfani” (Robin Edizioni 2012), “Misura minore” (Pungitopo
Editrice, 2016), “Il maestro illecito” (Robin Edizioni, 2018).
Con l’associazione
culturale il Musagete di Bonifacio Vincenzi ha partecipato alle tante iniziative svolte sul territorio e
recentemente ha preso l’incarico di condurre la neo collana della casa editrice
Macabor Editore “Furore
– il romanzo sociale”. La collana è
inaugurata proprio con un romanzo di Francesco S. Mangone: “La spazzola dell’ingegnere”.
A.M.: Salve Francesco è un piacere poter dialogare
con lei per presentare ai lettori due novità della casa editrice Macabor
Editore. Partendo dalla prima: com’è nata la collaborazione con l’editore
Bonifacio Vincenzi per la creazione della collana di narrativa “Furore – il
romanzo sociale”?
Francesco S. Mangone: Grazie Alessia, con Bonifacio
Vincenzi ci conosciamo da anni, dapprima che diventasse editore. Con lui,
fondatore dell’associazione il Musagete, per anni abbiamo fatto tantissime
cose, dalla promozione del libro, serate dedicate all’arte, alla cultura, in
giro per i paesi calabro-lucani intorno al Pollino. Successivamente a gestire
la rivista letteraria “La colpa di scrivere” e in seguito con “Il fiacre n° 9”.
Anni di passione e formazione. Qualche mese fa ci siamo rivisti e gli ho
proposto di pubblicare “La spazzola dell’ingegnere”, ma di farlo in una collana
apposita, che avesse il profilo del romanzo sociale. E lui subito mi propose di
occuparmene. Così venne fuori l’idea di Furore. Prende il titolo dal grande
romanzo di John Steinbeck, uscito nel 1939; leggendolo si capisce come la crisi
umana, sociale e politica di quegli anni assomiglia alla disperazione
dell’oggi. Il romanzo sociale è tale perché rimette al centro la vita delle
donne e degli uomini in carne e ossa, in questo tempo dello spettacolo e della
finzione. All’inizio del terzo millennio, furono dati per finiti la storia e i
conflitti sociali che lacerarono il Novecento. In questa visione, anche l’opera
d’arte doveva ridursi a una questione di linguaggio, di stile. Ridurre i
contenuti a un semplice gioco letterario. Non è così. Vedi, ritornano i drammi,
gli orrori, la necessità della Storia, per capire.
A.M.: La seconda novità di cui mi piacerebbe parlare
è l’uscita del primo romanzo della collana “La spazzola dell’ingegnere”.
Francesco S. Mangone: Il titolo trova soluzione
nell’esergo di W. Benjamin. Laddove la visione storicistica vede una linearità
crescente del progresso in un determinismo teleologico, l’ingegnere Carlo
Sarracini, seguendo il filosofo tedesco, racconta (spazzola) la storia non dal
lato dei vincitori ma da quello dei perdenti, degli ultimi (di contropelo,
cioè). Nel romanzo si parla dell’inganno della fabbrica negli anni ’50 al Sud,
del suo lato oscuro, e della sottomissione dell’uomo alla “macchina” fordista,
mentre si pone la questione della nascita della dualità italiana. (L’attualità
anche in questo caso è evidente. In questi giorni, il governo sta per varare la
cosiddetta autonomia fiscale delle tre regioni più ricche d’Italia.) Si
continuano a ribadire le politiche che separano l’Italia. Nel tempo si è fatto
del Nord una macroregione ricca, sviluppata ed europea, e dell’Italia di giù
una terra di mafie, di servitù militari, mercato del lavoro; di briganti ed
emigranti. I buoni al Nord e i cattivi al Sud. Il romanzo raccoglie e struttura
questa complessità, per ricordarla. Quando lavoro a un romanzo so che è solo
una tessera di un più complesso metaromanzo. In questo modo scrivo
contemporaneamente più cose, mentre leggo e prendo appunti su altre storie e
personaggi. Impiego anni per scrivere. Da questa massa di scrittura viene fuori
il romanzo e io con loro. Vivo e cresco leggendo e scrivendo. Spesso sono i
personaggi o le maschere che mi indicano direzioni, dove andare. La scrittura è
spostare la dicibilità e la visibilità del mondo, del mio tempo.
A.M.: Il romanzo è ambientato in Calabria ma possiamo
ben affermare che racconta una realtà che si è verificata in varie regioni
d’Italia. Quel “Fare il Sud come il Nord”
è la promessa di benessere che non è stata mantenuta e “l’utopia di strada” è la soluzione comunicativa dell’ingegnere Carlo
Sarracini. “Procedere a piedi. Sentire il
corpo abitare gli spazi. Deambulare. […] Vedere d’intorno il lavoro e la cura
che ebbero gli avi.”
Francesco S. Mangone: “Fare il Sud come il Nord” è un
inganno. Una frase a effetto usata dai politici d’accatto. Non vale forzare,
imitare. Bisogna partire dalla cultura e dalle radici d’un popolo, di là si
parte per migliorare. Sapere del genius loci che accompagna le eccellenze
intime e speciali dei luoghi. Assecondare le vocazioni, mai più la speculazione
e lo sfruttamento, ma la Cura. In molti pensano che vale invece vendersi
l’anima. Sarracini viene deluso dalla fabbrica e dal consumismo che porta, così
opera quella inversione che sarebbe necessaria a noi singolarmente e
collettivamente. È un passaggio dall’io individualistico e nichilista al noi
della comunità solidale e inclusiva. Dal basso dice Sarracini, dai “giovani
innamorati dell’ambiente”. L’utopia di strada viene da sé, significa porsi
sullo stesso piano dell’altro da noi. S’incontra l’altro non solo per aiutarlo,
ma anche per imparare da lui.
A.M.: Carlo Sarracini è solito dire: “La morte, quando Nostro Signore vorrà, non
mi troverà di certo indifferente e in ozio… ma nel pieno del mio essere
cristiano”. Quando l’esser cristiano di Carlo è divenuto “un soggetto storico pronto ad accogliere il
messia, la rivoluzione”?
Francesco S. Mangone: Non mi sento un credente, ma
leggendo i Vangeli ho compreso la carica rivoluzionaria che c’è ancora in
quegli Annunci. Mi hanno colpito i riferimenti al corpo degli ultimi. Corpi
ammalati, folli, impazziti e piagati dalla miseria, e così via. Da quella
prassi, credo, Cristo abbia imparato ad amare la fragilità dell’uomo. Ne è
caduto follemente in amore. “Il maestro illecito” (Robin Edizioni), il romanzo
precedente uscito la scorsa estate, parla del maestro Rolando dell’A, lui,
laico reduce dal Maggio ’68, che insegna italiano ai migranti tra la miseria e
la violenza nella Piana di Sibari. In quel caso le premesse sono differenti, ma
l’umanità messa in campo identica. Per Sarracini, di cultura e formazione
cattolica, è essenziale la concordanza tra lettura dei vangeli e la propria
vita. Ma attenzione, non è un mero formalismo il suo: apre qualità nuove di
resistenza. Sarracini ha imparato che solo quando il tempo diventa storia e
l’anima si concilia con il corpo si apre la possibilità d’una inversione. Lui
l’ha sperimentato. Curiosamente Sarracini “incontra”, senza saperlo, Walter
Benjamin ed Ernest Bloch.
A.M.: “La spazzola dell’ingegnere” porta avanti una
tematica calda anche se inizia il suo racconto nel 1990 quando la motonave
Jolly Rosso si è insabbiata in zona Formiciche. Infatti, anche se il processo
che indaga sull’avvelenamento della vallata del fiume Oliva è stato formalmente
chiuso nel 2017, recentemente è stato riesumato in Corte d’Appello d’Assise a
Catanzaro. Forse quella sentenza di due anni fa che proclamava l’assoluzione di
tutti gli indagati è stato un ulteriore maltrattamento dei calabresi? C’è
possibilità che la giustizia corra il suo corso? E com’è la situazione odierna
visto il meteo incerto di questa primavera?
Francesco S. Mangone: Le cosiddette “navi a perdere”,
“carrette del mare” o “navi dei veleni” sono l’argomento d’un altro mio romanzo
“Jonion” del 2008. Dentro questa storia c’è l’alleanza tra malavita del Sud e
industriali del Nord. Sono temi scandalosi, difficili da accettare. Oggi questa
storia sembra finita. Ma si sa che le nuove discariche sono diventate zone del
mondo a bassa capacità di controllo democratico. Sono vicende che nei nostri
media vecchi e nuovi, restano sfrangiate, sempre nuove. Occasione di
chiacchiericcio, con noi a stupirci e impotenti. Ecco il limite del giornalismo
o dei talk show televisivi. Restano frammenti e mai che si riesce a mostrare la
razionalità che presente in noi li fa accadere (Sì, perché noi non siamo
innocenti). È diffusa invece da qualche tempo una sorta d’irrazionalità che fa
sembrare l’accadere come colpa d’un destino cinico e baro. In cui forse la magia
o le affezioni salvifiche sono demandate all’uomo solo al comando, che ci salva
e libera. A complicare le cose le sentenze della magistratura, che anch’esse
arrivano in ritardo oppure si contraddicono a secondo dei livelli di giudizio.
Intercorre una crisi più generale che è quella della verità. Sembrerebbe che la
stessa Magistratura resti nel guado d’un mutamento del diritto e che non riesca
a produrre chiarezza sui ciò che bisogna intendere per “giustizia”. Sarebbe
necessario perciò ricostruire, affidarsi a un nuovo pensiero critico,
restituendo alla ragione e alla cultura il primato che ora sembrano aver perso.
Ma si sa che poco può fare la magistratura se deve supplire la politica e la
coscienza della gente.
A.M.: Ma oltre al Cesio 137, nel romanzo si racconta
della diossina TCDD che, il 10 luglio 1976, fuoriuscì dall’azienda ICMESA di
Meda ed investì una vasta area dei comuni adiacenti toccando particolarmente
Seveso e delle 40 tonnellate di MIC (isocianato di metile) della multinazionale
statunitense Union Carbide (oggi proprietà di Dow Chemical) che, il 3 dicembre
1984 nella città indiana di Bhopal, provocarono la morte di un numero ancora
non chiaro di vittime (alcune agenzie governative parlano di 15.000). Quando si
avrà modo di punire i colpevoli?
Francesco S. Mangone: Di questi disastri parla il
romanzo. Le cose dal mio punto di vista non sono cambiate. Il Cesio 137, la
diossina e i tanti veleni che a profusione immettiamo nei nostri circuiti
alimentari e di vita restano conosciuti e chi avrebbe il compito di intervenire
non lo fa. Sarracini con il giovane Greg Malari sono protagonisti
nell’informazione e controinformazione su queste sciagure. Ma ad entrambi tocca
fare un lavoro oscuro nell’indifferenza. Come il romanzo, Sarracini non si
piega all’ignavia. Col tempo diventa una sorta di megafono della verità, dal
basso. Andando per le strade a realizzare l’utopia vera, non quella minestra
cucinata dall’alto. Così si ispira al Cristo, ma anche allo stesso Mao della
lunga marcia. Ma la crisi attuale è qualcosa di molto più grave e decisiva. Le
multinazionali della chimica hanno potere immenso e producono qualsiasi cosa
pur di ottenere il profitto del capitale investito. Non ci resta che insistere.
Sapendo che oltre c’è l’indifferenza. La cosa folle del pensiero corrente è che
nelle crisi ci si rimanda sempre al futuro, alla tecnica. E con la tecnologia e
gli algoritmi si sostituiscono le scelte umane e si indeboliscono le sue
capacità di giudizio. L’impotenza di punire i colpevoli corrisponde all’impossibilità
di risalire e giungere al dominus d’una tale razionalità. Non si tratta di
singole persone, dunque, ma d’un sistema logico astratto che tutto tiene:
potenti e deboli, vittime e carnefici. S’intreccia il dominio ferreo delle
élite finanziarie ai poteri vasti delle multinazionali: il pericolo è per la
stessa democrazia e come l’abbiamo conosciuta e realizzata dal dopoguerra a
oggi.
A.M.: Quanto la gravosa questione ambientale è
sentita dalle persone? Oppure si è ancora in uno stato di alienazione tale da
non preoccuparsi perché si demanda questo problema foriero di morte alle genti
future non riflettendo sul semplice fatto che le “genti future” sono già qui e
siamo “noi del presente”?
Francesco S. Mangone: Si continua a dare segnali
contraddittori. Ci si dice che la colpa della crisi è il livello alto di vita
che abbiamo condotto, e dall’altro ci si invita a consumare, con i Governi a
promettere sviluppo. Si parla di Green Economy e si continua usare le energie
fossili e dare licenze alle multinazionali del petrolio di perforare coste,
mari e fragili territori. È un miserabile spettacolo, mentre si invoca l’uomo
forte per colpire i più poveri, i migranti, le famiglie quali responsabile del
disordine generale. A fare da grancassa i media che puntano sulle emozioni,
l’irrazionale e lo svuotamento del reale, senza andare alle radici del male.
Sarebbe necessario una visione antropologica intelligente e positiva per
tentare una presa di coscienza. L’illegalità, le mafie, la corruzione, il
disprezzo e la solitudine sembrano essere le truppe cammellate del sistema. La
cancrena che si attacca e lentamente vince. Carlo Sarracini, in un discorso a
Cetraro, la bella città sul Tirreno calabrese, parlando della nave Kunskj
affondata dalla ‘ndrangheta locale, per sollevare i cittadini, giunge ad usare
toni apocalittici sulla fine del pianeta, ma serve a poco.
A.M.: Ci sono in programma presentazioni del romanzo
“La spazzola dell’ingegnere”?
Francesco S. Mangone: Ci saranno certamente delle
presentazioni nei mesi a seguire, ma avremo modo di precisarlo meglio quanto
prima. Presso il sito della casa editrice informeremo chi sarà interessato.
A.M.: È presto per chiedere un’anticipazione sul
secondo romanzo che sarà pubblicato nella nuova collana?
Francesco S. Mangone: Bè, Sì. Abbiamo delle idee, ma è
ancora presto per decidere. La nostra intenzione è farla diventare un punto di
riferimento per scrittori che hanno in mente la storia e la lettura del
presente come storia. Mostrare lo scarto tra ideologia e vita naturale. Usando
lingua e forma non in se stesse, ma per tentare una diversa rappresentazione
della realtà. Approfittiamo perciò dell’occasione che ci concede la rivista per
invitare quanti vorranno di inviare i loro manoscritti.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Francesco S. Mangone: Essendo il romanzo in un certo
senso sotto l’egida di Benjamin, ho pensato di salutarla citando da un pensiero
comune Sarracini-Benjamin: “Ogni nostra singola azione ha il ritmo della
natura messianica, perché partecipa e anticipa il regno di Dio, perciò bisogna
operare come se il Messia ci fosse da presso.”
A.M.: Francesco ringrazio per la sincerità delle sue
parole, è complesso trattare alcune tematiche, perché è complesso interessarsi
di ciò che accade – che noi uomini facciamo accadere −. Per questo motivo ho il
piacere ed il dovere di sottolineare in chiusura una sua bellissima asserzione
che sale come grido disperato pregno di coscienza: “noi non siamo innocenti”.
Saluto con il versetto 17 del Vangelo di Tommaso: “Gesù disse: − Gli uomini
certamente credono che io sia venuto a portare la pace nel mondo, ed essi non
sanno che io sono venuto a portare sulla terra le discordie, il fuoco, la
spada, la guerra. Infatti saranno cinque in casa e si schiereranno tre contro
due e due contro tre, padre contro figlio e figlio contro padre, e si leveranno
come solitari.”
Written by Alessia Mocci
Info
Sito Macabor Editore
http://www.macaboreditore.it/home/
Acquista La spazzola dell’ingegnere
http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-products-listing/product/81-la-spazzola-dell%E2%80%99ingegnere
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/07/01/intervista-di-alessia-mocci-a-francesco-s-mangone-vi-presentiamo-la-spazzola-dellingegnere/
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