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Al tuo cuore con la poesia di Rosario Tomarchio: alla famiglia ed alle persone care


Vorrei essere una fontana/ Che dona allegramente acqua/ A tutti gli anziani al riparo delle calde ore,/ in circolo ricordano il loro passato/ e progettano sogni infiniti/ […]‒ “Vorrei essere una fontana”

La figurazione millenaria dell’anziano dell’essere umano che ha permesso agli anni di solcargli il viso e le mani che, in circolo davanti ad una fontana, si cimenta nella narrazione di ciò che la sua mente rammenta in quell’istante, al riparo dal sole.

Ancor più solcato è il Pensiero e, libero senza il tremolare delle ginocchia, affronta la scia di immagini talvolta supportata da sogni a cui non si può decretar la fine.

La voce narrante esprime la volontà di esser acqua la trasformazione in una fontana forse per poter sentire quei segreti che gli anziani si narrano o forse per rinfrescare i loro respiri con nuova linfa. 

“Al tuo cuore con la poesia” è una breve raccolta poetica dell’autore siciliano Rosario Tomarchio. L’autore conta di numerose pubblicazioni sia poetiche come “La musica del silenzio” (Statale 11, 2010), “Storia d’amore” (Aletti editore, 2012), “Ricordi di poesie” (Rupe Mutevole Edizioni, 2013), “Cielo” (Rupe Mutevole Edizioni, 2014) sia brevissimi saggi come “Il mito della semplicità”, “In cammino”, “Dalla grotta al tempio”, “In viaggio per incontrare Gesù”.

La raccolta è dedicata al cuore dello stesso autore, ogni verso nasce dal profondo amore verso le persone care: ai genitori (al padre, l’uomo del silenzio; alla madre, la donna della vita), ai pochi e veri amici che una persona conta sulle dita della mano, ad una relazione con una donna del passato, alla nonna Vincenza scomparsa molti anni fa, alla lettura dei Vangeli che sin da giovane hanno popolato la sua mente, agli animali che rendono la vita meno solitaria.

Il versificare è semplice, le parole sono immediate. Percorrono immagini care a Rosario e che si dipanano tra ricordi e presente in una continua esortazione all’amore.

“Quante volte mi ritrovo con il cuore affranto,/ con le lacrime che disegnano curve sul viso./ Quante volte mi ritrovo in un angolo del mondo,/ a rileggere lo stesso libro/ che racconta la mia vita/ tra poche gioie e tanti dolori./ Quante volte mi ritrovo sotto questo cielo,/ a guardare le stelle/ sperando ancora di poter colorare i sogni./ […]” “Dedicata a tutti i cani che ci fanno compagnia”

Rosario rilegge il suo libro chiamato vita, come tanti esseri umani vive una solitudine portata da quello che stiamo chiamando “progresso” ma che sempre più si rivela “regresso”.

La famiglia non ha più quel potere di collante sociale, il figlio è chiamato all’imperante isolamento nella quale tutti possiamo accedere al social network che ha avuto la pretesa di avvicinare le persone ma che ci ha resi schiavi delle mura di una casa e di un dispositivo che presenta una facciata, la misera ombra di noi stessi.

Rosario, con le lacrime che curvano il viso, si ritrova a guardare il cielo e quelle stelle che sin da bambino ascoltavano i suoi malumori e le sue gioie.

E se tutto intorno diventa estraneo, e se l’empatia verso l’altro dimostra di non trovar appiglio, l’autore ritrova la fiducia nella vita in un animale, nel sguardo complice di un cagnolino che si avvicina e che senza bisogno di parole, senza doni o serenate rammenta la semplicità dell’emozione.



“Che vanto nei hai fante/ A vincere tutte le battaglie/ Se non tocchi il cuore/ Della tua regina?/ […]” “Fante innamorato”

Written by Alessia Mocci

Info
Facebook Rosario Tomarchio
https://www.facebook.com/profile.php?id=100017034757004
Acquista Al tuo cuore con la poesia
https://www.amazon.it/tuo-cuore-poesia-Rosario-Tomarchio/dp/1724089811/

Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/11/21/al-tuo-cuore-con-la-poesia-di-rosario-tomarchio-alla-famiglia-ed-alle-persone-care/


Intervista di Alessia Mocci a Claudio Alvigini: vi presentiamo Il Capitano di Bastur


Una sfumata memoria sembrava, infatti, smentire quella certezza. Ombra sottile essa accennava ad una qualche familiarità con quel luogo che lui, fino ad un attimo prima, avrebbe giurato non esistere. “Il Capitano di Bastur”

“Il Capitano di Bastur” edito nel 2018 dalla casa editrice Macabor Editore nella collana “Il mondo di Morel” è l’ultima pubblicazione di Claudio Alvigini.

L’autore è nato in Svizzera e ha vissuto a Palermo, Pozzuoli e Roma. Giovanissimo ha iniziato la sua carriera aeronautica come pilota civile dell’Alitalia, per svariati anni è stato comandante di Boeing 747. Sin dalla sua adolescenza trascorsa in Sicilia si è cimentato con le prime prove letterarie, attività ininterrotta che ha visto i suoi primi frutti nel 1997 con il saggio “L’inconcepibile esercizio” edito nella rivista di psicoterapia e psichiatria “Il sogno della farfalla”.

È datata 1998 la sua prima silloge poetica con Nuove Edizioni Romane “Visita in città”, segue nel 2002 “La casa sol terrazzo” per Edizioni La camera verde, nel 2005 “Ulàn Batòr” per Edizioni Helicon, nel 2007 “Trafficante di colori” per Edizioni LietoColle, nel 2012 “Il principio di non contraddizione” per Manni Editore. Ha vinto numerosi premi letterari. 


A.M.: Salve Claudio, ti ringrazio per aver accettato questa intervista che verterà sul tuo romanzo “Il Capitano di Bastur” edito da Macabor Editore. Ma prima mi piacerebbe che ti presentassi ai lettori raccontando qualcosa di te, una delle domande che mi vengono in mente è: i romanzi e le poesie che hai pubblicato dal 1998 sono il frutto dell’esser stato per tanti anni sopra le nuvole?

Claudio Alvigini: Cara Alessia, ho volato così tanto che sostenere che questa lunga frequentazione di “uno spazio più alto” non abbia influenzato la mia scrittura sarebbe assurdo. Quelle insolite visioni, quell’assenza di ostacoli allo sguardo, quegli spazi senza fine, quelle “nuvole maestose e deliranti” come dico in una poesia, mi sono, poco alla volta, entrati dentro, nel profondo. In altre parole abitano in me. Poi, quando scrivo, a quel fondo cerco di attingere e può allora accadere che quelle vaghe immagini affiorino in superfice e, se riesco ad afferrarne qualcuna prima che svanisca, si fermino sul foglio. Mi chiedevi qualcosa di me, potrei dirti che una delle mie grandi passioni è stato il calcio e che a Palermo, dove ho frequentato la terza media all’Alberigo Gentili e il liceo scientifico “Stanislao Cannizzaro” e dove ho scritto le mie prime cose, giocavo nella mitica Bacigalupo, anzi, per la precisione, nell’Athletic club Bacigalupo. Erano anni quelli in cui, per noi ragazzi e come diceva benissimo Luciano Bianciardi, il calcio rappresentava un bene assoluto. Se allora tu mi avessi chiesto quel’era la mia più grande aspirazione, il mio sogno, ti avrei risposto senza esitazioni che era giocare un giorno nel Palermo, calpestare l’erba della “Favorita”, come io continuo a chiamare quello stadio. Poi la vita andò diversamente e mi trovai a… portare aeroplani. Appartengo a quella generazione di piloti che erano anche un po’ artigiani, che “lavoravano” l’aereo, perché, come dicevano certi vecchi comandanti, l’aereo si porta con il… culo. La frase un po’ spiazzante va intesa letteralmente. Spiego subito: intendevano dire che bisogna ascoltare le proprie sensazioni fisiche e se, stando seduti al posto di pilotaggio si avverte anche un vago disagio fisico, bisogna fidarsi della sensazione, qualcosa non va… Poi vinse il computer e il pilota perse il corpo… ma questo è un altro discorso… Ed è stata una grande passione il volo. Contrariamente all’immaginario e agli stereotipi e rischiando di deludere qualcuno, una passione un po’ solitaria e a volte, un po’ dolorosa. Ma qui parlo per me, a titolo personale. Perché vedi, penso che ciò che vivi, la contraddizione assurda tra la tua normale vita d’uomo e la grandiosità dello scenario in cui all’improvviso sei catapultato e dentro il quale il tuo lavoro si svolge è talmente esagerata da rendere difficile il racconto, la condivisione. Dolorosa perché poi si soffre un po’ per non saper raccontare e quel vissuto, allora, si preferisce tenerlo per sé. Forse, appunto, soffrendo un po’… Ma io “volevo” raccontare. E ci ho provato. Ci ho provato con alcune poesie ma, soprattutto, con uno dei lavori cui sono più affezionato, “L’inconcepibile esercizio” che è anche il mio esordio come lavoro pubblicato, tra l’altro su una raffinata rivista di psichiatria e psicoterapia, “Il sogno della farfalla”. Un saggio/racconto in cui indago il rapporto dell’uomo con il volo anche da un punto di vista storico. Esso rappresentava e rappresenta, al di là degli anni passati dalla pubblicazione, la summa delle riflessioni fatte in tanti anni di attività. Ho volato su molti tipi di aeroplani e ho molto amato l’ultimo grande aeroplano dell’era diciamo così analogica, il mitico Boeing 747, il “Jumbo”, nobile quadrimotore e splendido aeroplano su cui ho trascorso indimenticabili anni in giro per il mondo. Una mia poesia, “Titano” (tutti gli aeroplani, sai, hanno un nome) inizia così: “Titano, gigante assai paziente, aveva quattro cuori che battevano forte…”. Ma più del calcio e della scrittura ho amato le donne della mia vita. Da esse ho preso tutto.


A.M.: “Il Capitano di Bastur” è dedicato ad una grande personalità italiana: lo psichiatra e psicoterapeuta Massimo Fagioli (Monte Giberto, 1931 ‒ Roma, 2017) conosciuto per la sua teoria della nascita e gli studi sulle origini delle patologie mentali nonché per l’essersi più volte distaccato dal metodo freudiano. Hai personalmente conosciuto Fagioli o sei un suo lettore?

Claudio Alvigini: Il Capitano di Bastur è dedicato a Massimo Fagioli, certo. Come dici tu, e come adesso sempre da più parti si riconosce, grande personalità italiana. È ancora poco, Alessia, molto poco per quello che quest’uomo geniale ha fatto e scritto, troppo poco. Ma lui per primo ci ha insegnato che bisogna aspettare, saper aspettare. Ho il privilegio grande di aver conosciuto e frequentato questo moderno Giordano Bruno, questo rivoluzionario del pensiero. Ho partecipato, infatti, assieme a tantissime altre persone, a quella che è conosciuta come Analisi collettiva. L’esperienza fondamentale della mia vita e dunque del mio pensiero, quella che di esso ha segnato il cammino e lo sviluppo. Il debito di riconoscenza nei confronti di questa storica ed irripetibile esperienza, nei confronti di quest’uomo formidabile che si è battuto tutta la vita perché l’immagine femminile trovasse il suo riscatto, è tale che questa dedica e questo mio piccolo libro sono davvero poca cosa, un granello di sabbia, una goccia d’acqua in cambio dell’oceano di umanità, di cura, di ricerca e di formazione ricevuto. La Teoria della nascita cui tu, con molta puntualità accenni, mi ha spinto oltre me stesso, oltre i miei limiti, oltre quello che sarei stato o diventato senza di essa, mi ha “costretto” alla fantasia di inventarmi un me stesso “nuovo” per reggere la sfida e andare avanti. La fantasia e il coraggio che ognuno può trovare se davvero vuole cambiare la propria vita, superarsi. È stato un grande mare Alessia, un mare in cui è stato assai dolce e bello naufragare. Sai, sognavo da una vita di scrivere un romanzo così e se ti dico che mi è costato un’enorme fatica e sei e sette anni di lavoro puoi capire quanto ad esso sia legato. Certo… mi sarebbe piaciuto che lui lo leggesse… la dedica sarebbe stata la stessa… ma le cose sono andate diversamente…


A.M.: Nel primo capitolo troviamo il vecchio Maestro Cardelio furente con l’allievo Basin perché non ha rispettato le regole del Lavoro d’Eleganza. Leggiamo infatti: “Devi essere specchio, specchio negli occhi, certo, ma poi, e questo lo sai benissimo, devi essere specchio nella mano!”. È molto interessante il concetto di specularità tra occhio e mano. Ti sei ispirato ad un filosofo od un poeta nel formularlo?

Claudio Alvigini: Dopo la risposta che ti ho appena dato, è assai facile capire a chi o a cosa mi sia ispirato e da chi abbia tratto alcune frasi che trovi in questa stessa intervista. E rispondo così alla tua terza domanda... Vedi, è che Cardelio, il vecchio maestro, spinge Basin, e ogni suo allievo, ad essere come lui, spinge all’identificazione. Un’identificazione talmente assoluta, totale e paralizzante da essere “specchio” dell’altro, specchio negli occhi, dice infatti Cardelio, ma poi, addirittura Specchio nella mano il cui movimento, è consustanziale al segno da riprodurre affinché la ripetizione non si distingua da ciò che ripete. E l’uno diventi specchio dell’altro, indistinguibile da lui… E qui, insieme alle fonti teoriche c’è l’immaginazione di chi scrive; immaginazione che, in letteratura, può e deve tendere la corda della fantasia al suo limite estremo, con il rischio, sempre presente e di cui va tenuto conto, che essa si spezzi e cada frantumata al suolo. Scrivere, scrivere in un certo modo, dico, è un mestiere … pericoloso che… “richiede indubbiamente coraggio…” (tra virgolette una frase da “Istinto di morte e conoscenza” di Fagioli). Spero che al “Capitano” il coraggio non sia mancato e nemmeno la fantasia che nel suo torcersi e tendersi spasmodicamente, sia arrivata al suo limite estremo e magari anche un po’ oltre, ma senza mai spezzarsi. Spero che chi leggerà il libro si appassioni, si commuova, ami la storia che legge o anche la odi e la disprezzi e butti via il libro, tutto purché non gli risulti indifferente scivolando via sulla superficie della sua attenzione come fa l’acqua sul dorso dell’oca. Il fatto è, Alessia, che se vince Maestro Cardelio e quelli come lui, se vince il vuoto degli affetti, il nulla, l’uomo si ammala e la sua azione si ferma, la sua vita stessa si ferma, si ferma la sua curiosità o meglio ancora, la sua ansia di conoscenza. E se invece l’uomo vuole vivere, se sperimenta la tristezza infinita di amare così tanto la vita… deve tentare di sviluppare le sue possibilità, tutte le sue possibilità, deve cercare se stesso, essere se stesso. È questo il fiume sotterraneo che corre lungo tutto il romanzo, la lotta silenziosa che si svolge tra i vari personaggi...


A.M.: Il Capitano di Bastur appare sin dal secondo capitolo come nome proibito da pronunciare ma che durante le notti attorno al fuoco si poteva udire da alcuni enigmatici vecchi del paese. Ma la vera protagonista di questa prima parte del romanzo è la curiosità di Basin. Ritieni che la curiosità sia una dote innata fornita ad un essere umano piuttosto che ad un altro?

Claudio Alvigini: La curiosità, dici, domina la parte iniziale del libro. È vero, anche se il termine meriterebbe una riflessione e una distinzione. Esso può valere in senso buono infatti e cioè esprimere amore di conoscenza oppure esprimere semplice indiscrezione, ozioso interesse. La curiosità è femmina si dice; e non certo per fare un complimento alle donne, anzi… Dunque sì, quella di Basin e dei ragazzini suoi coetanei è curiosità nella sua accezione migliore, accresciuta dalla paura per il luogo esecrabile e proibitissimo, l’osteria in cui si riuniscono quei misteriosi e assai gagliardi vecchi. Ma mi chiedi anche se ritengo che questo “atteggiamento” nei confronti della vita sia caratteristica originaria umana o meno. Credo di sì, penso che nasciamo con una naturale tendenza alla conoscenza. È un classico il “e perché?” continuo dei bambini. Ci sarebbe da chiedersi semmai perché sembri un destino quasi altrettanto universale e ineluttabile la fine di questa ansia di sapere. E perché in alcuni, invece, permanga. È la storia antica, eterna della perdita dei sogni quando si cresce, si diventa grandi. Bisogna affrontare la realtà! Altro che sogni, altro che ideali! Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere? Penso in fondo che tutto il romanzo sia un inno alla curiosità intesa nel suo significato più nobile.


A.M.: Consideriamo per un istante che sia possibile entrare nel romanzo e render vivo un personaggio: a chi daresti respiro in “Il Capitano di Bastur?

Claudio Alvigini: Forse a una figura che è solo appena accennata, la contadina-lavandaia dagli occhi grandi e scuri che “traffica” un mattino di primavera con il grande, taciturno e schivo Tagivaro. Traffico da cui nascerà Lasapo, attore non secondario del nostro racconto. Sta in riva al fiume questa donna senza nome quando Tagivaro l’incontra, inginocchiata, intenta al ritmato movimento di bagnare e ritirare i panni dall’acqua limpida che salta tra i sassi; onda del mare che viene e che va, malia sinuosa alla quale anche il pur serissimo e schivo Tagivaro soccomberà. È donna donna, femmina vera, splendida nella sua spontaneità e sincerità; del corpo ancor prima che del sentimento o del pensiero. È l’opposto, l’assolutamente diverso da Tagivaro, per lui l’attrazione irresistibile di un’origine perduta… Vive poco nella storia, anche se, ma qui lascio la ricerca alla curiosità del lettore, forse riappare sotto mutate spoglie…


A.M.: Come ti trovi con la casa editrice Macabor Editore? La consiglieresti?

Claudio Alvigini: Questa tua domanda mi permette non solo una risposta sincera, ma anche l’esercizio di un debito di riconoscenza maturato con la Macabor di Bonifacio Vincenzi. Nella vita qualche volta, a forza di provare (sapessi quanti no ha ricevuto il “Capitano”!) credendo con un pizzico di paranoia nel proprio lavoro, può accadere di fare l’incontro giusto. E io ho fatto l’incontro giusto. O forse lo abbiamo fatto entrambi. Pochi giorni fa, chiacchierando con Bonifacio dicevamo che forse eravamo entrambi in attesa. Lui di un libro come il mio, io di un editore come lui. Figura straordinaria e in via d’estinzione di quello che si chiamava un tempo editore puro, con l’aggiunta (o l’aggravante) di essere anche lui un valentissimo scrittore e poeta, Bonifacio Vincenzi mi ha del tutto sorpreso, commosso, conquistato. Da sempre più attento al valore, alla qualità dei rapporti umani (che antepongo a tutto) che ad altre cose, ho “sentito” che il mio Capitano era nelle mani giuste, aveva trovato la sua casa. Credo che in Bonifacio, mascherata da toni sinceri e diretti, semplici e umani, immersa in una sterminata cultura letteraria, risieda un amore per la buonissima letteratura così sincero e profondo da spingerlo a una generosità sorprendente. Generosità che arriva al punto (del tutto inconcepibile per uno scrittore) di trascurare il suo stesso libro appena uscito (un magnifico romanzo, “Il raduno” per le edizioni della romana Ensemble) e battersi con tutte le sue forze per le sorti del Capitano! Senza esagerazioni, Alessia, ho il privilegio di intrattenere con lui il rapporto che ogni autore sogna di avere con il proprio editore. Dunque certo che consiglio la Macabor cui auguro di intraprendere, magari proprio con “Il Capitano di Bastur” quella strada di crescita e di successo che ampiamente merita.


A.M.: Hai in programma presentazioni del tuo libro?

Claudio Alvigini: Sì, certo, alcune date sono stabilite per altre mancano i dettagli finali. Ho esordito in Calabria, a Trebisacce, il 16 novembre alle 18.00 nella sede dell’associazione Passaggi in via Manzoni, ospite della squisita Caterina De Nardi di quell’associazione presidentessa. Ha presenziato, e lo ringrazio, il sindaco Franco Mundo insieme all’editore Bonifacio Vincenzi. Uno scrittore e critico come Gianni Mazzei mi ha onorato di un suo intervento critico sul “Capitano”. Dal 14 al 16 dicembre avrò tre importanti appuntamenti a Palermo: sotto l’egida e lo spassionato interessamento di un amante e finissimo intenditore di letteratura come Massimiliano Manfredi sarò il 14 alla Libreria Macaione Spazio Cultura con la prestigiosa presentazione dello scrittore e storico Pasquale Hamel. Il 15 avrò l’onore di essere accolto, grazie alla generosità di Domitilla Alessi, nella sua raffinata e prestigiosa “Novecento” che ha ospitato grandissimi come Borges e Calvino, il quale definì Novecento “la più bella libreria d’Italia”. Il tour palermitano si concluderà il 16 al famoso circolo “Lauria”. Il 5 gennaio, finalmente, a Roma presso la libreria IBS di via Nazionale, con una presentazione di prestigio del “Capitano” da parte del noto psichiatra romano Martino Riggio, un appuntamento cui tengo moltissimo. Sarò poi a Pisa in una data da stabilire che ti comunicherò appena possibile e penso di chiudere a Padova, il 15 gennaio alle 18.30, presso la elegante ed accogliente libreria “La forma del libro” con un’altra prestigiosa figura che mi farà l’onore di parlare del “Capitano”, Lucia Gaddo Zanovello, splendida poetessa e scrittrice. Anche se la conclusione di questa prima tornata di presentazioni si dovrebbe concludere a Lisbona, con una presentazione presso l’Istituto Italiano di Cultura assai ben diretto da Luisa Violo. Ecco, vedi Alessia, una cosa che molto mi conforta e mi fa bene e mi commuove è l’adesione pressoché immediata, sentita e spontanea di questi grandi intellettuali e letterati, che non conoscevo se non di fama, una volta letto “Il Capitano”, a dichiararsi non solo disponibili a presentarlo, ma anche felici di farlo.


A.M.: C’è sempre un nuovo libro nel cassetto…

Claudio Alvigini: Il Capitano mi è costato così tanto che adesso, arrivati finalmente alla pubblicazione, mi sento come svuotato, capace solo di battermi con tutte le mie possibilità e forze per promuoverlo e farlo conoscere. C’è una spremuta di vita in questo libro, ho dato ad esso così tanto che ci vorrà un po’ di tempo per riprendere le forze… Forse non così lontano vedo semmai un ritorno alla poesia; più in là vedremo. Ma sai queste cose valgono fino a un certo punto perché io non ho mai programmato niente, quindi anche quello che ho appena detto potrebbe essere smentito domani. La scrittura, in fondo, mi ha sempre sorpreso, è sempre venuta lei quando e come voleva, e quando io magari, non me lo aspettavo proprio. Quindi, mai dire mai, e chissà che...


A.M.: Salutaci con una citazione…

Claudio Alvigini: Prima della citazione permettimi di congratularmi per il livello delle tue domande che denotano sensibilità profonda, amore per la letteratura e grande e attenzione, oltre, naturalmente, a grande professionalità. Ne sono rimasto assai colpito. La citazione, a questo punto, non può che essere fagioliana. Mi piace perché esprime una profonda verità attraverso un’apparente contraddizione, quasi un ossimoro: “La libertà è l’obbligo assoluto di essere esseri umani”. Grato della tua attenzione, ti mando un abbraccio.


A.M.: Claudio sei molto gentile e ti ringrazio per le tue sentite parole. La nostra intervista, le mie “curiosità” sono nate grazie alla tua interessante opera “Il Capitano di Bastur”, dunque è nella stessa che individuo il motore di questa piacevole chiacchierata. Ti saluto con una piccola sorpresa… ho avuto la possibilità di dare uno sguardo ad “Il principio di non contraddizione” (Manni editori, 2012 con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti) trovandolo intrigante e di riflessiva memoria: “Quando il sasso/ buttato dentro l’acqua/ planando placido sul fondo/ avrà spento/ i cerchi in superficie,/ tutto ritornerà/ com’era prima.// Nessuno saprà mai/ di quel momento.// L’acqua sarà/ com’era sempre stata,/ la superficie del tempo/ scorre di nuovo liscia/ senza nessun avvenimento/ ad incresparla.// […] “Il tempo”


Written by Alessia Mocci



Info
Sito Macabor Editore
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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/11/15/intervista-di-alessia-mocci-a-claudio-alvigini-vi-presentiamo-il-capitano-di-bastur/

Intervista di Alessia Mocci ad Angelo Lamberti: vi presentiamo Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze



[…] E non ho tempo di guardare se fuori/ è rimasta la comicità della luna/ o la crudeltà dell’alba.” ‒ “La casa dell’infanzia”


“Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze” edito nel 2010 dalla casa editrice Negretto Editore è una silloge poetica di Angelo Lamberti. L’autore nato nel 1942 a Castel d’Ario, in provincia di Mantova, vanta un ricco curriculum di pubblicazioni tra poesia e teatro.

Ricordiamo brevemente ‒ per non tediare il lettore in un elenco troppo vasto ‒ la prima raccolta poetica del 1994 con la casa editrice Trito e Ritrito “Colpevoli d’innocenza” e l’ultima nel 2018 con Ace International “La morte non esiste”; in campo teatrale sono varie le collaborazioni con registi quali Mattia Giorgetti, Nanni Fabbri, Buno Garilli, Maria Grazia Bettini, Luigi Tani, Pino Manzari, Gherardo Coltri, Ruggero Jacobbi e le rappresentazioni a New York, Lugano, Mantova, Milano, Roma, Verona.

“Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze” è suddiviso in quattro parti, la prima denominata “Scene di vita da un cimitero” presenta le date 1942-1958; la seconda “Alfredo, non fu possibile diversamente” vede come determinazione gli anni che vanno dal 1980 al 1988; la terza “Lea, il malessere dell’attesa” va dal 1995 al 2007; infine la quarta “Parole di sesamo” che chiude la raccolta con un pugno di versi che mettono in luce ciò che si è seminato nelle precedenti parti.

La raccolta di cui parleremo in questa intervista è risultata vincitrice nel 2011 al Premio “Garcia Lorca” di Torino.


A.M.: Angelo ti ringrazio per aver accettato questa intervista. Vorrei partire da una domanda che forse ti avranno già rivolto ma a cui non posso fare a meno: “Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze”, perché un titolo così particolare?

Angelo Lamberti: Colgo l’occasione di questa intervista per dire che il libro è uscito soprattutto per le insistenze di Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale, per convincermi alla pubblicazione, mi ha sedotto con il dono della sua preziosa prefazione. Nella prefazione Bàrberi Squarotti svela il mistero del titolo, che mi è stato ispirato dalla didascalia di un’immagine calcistica, più precisamente di un derby milanese disputato nei primi anni cinquanta. Infatti, il “Pompiere” è l’ex centravanti del Milan Gunnar Nordhal; il “Kamikaze” è l’ex portiere dell’Inter Giorgio Ghezzi. Il ricordo della succitata didascalia, lo devo alle letture (quand’ero bambino) del quotidiano socialista “l’Avanti”, a casa di mio nonno. Il cosiddetto mistero è poeticamente svelato a pagina 40 del volume. Nelle sezioni che compongono la silloge, può esserci per il lettore, il mistero di un altro titolo, aggravato perdipiù, (per colpa mia), da un refuso. Si tratta del titolo assegnato a una sezione: “unciduncitrinciquariquarinci”, che altri non è che un conteggio giocoso e progressivo, (uno-due-tre-quattro-cinque...), armoniosa-mente deformato a scioglilingua-filastrocca, e adottato da noi bambini a mo’ di conta, per l’assegnazione dei ruoli nei giochi di gruppo.


A.M.: La tua silloge presenta numerosi cenni autobiografici di forte rilievo come la nascita durante la guerra in una stanza del cimitero o come il ritorno di un padre lontano. Perché l’uomo attraverso l’arte sente l’esigenza di raccontare la sua vita?

Angelo Lamberti: Forse per la conferma e la conseguente sublimazione di un tempo vissuto. Fors’anche per una romantica (e/o poetica) forma di risarcimento spirituale.


A.M.: Nella lirica “La casa dell’infanzia” scrivi: “[...] Mi aspetta un lavoro di raspa e di lima/ora che sciolgo il nodo della memoria/e come al suo vizio il baro/mi corro incontro a ritroso// [...]”. Ed ancora nella lirica “Asilo di Castel d’Ario”: “[...] e la memoria non ha più pagine/per rintracciare intrecci/ormai privi di trama// [...]”.

Angelo Lamberti: Quando accade che l’essere umano – il poeta – incorre nella necessità di intraprendere un viaggio nel suo passato? Non so se e quando l’uomo – il poeta - senta esattamente questa necessità. Per quanto mi riguarda, penso di averla sempre avuta; in ragione anche di un’infanzia (la mia) segnata da episodi ed eventi indelebilmente impressionabili.


A.M.: Ne “Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze”, la figura di tuo padre è quella che compare maggiormente, dalla sua lontananza al suo ritorno, dalla sua attività di barbiere alla sua morte, dal vestito della domenica che diviene l’abito funerario, alle continue domande sulla vita di un uomo dipinto: “[...] come premeditato riflesso/ d’universo://ogni volta diverso.”

Angelo Lamberti: Parlare di mio padre me lo impone l’umana valutazione di un rapporto (il nostro) caratterizzato da scambi, che hanno avuto momenti intensi quanto fortemente aspri e contradditori; all’inizio certamente più bui che luminosi. Nella raccolta, già dall’inizio ho cercato di dare una traccia del clima che si respirava nella realtà famigliare, con il capitolo introduttivo dal titolo: “Risaie e rasoi” (pagina 17). È stato un rapporto condizionato e difficile, a volte con esiti contrari ai nostri reali sentimenti e alla nostra volontà  (“Non fu possibile diversamente” – pagina 25). Con mia madre il rapporto è stato più dolce e comprensivo. Della raccolta mi limito qui a segnalare una poesia: “L’acqua nell’acqua”, (pagina 67), che, senza dilungarmi in pleonastiche spiegazioni, (esplicitarla negli anfratti delle sue ragioni, mi occuperebbe diverse pagine), vuole essere la dichiarata speranza che ci sia un domani, in un altrove, (altrimenti il vivere sarebbe inutile), in cui io la possa rivedere e riabbracciare, come quaggiù la nuvola di pioggia diventa un tutt’uno con l’acqua del fiume...


A.M.: La Solitudine. Un dono e una dannazione.
Angelo Lamberti: Più che un dono e/o una dannazione, la solitudine è una condizione. Vedasi: Gesù Cristo: “Elì, Elì, lemà sabactani?”; Salvatore Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuor della terra...”;  Leo Longanesi: “Sono talmente solo, che lo specchio non mi riflette più.” Il poeta: laureato/e non/malinconico/solingo/depresso/, paradossalmente può finanche ringraziare la dannata Solitudine, per avergli ispirato ed elargito, il dono di versi divini. Da parte mia, credo che la solitudine, unita alla vecchiaia, sia la miglior preparazione per la conoscenza della Morte. (Dico questo anche in ragione degli anni che ho trascorso in un cimitero, (sedici, in un periodo, che va dalla nascita all’adolescenza), che mi induce a ritenere d’essere, (seppur da teorico dilettante), un esperto in materia).


A.M.: Eugenio Montale in un’intervista del 1959 sostiene che i poeti sono i lettori dei poeti, e che non c’è un vero e proprio mondo di lettori di poesia. Pensi che Montale avesse ragione?

Angelo Lamberti: Montale aveva ragione. Del resto lui stesso ha ammesso che quando doveva dichiarare verbalmente o apporlo per iscritto sui dei documenti, qual era la sua effettiva professione, preferiva adottare quella generica di Giornalista. Quello della poesia è un mondo frequentato da soggetti che formano, loro malgrado, un circolo chiuso di emarginati (vedi l’albatro dalla “Ballata di un marinaio” di Coleridge). Anche se (umoristicamente quanto giustamente) Gesualdo Bufalino dice che: “Tutti al mondo sono poeti, persino i poeti.” In concreto c’è da dire che viviamo in un’epoca in cui le case editrici privilegiano, (prevalentemente), quegli scrittori che assicurano loro un vantaggio economico. Ecco quindi spuntare e crescere come funghi, cultori della remunerativa forma cosiddetta  del: noir, giallo, suspense, thrilling... Fermo restando che la forma di scrittura più difficile e poco redditizia, rimane per me quella teatrale. Del resto il più grande scrittore di tutti i tempi (Shakespeare) è diventato Shakespeare scrivendo per il teatro; forma oggigiorno mal-considerata dagli Editori.


A.M.: Ogni poeta ha un fanciullesco riferimento, mi piace denominarlo “un padre di poesia”. Quali sono i versi che ti hanno amorevolmente seguito nel corso della tua giovinezza?

Angelo Lamberti: L’albero a cui tendevi/ la pargoletta mano...” Successivamente ho amato un numero sterminato di poesie partorite, tra gli altri, da: Leopardi, Baudelaire, Dickinson, Rimbaud, Kavafis, Ungaretti, Montale, Corazzini, Borges, Landolfi, Caproni, Campana, Bufalino, Neri Pontiggia, Cappi, Malagò, etc... Per la mia formazione poetica, un “grazie” cordiale, devoto e senza confine lo devo riconoscere ed elargire a Franz Kafka e a Umberto Bellintani (il quale mi considerava: “un figlio spirituale”). Umberto Bellintani lo vorrei inoltre ricordare per una sua caustica affermazione: “Le poesie vanno lette nel silenzio più assoluto, e nella più completa solitudine. Ecco perché ritengo che il luogo più congeniale sia il cesso.


A.M.: Come ti sei trovato con la casa editrice Negretto Editore? La consiglieresti?
Angelo Lamberti: Con Silvano Negretto c’è da sempre un rapporto di amicizia, di stima, e di affinità ideologiche, che si è graniticamente confermato e consolidato nel corso degli anni. Consiglio a trecentosessanta gradi la Casa Editrice Negretto, precisando però, (onde evitare malintesi), che il titolare (Silvano Negretto) non ha mai pubblicato (non ne sarebbe capace) da Imprenditore sensibile alle esigenze di un successo economico, ma soprattutto (sarebbe forse meglio dire unicamente) da Editore sensibile alle ragioni intellettuali ed ideologiche che può rintracciare e cogliere tra le parole scritte cui è sottoposto a valutare.


A.M.: Salutaci con una citazione...
Angelo Lamberti: “Il coito quale punizione della felicità di stare insieme.” ‒ Franz Kafka
“La morte non esiste.” ‒ Umberto Bellintani
“C’è chi crede che la rettitudine sia una disfunzione intestinale.” ‒ Giuliano Parenti
“Una testa può anche non servire, quando c’è un cappello.” ‒ Angelo Lamberti


A.M.: Angelo ti ringrazio per il tempo che hai concesso a questa intervista e ti saluto anche io con quattro autori provando a continuare la conversazione. Cito Henri Frederic Amiel “Tutte le colpe producono da sé la propria punizione.”; Arthur Schopenhauer “Non v'è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l'intervallo.”; Fedro “Sopporta che ti siano pari nella dignità quelli che sono inferiori a te per valore.”; ed infine Harold Pinter “È impressionante a quanta gente la propria testa serva unicamente quale supporto per i capelli e i cappelli.”.


Written by Alessia Mocci
Ufficio Stampa Negretto Editore


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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/11/08/intervista-di-alessia-mocci-ad-angelo-lamberti-vi-presentiamo-il-pompiere-salta-cavallerescamente-il-kamikaze/
           
 






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