La metafisica della potentia in François Zourabichvili
Nel
panorama della filosofia contemporanea, la
figura di François Zourabichvili (1965-2006), nonostante la breve durata
della sua parabola esistenziale ed intellettuale – prematuramente interrotta per il suicidio dell’autore – da alcuni
anni comincia ad essere riconosciuta, anche al di là dei confini francesi, come
un unicum, paragonabile per
eccezionalità alla figura del nostro Carlo Michelstaedter (con cui peraltro
Zourabichvili, indirettamente, condivide non pochi aspetti teoretici, oltre
alla tragica morte).
Irriducibile ad entrambe le
correnti dominanti nel dibattito filosofico odierno, e
cioè lontano tanto dal contesto ‘epistemologico’ dell’analitica neo-empirista,
quanto dall’orizzonte ‘narratologico’ del costruttivismo ermeneutico, l’opera
di Zourabichvili si inserisce nel fiume carsico del cosiddetto «pensiero della differenza» che – dopo
la grande ouverture tardo ottocentesca di Nietzsche – ha trovato in Michel Foucault e, a seguire, in Gilles Deleuze la
massima espressione novecentesca.
Morte
del soggetto?
Il carattere eccentrico
della filosofia di Zourabichvili trova anzitutto
corrispondenza nella esemplarità del suo Autore d’elezione, Baruch Spinoza, a
cui egli nel 2002 ha
dedicato il suo libro più innovativo – Spinoza.
Una fisica del pensiero – coevo del saggio, Infanzia e regno. Il conservatorismo paradossale di Spinoza, che
qui presentiamo.
Per
le fondamentali implicazioni etiche e politiche di questa lettura dello spinozismo,
che combina in modo originale le analisi
deleuziane della corporeità con le riflessioni foucaultiane sulla
microfisica governamentale – in particolare per la genealogia delle “chimere”
che ineriscono al mito moderno dello Stato “sovrano” – rimandiamo all’ottima
Introduzione della traduttrice e curatrice Cristina Zaltieri, nonché ai
capitoli finali del testo (nella fattispecie il cap. VII “Il sogno trasformista
della monarchia assoluta” e il cap. VIII “Cos’è una moltitudine libera? Guerra
e civilizzazione”, pp. 229-277).
Qui
ci limitiamo a sondare, per brevi tratti,
la profondità speculativa tutta racchiusa in quel «conservatorismo paradossale»
che compare in qualità di sottotitolo: una profondità metafisica che, se nasce certamente dal serrato confronto con la
filosofia spinoziana, si rivela nondimeno costitutiva del pensare stesso di Zourabichvili.
Che cosa è, o meglio, che
cosa “può” l’individuo?
È
questa la domanda intorno cui gravitano le intense pagine, non facili, del
filosofo francese, fin dalle iniziali considerazioni del Primo Studio,
“Inviluppare un’altra natura. Inviluppare la natura” (pp. 59-110). Una domanda che a prima vista potrebbe
suonare anacronistica, proprio nella nostra epoca, in cui sembra ormai
assodata e quasi banale l’assunzione della morte del soggetto, la
‘liquidazione’ della individualità in tutte le sue manifestazioni.
Fine della soggettività che
sarebbe l’effetto ultimativo, necessario ed irrevocabile,
della de-umanizzazione operata dalla razionalità scientifica lungo l’intero
corso del Moderno, il cui intrinseco artificialismo tecnologico oggi troverebbe
fatale compimento nelle sembianze umbratili e fantasmatiche della realtà
virtuale.
A
tale rassegnata constatazione, che subisce l’obiettivismo della scienza inneggiando
(in maniera non del tutto coerente) al relativismo dei valori, e che si reitera
riproducendosi nelle infinite decostruzioni di tanta ermeneutica ‘debole’ e di
tanto (sedicente) realismo
‘post-metafisico’, nulla concede la meditazione ontologica di Zourabichvili
sull’individuo, la cui ratio è per lui ben lungi dal doversi
esaurire nell’interpretazione ‘nichilistica’ che la tarda modernità ha
dato, e continua a dare, di sé.
Il
soggetto e l’Altro
La paradossalità della
posizione ‘conservatrice’ di Zourabichvili rispetto al mainstream filosofico contemporaneo non
si traduce, tuttavia, in un’adesione acritica al soggettivismo classico,
cartesiano. E qui si riconferma la presenza cruciale di Spinoza: uno Spinoza molto ‘nietzscheano’ laddove,
beninteso, anche Nietzsche sia stato sottratto all’ombra lunga
‘postmodernista’ di cui si è appena accennato (cfr. Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino
2017).
Spinoza agisce in
Zourabichvili in un duplice senso.
Dapprima,
teoreticamente, il concetto spinoziano
di modo scongiura il rischio di
scambiare il soggetto per una sostanza solipsistica auto-riferita e in sé
conchiusa: il soggetto, ogni soggetto (quello singolo come quello collettivo) è
espressione di una Sostanza che, pur
incarnandosi nella rete immanente delle relazioni intramondane, tutte le
trascende in quanto da nessuna relazione può mai venire definitivamente
‘com-presa’.
Al
contempo, antropologicamente, la nozione
spinoziana di conatus consente
l’affrancarsi del soggetto dall’ipoteca intellettualistica che la modernità
(o almeno, la sua versione ortodossa) gli ha spesso assegnato.
L’individuo, con la sua
caratteristica intellettualità, non rappresenta una
negazione della naturalità da cui proviene. La natura non “si annulla” nel soggetto
pensante: l’individuo, al contrario, tanto più sarà tale – ossia, tanto più
potrà ‘individuarsi’ (sese conservandi)
– quanto più saprà pensare la natura che, in lui e fuori di lui, “si muove”.
Rendere “ragione” dell’Altro: è
questa per Spinoza la ratio che fa
del soggetto propriamente se stesso, perché soltanto l’intelligenza
dell’alterità – di ciò che sempre ‘muta’ – assicura la “formazione”
dell’individuo come identità, ossia come
il Medesimo, ciò che sempre ‘sta’ (con tutte le risonanze hegeliane del
tema, che Zourabichvili non manca di esplicitare).
Metafisica
e potenza
Una siffatta interpretazione
‘energetica’ della ragione moderna – con la conseguente
problematizzazione della matrice ‘politica’ che la innerva (l’inesausta
dialettica tra politeia e polemos, tra ‘costituzione’ e
‘conflitto’) – rende la prestazione filosofica di Zourabichvili davvero sui generis, ma non deve trarre in
inganno: non stiamo assistendo ad una versione aggiornata di “occasionalismo”
irrazionalistico ed anti-moderno (che semmai del moderno razionalismo
rappresenterebbe, qui come altrove, non altro che la cattiva coscienza).
La sfida lanciata da
Zourabichvili si realizza sul piano ideale,
anziché essere meramente ideologica. Si tratta di un’esperienza di pensiero
rigorosa che ha dunque una veste, non
arcaica, bensì archeica: è
l’esperienza stessa della metafisica, la metafisica autentica (non certo quella
degenerata in dogmatica), il cui fondamento – l’Arché – Zourabichvili intende
riattualizzare.
Ciò
che, ancora una volta, è reso plausibile dal ricorso al referente spinoziano,
qualora si riporti all’attenzione una figura di notevole importanza per
l’autore dell’Ethica: la metafora dell’infans. In virtù del principio cosmologico del «Deus sive
Substantia sive Natura», con cui Spinoza legge in chiave ‘moderna’ l’antico
Logos platonico ed ancor prima eracliteo, Zourabichvili ripensa alla medesima
“volontà di potenza” che, trecento anni dopo, apparterrà all’Oltre-uomo di
Nietzsche: l’allegoria metafisica del
“fanciullo” che sa corrispondere – attraverso la ‘potenza’ della risata – all’eternità di ogni essente, al suo
“eterno ritorno”, che è ‘potente’ in quanto
manifesta presenza dell’assoluto possibile
(cfr. Rocco Ronchi, Il canone minore. Verso
una filosofia della natura, Feltrinelli 2017).
Ecco perché il
«conservatorismo paradossale» di Infanzia
e regno non ha nulla di moralistico, pur facendosi portatore di
un’istanza paidetica ed ‘umanista’ decisiva e radicale: l’auspicio che ciascun
individuo (e di conseguenza ciascuna collettività) sappia riconoscere la propria essenziale Physis, la “natura”
irripetibile della propria originaria Singolarità, immagine di quella immemorabile potentia
‘creativa’ dell’Origine che nessuna Ragione è in grado di de-terminare
‘scientificamente’, ma che fonda la possibilità
ontologica della nostra stessa esistenza.
Written by Davide
Inchierchia
Info
Sito
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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2017/12/11/le-metier-de-la-critique-la-metafisica-della-potentia-in-francois-zourabichvili/