Intervista di Alessia Mocci a Massimo Pinto: vi presentiamo la silloge poetica Cento Farfalle e… più
“Come ogni sera
ancora,/ con la tua onda lunga/ tu mi addormenti, mare,/ e mi culli amoroso/
nella notte stellata./ Sicuro come un bimbo/ sulla barca ondeggiante/ si
affollano nel sogno/ le domande di sempre:/ perché mai proprio tu,/ tu che non
sai perché,/ sei stato un giorno eletto/ ad elemento primo/ di questo nostro
globo?/ […]” ‒ “Sogno del pescatore
(Cantico del mare)”
Edita a dicembre
2017, “Cento Farfalle e… più” è la prima raccolta poetica di Massimo Pinto,
autore conosciuto con il romanzo storico “Il trono del padre ‒ L’Innocenza”
pubblicato nel 2016 dalla casa editrice romana Bastogi Libri.
Massimo Pinto è nato
e vive a Roma, laureato in Economia alla Sapienza ed in Teologia presso
l’Ateneo Romano della Santa Croce. È
Croce al Merito Melitense del Sovrano Militare Ordine di Malta. Nel 1998 ha
pubblicato il saggio “Stato sociale e persona”.
“Il trono del padre ‒
L’innocenza” è stato premiato il 17 giugno 2017 con una Segnalazione
Particolare della Giuria presso la prestigiosa Abbazia di San Fedele a Poppi
(Arezzo) per la 42° edizione del Premio Letterario Casentino, nella sezione
narrativa/saggistica edita.
La prefazione de
“Cento Farfalle e… più” porta la firma di Massimiliano Grotti: “Al pari di pennellate sicure di mano
esperta, la poesia di Massimo Pinto diviene magia della parola e questa muta,
si trasforma da crisalide a farfalla dando voce al silenzio intimo del sé ma
allo stesso tempo è in grado anche di rivivere quello stesso silenzio, per dare
identità a un viaggio poetico che si fa diario di vite vissute.”
Concorde con Grotti
intravedo nella silloge una trasformazione da crisalide a farfalla, dalle
poesie giovanili a quelle più mature in una compostezza che tende all’onirico,
al divino, al realismo.
Massimo Pinto è stato
molto disponibile nel rispondere a qualche domanda sulla sua nuova
pubblicazione.
A.M.: Ciao
Massimo, ti ho conosciuto con “Il trono del padre ‒ L’innocenza” e non ti
nascondo la mia sorpresa quando ho saputo della pubblicazione di una raccolta
poetica. Vorrei, dunque, esplorare con te il momento in cui hai iniziato a
cimentarti nella scrittura in versi.
Massimo Pinto: Molto
presto, infatti la mia scrittura in genere, ma in particolare quella in versi,
risale al tempo del ginnasio, anzi addirittura delle medie, con liriche
scaturite di getto e, come è proprio di quella età, sentite, ingenue, vere, ma
anche dolenti e liberatorie. Avrai notato che la raccolta “Cento farfalle e…
più”, “e… più” perché i componimenti riportati sono 114, ha uno sviluppo
cronologico e si snoda dalla giovinezza all’attuale tarda età, passando per la
pienezza della maturità. Le prime poesie di questa raccolta sono state scritte
a quindici-sedici anni, avendo scartate quelle troppo ingenue e/o incerte. Ma
ti dico di più: da principio le conservavo, in stampatello e a matita, su fogli
di blocco notes, poi cominciai a raccoglierle in una cartellina, più tardi
presi a ricopiarle a macchina, la mitica Olivetti Lettera 22 di mio padre, ma è
accaduto tre o quattro volte che quella cartellina, tra università, lavoro,
matrimonio, figli e traslochi, l’abbia perduta, eppure, superato il panico,
sono sempre riuscito a riscrivere tutte quelle composte sino a quel momento,
semplicemente a memoria. Da ultimo è intervenuto il computer.
A.M.: “Cento
farfalle e… più” si apre con la prefazione di Massimiliano Grotti. Com’è nata
questa collaborazione?
Massimo Pinto: Dopo
aver scritto il romanzo “Il Trono del Padre (L’innocenza)” lo feci vagliare da
una nota Agenzia Letteraria di Roma e, dopo quattro mesi dall’incarico, mi
giunse una lettera di esegesi critica a tutto tondo, era scritta magistralmente
da Massimiliano Grotti, con anche “stroncature” sapienti e motivate (altre
meno). Parlai allora telefonicamente a lungo con questo giovane letterato, poi
passai quattro mesi a correggere il romanzo, sulle linee giuda dei consigli del
Grotti, per quanto riguardava lo stile e la correttezza linguistica, ma non
recependo invece i suoi suggerimenti, per quanto riguardava la trama. Così il
romanzo ne uscì molto più gradevole da leggere, anche più corto di 40 pagine,
strutturato in più capitoli (8 anziché 6) ma assolutamente lo stesso in quanto
a contenuti e significati. Questo sodalizio tra me settantenne e il bravo
trentenne si fece più stretto alla presentazione del libro e poi, dopo aver
letto le mie poesie, fu il Grotti stesso che si offrì per stenderne la
prefazione, in quanto, a suo dire, le erano piaciute e molto. Indubbiamente la
prefazione di Massimiliano Grotti, dotta, sapiente ed ispirata, ha aggiunto
valore al libro.
A.M.: Ho
apprezzato il tuo “consiglio” al lettore sul tempo di lettura di un libro di
poesie. La poesia è una forma di riflessione che evoca archetipi e dunque
immagini simboliche che non son di immediata comprensione. Secondo te qual è il
tempo necessario per la lettura di “Cento farfalle e… più” e qual è stato il
libro su cui ti sei soffermato di più?
Massimo Pinto: Nessuna
opera letteraria dovrebbe essere letta una volta per tutte e ciò, se vale per i
saggi ed i romanzi, vale molto di più per le poesie, perché la lettura ripetuta
dà sempre spunti nuovi, diversi e talvolta persino antitetici ai precedenti,
dipendendo anche dalle diverse fasi della vita del lettore. Ciò premesso però,
dato che la vita non è eterna e la giornata finita, ci si limita a rileggere
quelle opere che più hanno inciso sul nostro sentire. Per quanto riguarda la
poesia, poi, ciò (intendo più riletture) dovrebbe avvenire sempre perché è
anche più facile. I libri di poesie dovrebbero restare sempre aperti e mai
chiudersi definitivamente, pronti ad essere sfogliati di tanto in tanto. Molte
sono le poesie che rileggo, però il mio libro di poesie sul mio comodino ideale
è senza dubbio “Vittorio Sereni Tutte le poesie a cura di Maria Teresa Sereni,
con prefazione di Dante Isella, Garzanti”. Mi sento infatti così affine, anche
se lui è irraggiungibile, a questo grandissimo poeta!
A.M.: Nella
raccolta colpisce una ricercata variatio di metro, infatti spazi dagli
endecasillabi ai versi liberi, dai novenari ai settenari e così via. Cosa stavi
cercando esattamente?
Massimo Pinto: La
scelta della metrica non è per me una scelta (scusa il bisticcio di parole),
non cerco mai qualcosa con la metrica di un determinato componimento, esso
nasce così. Ti spiego meglio: la poesia, subito dal momento della sua
ispirazione, al primo fermare le parole sopra un supporto (anche una busta
della spesa al momento), nasce immediatamente con una sua metrica, anzi sono io
che, come se le stesse scrivendo un altro, conto le sillabe per capire di che
verso si tratti e così vado avanti. E, ti dirò, la metrica finale, la
musicalità dettagliata e dell’insieme, sono sempre molto coerenti col
contenuto. Ti do un’altra chiave, qui di seguito, quasi un segreto mio, che
però non devi prendere in senso assolutamente rigoroso. Le mie poesie sono
così: se la metrica è espressa in maniera esatta, il componimento è diviso in
strofe, e c’è anche la rima, baciata o alternata, si tratta di una ispirazione
compiuta, pacificata, che esprime tutto, senza quasi altre domande. Se, invece,
si tratta di una struttura ben definita, come la precedente, ma non c’è rima,
si è al cospetto di una composizione sì di ispirazione compiuta, con concetti
altrettanto delineati, ma con molti interrogativi aperti per me e per il
lettore. Se si tratta, infine, di un verso libero, i significati, il
coinvolgimento, il pathos interiore non hanno confini, e così la drammaticità:
è una poesia che io chiamo “aperta”. Ho voluto poi indicare, per ogni
componimento, la metrica e la struttura semplicemente per preparare il lettore
a leggere meglio. Lo sai che le poesie dovrebbero essere lette, sia con gli
occhi che con la bocca, quasi cantando, come nell’antichità classica? Perché
anche quelle a versi liberi hanno sempre una loro musicalità.
A.M.: “Sotto quel marmo tu/ in eterno ormai giaci,/
tu che vivesti solo/ nel ricordo del padre,/ intorno alla cui rossa/ ara
trionfante stanno/ i turisti distratti./ […]” Così inizia la lirica
“Napoleon II”, la cito non a caso per riprendere il tuo romanzo edito nel 2016,
“Il trono del padre – L’innocenza”. Cosa significa essere padre e cosa
significa essere figlio? Perché consideri Napoleone II “fratello ed amico”?
Massimo Pinto: Essere
padre significa essere votati e pronti al sacrificio e al martirio, perché,
come padri, non solo dobbiamo permettere e tollerare che nostro figlio, ad un
certo punto, ci uccida, beninteso in senso metaforico e apparentemente
incruento, ma non meno terribile, e, come figli (maschi), dobbiamo essere
quanto prima consapevoli che, se non diventiamo parricidi, non evolveremo mai in
una persona compiuta. Perché Napoleon II è mio fratello e amico, fratello e
amico di Fausto? Perché sono la stessa
persona in due epoche storiche diverse, in quanto non hanno potuto uccidere i
rispettivi genitori perché questi ultimi si sono loro nascosti, e allora
l’hanno dovuto fare tardivamente e solo in effige, non con la presenza di
entrambi i padri. Tutto questo non è vero per le madri e le figlie femmine, ma
quello è un altro mondo che esula dal nostro discorso. A proposito lo sai
perché il mio romanzo piace soprattutto alle lettrici? Perché leggendomi
imparano a conoscere un po’ quella psicologia, e di conseguenza fragilità,
maschile che spesso sottovalutano (e viceversa per noi maschi).
A.M.: La lirica
“Domande”, dal titolo esplicativo, districa un argomento assai caro: la
curiosità. Infatti in incipit troviamo: “Sono
infinite/ dell’uomo le domande,/ ed è questo il problema:/ perché a ciascuna/
ci son mille risposte/ e certa quasi mai/ nessuna./ Si moltiplicano, allora,/ e
si accavallano/ e la curiosità/ in angoscia si muta.// […]”. Qual è il tuo
rapporto con la divinità?
Massimo Pinto: Il
rapporto con Dio alberga in quasi tutte le mie poesie o almeno in moltissime, è
il mio cruccio, il mio tormento e la mia estasi (rileggiti, ti prego, “Sogno del
pescatore – cantico del mare”), ma la mia non è una preghiera, non è neppure
un’adorazione, bensì, certo conscio della mia finitezza, della limitazione dei
sensi e dell’intelletto, è un rapporto dialettico, a volte persino un litigio.
Io ci parlo e sovente ci litigo, perché l’uomo è consapevole dell’infinito ma è
finito, con un contrasto, tra comprendere, capire e poter fare, insormontabile
e penoso, privo di un autentico “libero arbitrio”, condizionato sin dalla
nascita e poi sempre e con la morte in agguato ed inevitabile. È lo stesso
rapporto anche di rimprovero e quasi sfida che persino un papa ha pronunciato,
almeno una volta a mia conoscenza, Paolo VI: “Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro,
di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”. Ma analogo lo
pronunciò lo stesso Cristo, stando al vangelo: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Poi ci sarebbe da fare un
altro discorso sul merito dell’esistenza di Dio (e “il soffiare del vento” che
non svela il segreto è la metafora del “silenzio di Dio”), adombrato nel mio
romanzo, quando pongo la possibilità che la nostra realtà sia soltanto una
illusione, quando dico che la soluzione di tutte le congetture di fede e
scientifiche, sulla esistenza nostra e del creato, potrebbe risiedere nella
eguaglianza, corrispondenza tra zero (il nulla) e infinito (il tutto). Faccio
notare che il problema dell’esistenza di Dio potrebbe trovare una seria
spallata, e ne ho paura, dalla possibilità attuale dell’uomo di clonare animali
superiori e, quindi, anche l’uomo. Ma rabbrividisco di sgomento al pensiero!
A.M.: “Dolce e
iraconda”, “Grandiosa e sordida”, “Gloriosa e vile”, “Arida e romantica”,
“Ribelle e noncurante: c’è un mercato/ove fu il rogo di Giordano Bruno”, “Pigra
e operosa”, “Scontata e imprevedibile”, “Virtuosa e meretrice”, “Dignitosa e
scurrile”, “Odiata e amata”, “Sacra e profana”, “ove l’apoteosi/ s’incontra del
divino con l’umano”. Come si vive a Roma? Hai mai pensato di trasferirti in
un’altra città?
Massimo Pinto: Con
quella lirica ho ottenuto quello che volevo: dare l’esatta dimensione e sensazione
dell’abisso di turpitudine che, anche storicamente, oltre che fisicamente, Roma
presenta, che non può scalfire l’infinita e sovrumana bellezza della più grande
apoteosi metaforica dell’incontro del divino con l’umano ‒ addirittura
effigiata nella Cappella Sistina ‒ esistente al mondo. Si può vivere più o meno
bene in tutto il mondo, però, se uno ha avuto la sorte, direi la fortuna, di
nascere qua, dove peraltro spesso si sente estraniato, tanto più forte di lui è
l’“aura” di questo luogo (città è riduttivo), si sentirebbe estraneo e orfano
in qualunque altro posto.
A.M.: Un poeta.
Un musicista. Un pittore. Un regista.
Massimo Pinto: Ti
rispondo proprio di corsa, senza ripensamenti. Poeta? Oddio è una bella lotta
per me tra Eugenio Montale e Vittorio Sereni, mi sento tanto affine, anche se
altrettanto inferiore, ad entrambi. Diciamo “Montreni”? Musicista? George
Gershwin: la musica perfetta, interprete del secolo appena trascorso (il
ventesimo), ma oggi non lo è di questo (il ventunesimo). Pittore? Mino Maccari,
così verista pure se espressionista, sia negli oli che nei bozzetti, che ha
dipinto e disegnato dal 1916 al 1989, interpretando grandezze, meschinità e
drammi del suo secolo formidabile e terribile, che è anche in prevalenza il
mio. A me sembra di essere me stesso, se sapessi disegnare e dipingere. Un
regista? Senza dubbio un’altra dicotomia: Ettore Scola e Dino Risi. Mi dispiace
ma non riesco a far prevalere l’uno sull’altro: Il primo più dolente e
problematico, il secondo apparentemente, ma solo apparentemente, più “leggero”.
Due geni, due facce di un’anima sola, la vogliamo chiamare “Scrisi”?
A.M.: Hai in
programma delle presentazioni di “Cento farfalle e… più”? Se sì, in quale
città?
Massimo Pinto: Certo,
ci sarà una prima presentazione ufficiale a Roma, la data precisa non è ancora
stata fissata ma posso anticipare che sarà per il mese di marzo. Seguiranno,
poi, presentazioni in altre città italiane.
A.M.: Salutaci
con una citazione…
Massimo Pinto: Non
posso che ripetere quella che ho riportato alla fine del mio libro di poesie,
attribuita alla buona, libera e grande Alda Merini: “Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita”.
Perché senza la follia, che sia poca o molta, non c’è poesia.
A.M.: Massimo mi
hai donato una bellissima chiusura con Alda Merini. Ti ringrazio per la
sincerità delle tue risposte nelle quali si nota l’uomo e l’artista in un
unicum indissolubile. Ti saluto con le parole dell’amatissimo Plotino: “Bisogna, però, spiegare la portata della
purificazione, in maniera tale da chiarire con chi avviene l’assimilazione e
con quale Dio l’identificazione. […] È probabile che, una volta liberatasi dal
corpo, l’Anima converga in se stessa, per così dire, con tutte le sue parti, e
in questo stato si estranei da ogni passione, accettando solo quelle sensazioni
piacevoli che sono strettamente necessarie e hanno un valore terapeutico nel
rintuzzare gli affanni, e nell’evitarne le angustie.”
Written by Alessia Mocci
Info
Sito Bastogi Libri
http://www.bastogilibri.it/
Acquista “Cento Farfalle e… più”
https://www.lafeltrinelli.it/libri/pinto-massimo/cento-farfalle-e-piu/9788894894417
massi.pinto@tiscali.it
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/02/12/intervista-di-alessia-mocci-a-massimo-pinto-vi-presentiamo-la-silloge-poetica-cento-farfalle-e-piu/