Mi prende d’amore una forma di Nadia Alberici: i consueti verdi su per salite strane
“Quel che dissi/ era
un albero alto e diritto/ Beveva l’acqua dal canale/ e l’acqua si faceva forma/
e corteccia dura di tempo/ Raccoglieva visioni dall’azzurro/ e cuciva l’aria
con disegni ritorti/ E dissi/ l’albero cresciuto materia/ era quel me/ che
sarei divenuta/ se fossi cresciuta sola sotto la luna/ […]” ‒ “Quel che
dissi”
In una dimensione senza tempo, l’Io si individua in albero, nella materia in cui avrebbe potuto
esprimere ciò che l’acqua rievocava. L’Io sibila i versi tra la folla per
coloro che prestano attenzione al valore delle parole, simboli raccolti
nell’azzurro, nel cielo.
“Mi prende d’amore
una forma” è la seconda raccolta poetica di Nadia Alberici, edita nel 2018 in coedizione tra Negretto Editore e Gilgamesh Edizioni.
La prima silloge, “Terre incolte” è stata pubblicata nel 2015 da Gilgamesh
Edizioni.
Claudio Borghi,
insegnante di matematica e fisica, firma la presentazione della raccolta e Silvano Negretto cura, in chiusura, la
nota dell’editore.
“La fusione con la
natura, desiderata e desiderante, che ispiravan gran parte delle poesie di
“Terre incolte”, pare molto attutita, quasi messa tra parentesi; si percepisce
un continuo, teso scambio di sensazioni e pensieri tra il centro vivente e la
realtà che lo circonda e ne minaccia il corpo, lo confina nel cerchio, pulsante
tra sogno e coscienza, desiderio e paura, dell’esistenza.” ‒ Claudio
Borghi
Il sentire che genera pensiero in corrispondenza al centro
interno ed alla realtà che si percepisce e che si crea. La minaccia del corpo, la manifestazione materiale. Il discorrere
interiore che pone limiti all’evoluzione dell’imago che, necessariamente, orienta
le percezioni dello stesso. È l’Io che,
in viaggio, percepisce Anima come soffio che s’accende quando è
riconosciuta.
“Corpo morto corpo
fermo corpo vacuo/ corpo denso corpo intenso/ cuoce l’anima fresca/ come una
goccia di vento/ Io la sento che c’è e non c’è/ che s’inebria di me// […] e
quella foce di fiume loquace/ che corre davanti alle braccia e segue la traccia/
stringendo la terra/ Emersa.” ‒ “Corpo morto corpo fermo corpo vacuo”
Nadia Alberici,
nelle sue liriche, esercita la volontà
di esplorare l’istante, di sciogliersi in frammenti disperdendo la
coscienza in parole ‒ simili a capelli attorcigliati ‒ che sgorgano da una sorgente generando connessioni nuove ed
autentiche.
L’Io indaga sullo
scorrere e correre della vita, ogni domanda è ricerca dell’amica ‒ Anima ‒ che “congiunta e inseparabile” osserva e canta. Ogni domanda è elevarsi
dalla “distanza abissale” per vestire
la brezza dell’imitarne il canto, come
una cascata “di miele disciolto/ che
chiama una memoria”.
“Le parole non bastano
mai, anche se aiutano, per rispondere ai nostri dubbi; e il dubbio non è mai
sofferenza, è presa d’atto cosciente della misteriosa bellezza della Materia o
Natura vivente di cui Nadia si sente parte. L’anima, anche quando appare
sconvolta dalle emozioni, anche quando rischia di “perdere il senso”, trova
stabilità nella “terra inerte”, nella natura stabilmente viva, nella quale con
meraviglia siamo immersi.” ‒ Silvano Negretto
“Mi prende d’amore una forma” è una sequenza di colori nella quale rigoglia il verde – emblema della Natura ‒. In ben undici
liriche, infatti, siamo trasportati in questa figurazione: “il vento/ il verde”, “e gli odori dei passaggi sul verde prato”, “anime
molto/ folte/ verdi e scure”, “le pagine verdi”, “sono viaggi di ritorno/ in
ranghi desueti/ nei consueti verdi”, “e verdi fiordi dei boschi”, “s’interroga
con i segni dell’erba”, “quasi un’erba infestante”, “di erba e capelli”, “col
vento e nell’erba alta”, “i colori di erba”.
I consueti verdi, le
anime verdi, il vento verde. Quasi a dir che l’evadere dell’Io dal corpo
sia un rientrare nello status consueto
di Natura nel quale si raccoglievano “fiati
di animali e generi umani” e, di alberi. È uno “svanire nell’Universo” “nelle
albe ancora piene della notte”, è la
determinazione dell’incontro con l’altro che abita nel corpo da quando si
ha reminiscenza.
Ed in questa
condizione d’astrazione la poesia diviene anamnesi, rievocazione, ricordo.
“Ogni volta con lei
diverrò marea/ abbandonandomi/ a quell’entrare discreto e inondante/ nelle gole
mie infinite./ Ci unisce un filo ininterrotto di memoria/ Un filamento elastico
di saliva/ che srotola piano dall’incavo profondo/ dei miei occhi senza/ che
fonema gorgogli e si congiunga/ […]” ‒ “Ogni volta con lei diverrò marea”
“Un filo ininterrotto
di memoria” che Nadia Alberici insegue, evadendo dalla percezione
sensoriale del mondo materiale, per
avanzare “su per salite strane” in
cui la sensazione non avviene tramite i sensi ma attraverso la volontà di contemplazione.
La meta ‒ se così possiamo nominare lo scopo del tendere dell’Io attraverso
l’atto del moto spirituale in unione con la Mente Creativa ‒ è l’Armonia.
“[…] La mia ombra là appariva e spariva come se fosse un niente/
trasparente/ Transitare in un paesaggio che è sensazione/ e indossare l’armonia
vivente/ fino alla sua eclisse/ Ti dico che era così prima che il giorno mi
prendesse.” ‒ “E
se ti dico che il mare era un velo di sfumature liquide”
Written by Alessia Mocci
Ufficio Stampa Negretto Editore
Info
Sito Negretto Editore
http://www.negrettoeditore.it/
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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/03/26/mi-prende-damore-una-forma-di-nadia-alberici-i-consueti-verdi-su-per-salite-strane/