Intervista di Alessia Mocci ad Andrea Parravicini: vi presentiamo La mente di Darwin
“[…] ritengo che un dialogo serio e
produttivo tra scienza e filosofia sia oggi quanto mai prezioso. Perché da un
lato la filosofia non può fare a meno di confrontarsi con la scienza,
altrimenti rischia di divenire una pratica autoreferenziale che non ha più
alcun contatto con le problematiche concrete degli esseri umani.” ‒ Andrea Parravicini
Andrea Parravicini è assegnista di ricerca al Dipartimento
di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, e collabora con l’Unità di
Ricerca in Filosofia e Storia delle Scienze Biologiche presso il Dipartimento
di Biologia dell’Università degli Studi di Padova.
Ha conseguito
il Dottorato di ricerca in Filosofia all’Università degli Studi di Milano
(2011), durante il quale ha condotto le
sue ricerche sul pensiero di Charles Darwin e del filosofo americano Chauncey
Wright, sulla storia dell’evoluzionismo e del darwinismo e sulle sue
relazioni con l’origine e lo sviluppo della corrente filosofica del Pragmatismo
americano.
Dopo una
collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano, ha
successivamente ottenuto un assegno di
ricerca post-doc di 27 mesi al Dipartimento di Biologia dell’Università degli
Studi di Padova (2014-2016) per coordinare le attività e condurre ricerche
per il progetto internazionale dal titolo “The Hierarchy Group: Approaching
Complex Systems in Evolutionary Biology”, co-diretto dall’eminente paleontologo
americano Niles Eldredge e dal filosofo della biologia Telmo Pievani.
Ha tenuto diverse conferenze di profilo
internazionale sia in Italia che all’estero, tra cui in Brasile, negli Stati Uniti, in Canada e in
diversi Paesi europei. I suoi interessi di ricerca spaziano dalla filosofia
della biologia alla filosofia americana, dalla storia del pensiero biologico
all’evoluzione umana.
È autore di diversi libri, capitoli in volumi collettanei e
articoli per riviste italiane e internazionali. L’intervista sottostante
verterà sul volume edito dalla casa editrice mantovana Negretto Editore “La mente di Darwin” (2009).
A.M.: Gentile Andrea sono lieta di potere dialogare con lei
riguardo “La mente di Darwin”, libro edito dalla casa editrice Negretto Editore
esattamente dieci anni fa. Come nasce l’interesse per Charles Darwin e la
teoria dell’evoluzione?
Andrea
Parravicini: Gentile Alessia, lietissimo
di questo dialogo. I miei interessi verso Charles Darwin e la teoria
dell’evoluzione, e in generale per le tematiche biologiche, sono nati molto
tempo fa, già dal periodo degli studi liceali. Avevo, già a quel tempo, forti
interessi verso la filosofia, ma ritenevo che le domande più interessanti, in
quell’ambito, fossero in fondo quelle che concernevano il vivente, le sue
origini, il suo rapporto con l’ambiente e con gli altri viventi, e poi ciò che
ci rende umani, la genealogia del nostro corpo e del nostro comportamento
moderno, e così via. Per questo motivo, quando mi iscrissi al Corso di laurea
in Filosofia, lo feci soprattutto con quel tipo di domande in testa. E così
dedicai la mia tesi, sotto la supervisione di Rossella Fabbrichesi, proprio
alla figura e al pensiero di Darwin, le cui opere lessi con estremo interesse,
attraverso uno sguardo filosofico-genealogico, come mi aveva insegnato Carlo
Sini nei suoi indimenticabili corsi tenuti all’Università Statale di Milano. La
tesi fu molto apprezzata e mi fu proposto di ricavarne un libro, che fu poi
pubblicato dall’editore Negretto, con il titolo “La mente di Darwin”. Dopo la
pubblicazione del libro ho continuato a occuparmi di filosofia della biologia e
di temi evoluzionisti, tant’è che ho fatto ricerca in quest’ambito per alcuni
anni al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, presso la prima
cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche in un dipartimento
scientifico. Attualmente ho un assegno di ricerca all’Università degli Studi di
Milano dove cerco di intrecciare questi temi “biologici” con ricerche
nell’ambito di quella corrente filosofica chiamata “Pragmatismo americano”.
A.M.: “Ogni scienza ha la sua filosofia”. Perché è fondamentale
far dialogare la filosofia con la biologia e le altre scienze?
Andrea
Parravicini: Il pensiero filosofico è
stato il terreno di coltura, potremmo dire, dal quale la scienza moderna è nata
e si è sviluppata. I metodi utilizzati dallo scienziato, la definizione delle
aree di ricerca, i limiti epistemologici che separano i diversi territori
scientifici sono il frutto di uno sviluppo storico che prende avvio dalle
riflessioni del pensiero filosofico, da cui l’impresa scientifica si è resa
sempre più autonoma, prendendo infine una propria traiettoria indipendente. Ma
nonostante questa indipendenza, è importante rilevare che ogni scienza poggia
inevitabilmente su una propria serie di decisioni filosofiche implicite, che
spesso non vengono messe adeguatamente a fuoco e che costituiscono la sua
peculiare prospettiva, la lente a partire da cui osserva i propri fenomeni.
Perciò, come scrive uno dei padri della Sintesi Moderna, Ernst Mayr, riguardo
al pensiero biologico,
“A seconda che un autore
aderisca all’essenzialismo o al pensiero popolazionale, che creda nel
riduzionismo o nell’emergentismo, che stabilisca o meno una chiara differenza
tra cause prossime o cause ultime, tutte queste fondamentali differenze
ideologiche saranno quelle che determineranno le teorie biologiche per lui accettabili.
Per questa ragione il cambiamento e la sostituzione di singole teorie
scientifiche sono molto meno importanti nella storia della scienza di quanto
non lo siano la nascita e il declino delle principali ideologie che possono
influenzare il modo di pensare degli scienziati. Studiare le principali
filosofie degli scienziati è compito molto arduo poiché raramente si tratta di
posizioni articolate. Sono in gran parte assunzioni tacite, e accolte in modo
così incondizionato da non essere neanche mai espresse. Lo storico della
biologia incontra alcune delle sue difficoltà più grandi quando tenta di
svelare queste tacite assunzioni e chiunque tenti di mettere in discussione
tali “eterne verità” si scontra con fortissime resistenze.”
Il rilievo del grande biologo, nonché
fine storico delle discipline biologiche, trova numerose conferme lungo tutto
l’arco della storia del pensiero sul vivente, e risulta a tutt’oggi valido,
considerando i dibattiti e le differenti correnti e impostazioni che
attualmente si affrontano e si confrontano nel variegato panorama della
biologia contemporanea. Si pensi poi al ruolo che le convinzioni filosofiche
più profonde e radicate negli uomini di scienza e nel senso comune hanno
giocato (e ancora giocano) nel produrre resistenze, fraintendimenti,
travisamenti nei confronti della stessa teoria darwiniana. Questa opposizione,
si badi, non giungeva solamente dai difensori di un’ideologia “fissista” o
“creazionista”, ma anche da quegli stessi evoluzionisti che, sostenitori di
teorie progressioniste, ortogenetiche, o cosmico-teologiche (che tanto
proliferarono a partire dall’epoca di Darwin e Spencer), univano all’idea di
evoluzione la convinzione tenace di una sua tendenza finalistica verso una meta
ultima, magari guidata dalla provvidenzialità di un disegno divino. Non è
affatto un caso che il nucleo teorico centrale della teoria darwiniana, quel
principio di selezione naturale che così efficacemente aveva contribuito
all’accettazione quasi immediata del “fatto” dell’evoluzione all’interno della
comunità scientifica, paradossalmente sia stata per un lungo periodo rifiutata
e fraintesa quasi da tutti, compresi quegli scienziati e filosofi che si
dichiaravano seguaci di Darwin. E non riuscì ad imporsi in modo convincente
fino alla grande Sintesi Moderna degli anni trenta-quaranta del Novecento. I
motivi più importanti di questa opposizione generalizzata possono senz’altro
essere ritrovati nell’ambito di quelle profonde e radicate convinzioni
filosofico-ideologiche cui si riferisce Mayr, che, nel caso qui menzionato,
mettevano in scena un’idea, di matrice finalista ed essenzialista, del mondo e
dell’uomo, che la teoria di Darwin e la filosofia che sottostava a quella
teoria, erano seriamente intenzionate a rovesciare dalle fondamenta. La logica
e la filosofia di fondo che Darwin con la sua teoria proponeva (una visione
basata su un divenire evolutivo non finalistico, che può procedere in tutte le
direzioni, come un albero o un corallo, in cui gli eventi contingenti hanno un
ruolo cruciale e l’essere umano non è affatto il prodotto finale di un disegno
divino ma non è altro che uno dei ramoscelli non necessari dello stesso albero
dell’evoluzione) si scontrava cioè direttamente con la filosofia di stampo
finalista e antropocentrico dominante ancora nella seconda metà dell’800.
Per tutto questo, dunque, ritengo che un
dialogo serio e produttivo tra scienza e filosofia sia oggi quanto mai
prezioso. Perché da un lato la filosofia non può fare a meno di confrontarsi
con la scienza, altrimenti rischia di divenire una pratica autoreferenziale che
non ha più alcun contatto con le problematiche concrete degli esseri umani.
Come scrive John Dewey, “La filosofia
riconquista se stessa quando cessa di essere un mezzo di trattare i problemi
dei filosofi e diventa un metodo, coltivato da filosofi per trattare i problemi
degli uomini”. D’altro lato, però, neppure la scienza dovrebbe fare a meno
della filosofia, del suo contributo alla formulazione, al chiarimento o alla
critica di interpretazioni, ipotesi o teorie, e all’analisi rigorosa dei
concetti e delle idee a esse associate, per non parlare delle analisi e della
presa di coscienza dei presupposti ideologici taciti a cui si riferiva Mayr. Ma
soprattutto non dovrebbe fare a meno del contributo della filosofia riguardo
alle riflessioni concernenti la dimensione propriamente etica, sociale,
politica, che costituisce, potremmo dire, l’orizzonte di senso in cui anche la
prassi scientifica, con le sue verità, si inscrive. La filosofia, potremmo dire
in breve, ha il compito etico di formare una visione consapevole, di mostrare
cioè che dietro ai concetti e alle teorie, che spesso il senso comune e gli
scienziati stessi prendono come verità date e indiscutibili, c’è il frutto di
un lavoro, di un percorso storico, di una sedimentazione di sensi e di
significati, di verità che mutano, di pratiche che si susseguono.
A.M.: Il caso Wallace è considerato “una coincidenza a dir poco
sorprendente”. In dieci anni di studio ha rintracciato altre coincidenze di
questo tipo?
Andrea
Parravicini: Darwin sviluppò la sua
teoria negli anni compresi tra il 1839 e il 1844 e ne scrisse due abbozzi,
rispettivamente nel 1842 (un breve abbozzo della sua teoria della selezione) e
uno nel 1844 (un ampliamento di quel primo abbozzo, molto simile a quella che
sarà l’organizzazione, lo scopo, e gli elementi essenziali dell’argomentazione
presenti ne L’origine delle specie).
Darwin però decise di non pubblicare i due scritti, occupandosi di altro, in
particolare allo studio dei cirripedi. Solo nel settembre del 1854 tornò a
occuparsi del problema delle specie, rileggendo e selezionando per ben venti
mesi le sue note. Nel maggio del 1856, su suggerimento del famoso geologo e
amico Charles Lyell, iniziò a scrivere un abbozzo delle idee maturate dopo tanto
lavoro, col risultato che lo scritto tra le mani di Darwin divenne sempre più
ampio fino ad assumere un tono quasi enciclopedico. Arrivò a scrivere dieci
capitoli del libro che avrebbe dovuto chiamarsi Natural Selection, finché il 18 giugno 1858 giunse inaspettatamente
il saggio di Alfred Russell Wallace (1823-1913), che diede luogo a uno dei casi
più famosi della storia della scienza.
Wallace, un botanico suo corrispondente
che stava conducendo le sue ricerche nell’arcipelago malese, gli aveva inviato
uno scritto, con preghiera di pubblicarlo, in cui sorprendentemente veniva
esposta, pressoché identica, la teoria dell’origine delle specie per selezione
naturale cui Darwin stava lavorando ormai da circa un ventennio. “Se Wallace avesse avuto il mio abbozzo
manoscritto redatto nel 1842, non avrebbe potuto farne un riassunto migliore!”,
scrisse Darwin sconsolato a Lyell. In effetti colpisce questa coincidenza
(persino negli esempi scelti!), tanto che, come ha scritto Telmo Pievani,
questo rimane “uno dei casi più eclatanti
di congiunzione di due processi di scoperta paralleli e indipendenti”.
Questa situazione imbarazzante venne
risolta con reciproca soddisfazione mediante la pubblicazione, negli atti della
Società Linneana, dello scritto di Wallace insieme a un breve riassunto delle
idee di Darwin. Tuttavia, la prima enunciazione pubblica della teoria
dell’evoluzione per selezione naturale, quasi incredibilmente, fu pressoché
ignorata. A quel punto Darwin accelerò la pubblicazione della sua opera, riducendone
drasticamente l’entità e tagliando molti dei riferimenti all’ampia bibliografia
consultata, che egli si riprometteva di riportare in una successiva edizione in
più volumi (ma che non finì mai). Questo abstract,
come lo chiamava Darwin, fu pronto nel giro di poco più di un anno e apparve il
24 novembre 1859 col titolo On the origin
of species by means of natural selection or the preservation of favored races
in the struggle for life. Le 1250 copie di quella prima edizione si esaurì
lo stesso giorno.
Si può dire che spesso le scoperte
scientifiche “sono nell’aria” e dunque certe coincidenze nelle formulazioni di
ipotesi o nel raggiungimento contemporaneo di determinati risultati scientifici
sono anche il frutto di un particolare contesto, di un certo clima culturale e
sociale, che spinge verso determinate direzioni le attività umane di cui la
scienza è una pratica tra le più importanti e significative. Perciò non sono
mancati altri casi, nel mondo scientifico, dove due studiosi siano arrivati
alla medesima scoperta o a formulare la stessa teoria più o meno
contemporaneamente. Si pensi ad esempio alla celebre controversia per la
paternità del telefono, o ad altri casi, anche recenti, di studiosi che
giungono alla medesima scoperta simultaneamente, come quella che riguarda il
virus del HIV. A volte, inoltre, tali episodi rivelano ingiustizie palesi,
spesso contro le donne, come nel caso eclatante (e amaro) della scoperta della
doppia elica del DNA che vide protagonisti i lavori di Rosalind Franklin, che furono
determinanti ai fini della scoperta da parte di Watson e Crick, che si sono
guadagnati, a spese della collega morta quattro anni prima, il Nobel per la
medicina nel 1962 senza uno straccio di riconoscimento. O come nel caso della
scoperta dei cromosomi sessuali, con un’altra grande scienziata, Nettie
Stevens, giunta alla scoperta nello stesso anno di Edmund Beecher Wilson, ma a
lungo ignorata o osteggiata.
Tornando al caso Wallace-Darwin,
possiamo dire che esso non solo è stato uno dei casi dei più eclatanti della
storia della scienza e un bellissimo esempio di grande lealtà tra due gentlemen britannici di fronte a
un’imprevedibile coincidenza, ma esso ci mostra anche come spesso un misto di
contingenza storica e convergenza direzionata governi non solo il mondo
vivente, ma anche l’evoluzione delle idee.
A.M.: Quale lettura consiglierebbe ad un neofita per iniziare
questo affascinante studio?
Andrea
Parravicini: È una scelta molto
difficile, ma forse, tra i tanti che mi vengono in mente, consiglierei il
bellissimo libro di Stephen J. Gould, La
vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia,
Feltrinelli, Milano 2008.
A.M.: Ha in programma per questo 2019 una nuova pubblicazione?
Andrea
Parravicini: Sì, il prossimo giugno
uscirà per i tipi di Rosenberg & Sellier un volume da me curato insieme ad
altri colleghi, Guido Baggio, Fausto Caruana e Marco Viola, dal titolo Emozioni. Da Darwin al pragmatismo. Si
tratta di un’antologia di testi selezionati da opere di Darwin e di autori
pragmatisti classici (William James, John Dewey, George Herbert Mead) sul tema
oggi molto attuale e discusso delle emozioni. Questi autori studiarono tale
questione da una particolare prospettiva naturalistica ed interdisciplinare che
ha permesso loro di elaborare una serie di profondissime intuizioni che si sono
mostrate capaci di resistere nel corso del tempo. Ancora oggi, infatti, i
principali aspetti che caratterizzano le loro indagini – l’universalità delle
emozioni, la dimensione corporea, la funzione sociale e comunicativa –
risultano essere al centro dei dibattiti in filosofia, psicologia e
neuroscienze cognitive.
A.M.: Reputa positiva la sua esperienza con la casa editrice
Negretto Editore? La consiglierebbe?
Andrea
Parravicini: La mia esperienza con
Negretto è stata senz’altro molto positiva, anche per via della competenza,
umanità e alta professionalità dell’editore, Silvano Negretto, una persona che
stimo molto e che ha fatto del suo lavoro una vera e propria missione. Per
questo motivo, lavorare per Negretto è un’esperienza che senza dubbio consiglio
a tutti coloro che considerano i libri e la cultura come beni preziosi, da
rispettare e salvaguardare. Con Negretto si troveranno a casa.
A.M.: Concludiamo con una citazione…
Andrea
Parravicini: Mi piace concludere con la
frase citata come esergo ne La mente di
Darwin, un motto di un incisore botanico i cui lavori impressionarono molto
Goethe, e che rispecchia bene, ritengo, il metodo genealogico che impronta la
filosofia evoluzionista:
“Veder
venire le cose è il miglior mezzo per spiegarle” (Pierre-Jean-François
Turpin).
A.M.: Andrea, augurandoci che il lettore attento possa usufruire
delle sue preziose riflessioni sull’uomo, la ringrazio per il tempo che ha
dedicato all’esplicazione del suo pensiero e la saluto con le parole dello
scrittore, poeta e drammaturgo tedesco che ha poc’anzi citato: “Il bello è una manifestazione di arcane
leggi della natura, che senza l’apparizione di esso ci sarebbero rimaste
eternamente celate.”
Written by
Alessia Mocci
Responsabile
dell’Ufficio Stampa di Negretto Editore
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