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Dramazon di Giulio Marchetti: il Natale in un’opera di forte contestazione


 


Esistono due tipi di società, quelle che lavorano per provare a far pagare di più e quelle che lavorano per far pagare di meno. Siamo la seconda”. – Jeff Bezos

Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, è riuscito a fare di una idea geniale un vero e proprio impero finanziario e spesso è avvenuto, nel corso della civiltà umana, di osservare una particolare relazione tra l’incipit e la fine di qualsiasi fenomeno od invenzione. Dapprima è qualcosa che viene considerata positiva per poi rivelarsi un vero e proprio danno.

E se Bezos ha operato nel cercare di creare una società nella quale i consumatori fossero attirati ad acquistare presso Amazon per il costo minore e la celere consegna, di sicuro ciò a cui non si è pensato è che merci e lavoratori hanno ottenuto lo stesso trattamento e sono ormai di pari valore.

Ed è in questa forte diatriba che l’opera di Giulio Marchetti mostra tutta la sua efficacia. “Dramazon” è infatti il composto della parola inglese “Drama” e di “Amazon”. Sin dal titolo l’artista ha voluto marcare il disastro sociale nel quale stiamo vivendo, un vero e proprio dramma non solo per i piccoli commercianti ed artigiani costretti a chiudere bottega a causa delle grosse multinazionali e del mercato globale, ma ciò che ancora più sconvolge è il taglio netto con la tradizione del dono che Giulio Marchetti ha voluto rappresentare con il noto Babbo Natale.

“Dramazon” presenta l’istante prima di un possibile incidente stradale: un camion in consegna si muove veloce per la strada ghiacciata – i corrieri hanno tabelle di marcia controllate e gestite elettronicamente – sulle strisce pedonali Babbo Natale che istintivamente si libera del sacco dei regali da consegnare ai bambini per cercare di ripararsi dall’impatto. La scena è buia, notturna, mentre il camion è ben illuminato, i pacchetti sono quasi tutti ancora in volo.

Marchetti costringe l’osservatore alla domanda: il corriere riuscirà a fermare la sua corsa?

Ed è questo che devono fare le opere d’arte: far porre domande a chi osserva o legge perché come disse il poeta Rainer Maria Rilke: “Vivi le domande ora. Forse poi, in qualche giorno lontano nel futuro, inizierai gradualmente, senza neppure accorgertene, a vivere a tuo modo nella risposta.”.

L’opera è corredata da una didascalia dell’autore:

“Tutti i negozi hanno aggiunto .com alla propria insegna.

I supermercati hanno rottamato i carrelli, costruendo carrelli virtuali.

Valentino Rossi potrebbe essere il rider più veloce, conteso da Glovo e Just Eat.

I cinema sono pieni di Coca e popcorn, ma le sedie sono vuote.

Forse verranno smontate e vendute su Amazon.

È così bello l’amore, davanti ad un film di Netflix.

L’importante è restare a casa.

Tutti i giorni. Tutto il giorno.

Perché una volta all’anno, tra corrieri e fattorini, arriverà Babbo Natale.

E noi lo riconosceremo fra tanti.

Perché Babbo Natale è magia.

E la magia non può morire.

#DRAMAZON”

 

Ho sempre pensato al Natale come a un bel momento. Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi.” ‒ Charles Dickens

 

 

L’autore, Giulio Marchetti, nasce nel 1982 a Roma, ha esordito con “Il sogno della vita” nel 2008. Con Puntoacapo pubblica nel 2010 “Energia del vuoto” con prefazione di Paolo Ruffilli, nel 2012 “La notte oscura”, nel 2014 “Apologia del sublime”. Con Giuliano Ladolfi editore pubblica nel 2015 la raccolta “Ghiaccio nero”.

 

Con la poesia “A metà”, è stato inoltre selezionato per “Il fiore della poesia italiana” (tomo II – i contemporanei), un ambizioso progetto antologico che raccoglie il meglio della poesia italiana sotto la curatela di autorevoli esperti (Puntoacapo, 2016). Nel 2020 pubblica con la casa editrice Puntoacapo la raccolta “Specchi ciechi” con prefazione di Maria Grazia Calandone, postfazione di Vincenzo Guarracino ed una nota di Riccardo Sinigallia. Diverse sue poesie sono edite in antologie collettive. Della sua poesia si è occupato, fra gli altri, il Prof. Gabriele La Porta, storico conduttore e direttore Rai.

 

A Natale 2020, Giulio Marchetti pubblica su la Repubblica la prima opera della sua trilogia “Dramazon”, segue per San Valentino 2021 “Modern Heart” ed “Easteria” dedicata alla Pasqua. Il 26 novembre 2021 in occasione del Black Friday è stata pubblicata una nuova provocazione dal titolo "Brain Friday". 

 

 

Giulio Marchetti, in una intervista datata febbraio 2020, ha connesso il concetto di noia con la meccanizzazione e la creatività: “Già Lucrezio nel terzo libro del “De Rerum Natura” offriva una definizione paradigmatica della noia. “Spesso lascia il suo grande palazzo chi si annoia a restare a casa; ma subito vi torna perché non si trova affatto meglio fuori”. L’inquietudine e il senso di estraniazione tipici della noia trasudano da questo breve passo. Ci vuole un balzo secolare, ma si giunge inevitabilmente a Baudelaire. Lo spleen è una condizione interiore tanto angosciosa quanto suggestiva a livello artistico, nella pienezza dei suoi effetti devastanti, quasi allucinatori. “Le proprie inclinazioni” di cui oggi argutamente mi chiedi, risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. “Le cose monotone” ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.”

 

 

Info

Profilo Instagram

https://www.instagram.com/giuliomarchetti_art/

Landing Page Giulio Marchetti

http://giulio-marchettiart.it

 

Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/12/06/dramazon-di-giulio-marchetti-il-natale-in-unopera-di-forte-contestazione/

Uno strano Natale favola di Giovanna Fracassi tratta dal libro Nel magico mondo di nonna Amelia


“Nel mondo magico di Nonna Amelia” è un libro di favole e filastrocche edito da Rupe Mutevole Edizioni nel 2021. L’autrice, Giovanna Fracassi, ha pensato di augurare Buon Natale a tutti i suoi lettori (adulti e piccini) con la pubblicazione della favola “Uno strano Natale”.

 

“Uno strano Natale” di Giovanna Fracassi

Oggi bambini, visto che ormai non manca più molto a Natale, vi voglio raccontare la storia di un bambino triste che però riceve un regalo straordinario.

 

Marco sta spiando il cielo, con il mento appoggiato sulle mani intrecciate sul davanzale della finestra della sua cameretta. Spera di veder cadere qualche fiocco di neve, almeno oggi che è la Vigilia di Natale. Vorrebbe tanto sentirsi allegro e felice, invece è ancora più triste degli altri giorni.

Quest’anno non ha chiesto nulla a Babbo Natale, non gli ha scritto nessuna letterina. L’anno prima gli aveva chiesto con tutto il cuore, un solo grande regalo: che i suoi genitori la smettessero di chiudersi in cucina a discutere e che tornassero ad essere allegri e scherzosi con lui.

Invece, proprio il fatidico giorno di Natale, suo padre lo svegliò la mattina presto per dirgli semplicemente che per qualche tempo se ne doveva andare via. Marco gli aveva subito chiesto dove sarebbe andato a lavorare questa volta, dato che era abituato ai lunghi viaggi del padre, ma lui gli rispose che non doveva fare nessun viaggio di lavoro. Si trattava di altro: non voleva più litigare con la mamma e l’unico modo per non farlo era andare a vivere in un’altra casa.

Marco ricorda molto bene quel giorno. I regali rimasero intatti sotto l’albero spento: né lui né la mamma avevano avuto voglia di aprirli. Se ne rimasero abbracciati, avvolti in un grande plaid sul divano, quasi fino a sera. Mamma piangeva e lui non sapeva più cosa dirle per farla smettere.

Adesso è a casa di suo padre, ma vorrebbe essere con sua madre. Quando è con lei però, vorrebbe essere con lui. In realtà sa molto bene cosa vuole: che loro tre tornino ad essere una famiglia. Senza quella Marta che fa sempre la carina con il papà “amore qui, amore là” e senza Enzo che arriva sempre per cena, dal venerdì alla domenica, con un mazzo di fiori freschi, tanto che il lunedì la casa sembra una fioreria.

Eh sì! Marco guarda il cielo e pensa: «Oh se almeno nevicasse! Potrebbe essere un bel Natale, nonostante tutto».

Ad un tratto vede qualcosa muoversi, proprio in fondo al giardino, sotto la panchina dove d’estate si mette a disegnare. Osservando con più attenzione scopre che si tratta di un grosso gatto arancione che, quatto quatto, perlustra tutto intorno il laghetto ghiacciato.

La tentazione ora è troppo forte.

Marco corre in corridoio, acchiappa veloce berretto e giaccone ed esce in giardino. S’impone di procedere piano per non spaventarlo, lo cerca dappertutto ma non riesce a trovarlo: sparito nel nulla!

Sta già tornando sui suoi passi, quando si sente chiamare: «Marco, ehi, sono qui!».

Si gira, si guarda attorno, chi mai può averlo chiamato? Non c’è nessuno! Ed eccolo lì, il gatto rosso! È seduto, tutto impettito, al centro della panchina, le orecchie aguzze sull’attenti e due enormi occhi verdi che splendono come fossero di giada e che lo stanno fissando impertinenti.

È una pazzia, eppure Marco ha la sensazione che a chiamarlo sia stato proprio il gatto. Gli si avvicina cauto, temendo di farlo scappare, ma quello invece sembra aspettarlo e appena gli è abbastanza vicino, strofina il suo grosso muso sulla sua mano, invitandolo quasi ad accarezzarlo e facendo immediatamente le fusa a mo’ di saluto, così alte e sonore che un uccellino, che sta beccando qualche briciola sul davanzale, se ne vola via spaventato.

«Non è possibile che tu sia un gatto parlante, vero? Ho le traveggole oppure la febbre alta!»

«No, affatto, io parlo e capisco tutto quello che dici, anzi, so anche cosa pensi. Ho saputo che quest’anno non hai scritto la letterina a Babbo Natale perché non vuoi nulla».

«Sì, è proprio così! L’anno scorso quello che gli avevo chiesto non è arrivato, ed era l’unica cosa che desideravo!»

«Quello che tu hai chiesto Marco, non te lo può regalare né Babbo Natale né nessun altro. So tutto e sono venuto a dirti che devi accettare di avere ormai due mamme e due papà. E poi, in fondo, se ci pensi bene, non è poi troppo male».

«Sarà, ma io ora mi sento molto solo e nulla, nella mia vita, è come prima!»

«Ecco perché sono venuto a cercarti! Mi chiamo Mischa e, se vuoi, posso diventare il tuo compagno di giochi. Starò sempre con te, finché lo vorrai. Poi quando avrai altri amici, sarai cresciuto e non avrai più bisogno di me, me ne andrò. Che ne dici?»

Marco emozionatissimo, prende in braccio Mischa e per la commozione lo stringe così forte al petto che il micione sospira un debole ma compiaciuto Miaooo!

Inutile dire che da quel giorno, quei due diventarono inseparabili.

Posso confidarvi che Marco è cresciuto, si è sposato e ha un bellissimo bambino: Eddy, ma non si è mai voluto separare dal suo amico micio e nulla lascia supporre che mai lo vorrà fare.

Chi trova un micio trova un tesoro!

 

Questa è la letterina che Eddy ha scritto, insieme al suo papà Marco, a Babbo Natale.

Caro Babbo Natale,

so che hai tanto da fare

perciò di tempo non te ne voglio rubare.

Nulla voglio farmi regalare

perché non credo

d’esser stato buono come dovevo.

Ti chiedo però un dono speciale

per il mondo intero:

vola con la tua slitta tutto intorno

e spargi un po’ d’affetto

della bontà senza difetto

tanta allegria senza dispetto

così che ogni cuore

sia sazio d’amore.

Con affetto

Eddy

 

 

Info

Acquista su Amazon “Nel magico mondo di nonna Amelia”

https://www.amazon.it/magico-Amelia-Favole-filastrocche-CD-Audio/dp/8865916664/

Facebook Giovanna Fracassi

https://www.facebook.com/giovanna.fracassi

 

Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/12/01/uno-strano-natale-favola-di-giovanna-fracassi-tratta-dal-libro-nel-magico-mondo-di-nonna-amelia/

 

La letteralità e altri saggi sull’arte di François Zourabichvili: la presentazione di Cristina Zaltieri


“[…] in molti di questi testi l’arte assume una centralità che si evidenzia in differenti modalità, sia divenendo oggetto di lettura filosofica in quanto considerata più capace della filosofia di essere all’altezza dell’evento reagendo ad esso in modo affettivo, immediato e non cognitivo; ma anche in quanto essa è una pratica di esperienza e di sperimentazione (le due stanno sempre intrecciate) a cui la filosofia deve ispirarsi per non decadere ad esangue astrazione.” – Cristina Zaltieri

“La letteralità e altri saggi sull’arte” è uscito in Francia nel 2011 curato dalla filosofa francese specializzata nelle opere di Gilles Deleuze, Anne Sauvagnargues e pubblicato cinque anni dopo la morte del filosofo francese di origini armene François Zourabichvili (28 agosto 1965 – 19 aprile 2006) che, a soli 41 anni, ha deciso di interrompere la sua vita proprio come aveva fatto dieci anni prima Gilles Deleuze.

È in uscita, nel 2022, per la casa editrice mantovana Negretto Editore, la traduzione di questa raccolta di saggi che raccoglie conferenze ed articoli selezionati da due amici di Zourabichvili, Philippe Simay e Kader Mokkaden. La quasi totalità dei saggi presenti nella pubblicazione sono inediti nei quali il tema centrale è l’arte.

François Zourabichvili ancor’oggi è poco conosciuto in Italia malgrado le traduzioni delle monografie su Gilles Deleuze e Baruch Spinoza: “Deleuze. Una filosofia dell'evento”, Ombre Corte 2002; “Il vocabolario di Deleuze”, “Spinoza. Una fisica del pensiero”; “Infanzia e regno. Il conservatorismo paradossale di Spinoza”, Negretto Editore, 2002 – 2017. A marzo del 2018 Negretto Editore ha pubblicato un testo collettivo che raccoglie gli interventi presentati il 2 febbraio 2017 all’Università Bicocca di Milano al Convegno omonimo dedicato al filosofo dal titolo: “Il divenire della filosofia di François Zourabichvili”.

“La letteralità ed altri saggi sull’arte” è curato e tradotto da Cristina Zaltieri, docente di filosofia ai licei e cultrice di filosofia all’Università di Bergamo. Dirige assieme alla stimata collega Rossella Frabbrichesi la collana “Il corpo della filosofia” per Negretto Editore. Precedentemente altri suoi lavori filosofici sono stati pubblicati per gli editori Guerini e Mimesis.

Si ringrazia la casa editrice per aver concesso la pubblicazione in anteprima di un estratto tratto dalla precisa ed interessante presentazione di Cristina Zaltieri.

Estratto dalla presentazione di Cristina Zaltieri

[…]

Nel caso dei saggi qui raccolti l’interesse che rivestono, entro la produzione di Zourabichvili, è indubbiamente significativo. Sono tutti posteriori alle quattro monografie pubblicate tra il 1994 e il 2003, mostrano quindi la direzione che il pensiero di Zourabichvili andava prendendo nei suoi ultimi anni di ricerca, una direzione che si potrebbe definire, utilizzando un’espressione ricorrente nei saggi qui raccolti, una “svolta estetica”. In primo luogo, infatti, in molti di questi testi l’arte assume una centralità che si evidenzia in differenti modalità, sia divenendo oggetto di lettura filosofica in quanto considerata più capace della filosofia di essere all’altezza dell’evento reagendo ad esso in modo affettivo, immediato e non cognitivo; ma anche in quanto essa è una pratica di esperienza e di sperimentazione (le due stanno sempre intrecciate) a cui la filosofia deve ispirarsi per non decadere ad esangue astrazione. In secondo luogo, si può parlare di svolta estetica ponendo l’accento sulla accezione originaria del termine «estetica» e sottolineare che la materia peculiare dell’operare artistico è il sensibile confuso-oscuro che resiste al concetto ed insieme lo nutre ponendolo in contatto con il fluire caotico della vita. La filosofia che opera nella distinzione del concetto non ha presa immediata sul sensibile, ha bisogno della mediazione dell’arte per entrare in contatto con tale elemento caotico e denso di virtualità.  Dunque, questi primi scritti postumi, estrapolati dall’archivio Zourabichvili, fanno legittimamente pensare che l’autore avesse in cantiere il progetto di un’opera dalla fisionomia nuova rispetto alle sue precedenti, non più originata specificatamente dall’incontro con un filosofo (anche se Deleuze resta un interlocutore costante), bensì ispirata in buona parte a tre temi non separabili l’uno dall’altro, dato che si richiamano tra loro in una trama di rimandi necessari: l’evento, la letteralità, il gioco estetico. Per dirlo in sintesi, rinviando poi ad una più distesa esplicazione: l’evento rimanda alla letteralità in quanto questa è evento del pensiero, evento del senso nella scrittura; la letteralità rimanda al gioco estetico laddove Zourabichvili individua nel riconoscimento non mimetico, bensì ludico, il carattere imprescindibile dell’arte che ispira di sé anche la filosofia e che si pone al servizio di una lettura non metaforica delle «metafore». Ma, come si è detto, l’evento ha negli artisti dei testimoni capaci di registrare le variazioni affettive che l’evento produce in loro con una immediatezza che è preclusa ai filosofi.

[…]

Nel primo saggio con cui il testo si apre, Evento e letteralità, conferenza tenuta dall’autore in occasione dell’inaugurazione dei Fonds Deleuze,  la letteralità e l’evento sono legati insieme in quanto indicati da Zourabichvili come due direzioni possibili per un lavoro su e attraverso Deleuze che sfugga all’esegesi e alla commemorazione per cercare piuttosto di far deflagrare quella potenza di perturbazione del pensiero ordinario e di corrosione dei clichés propria del pensiero deleuziano, ma rimasta, a parere dell’autore, ancora alquanto inespressa nel pensiero successivo.

La questione della letteralità, sorprendentemente poco considerata dagli interpreti di Deleuze, viene assunta da Zourabichvili come via maestra per praticare un pensiero dell’immanenza a partire dal discorso stesso.

[…]

Occorre intendere, spiega Zourabichvili, questo reiterato appello di Deleuze alla lettura letterale dei suoi testi: «letterale» non vuol affatto dire «proprio», richiede invece di pensare oltre l’opposizione binaria proprio/figurato. Prendiamo ad esempio l’uso di grande rilievo che Zourabichvili fa del termine «chimera» nella sua ricerca su Spinoza. Chimera è un termine che Spinoza stesso assume dalla mitologia dove esso designa un mostro frutto dell’unione di corpi incompatibili tra di loro, leone, capra, serpente o altri. Spinoza, osserva Zourabichvili, ci conduce a pensare che la figura del Dio-Re è una chimera. Affermare che il Dio-Re è una chimera esige che si pensi letteralmente il Dio-Re come l’impossibile fusione di due entità inconciliabili quali la potenza dell’essere e il potere monarchico. Non si tratta di una traslazione da un uso proprio del termine chimera, nel mito, ad un uso figurato, in filosofia, né si tratta di un vedere come, ispirato alla somiglianza tra i due termini, come pensa Ricoeur: il Dio-Re è realmente una chimera, una entità mostruosa, perché la potenza infinita espressa negli infiniti modi è incompatibile, ci insegna Spinoza, con il potere assoluto di un solo modo – il monarca - sugli altri così come, di contro,  la lettura di Dio come colui che ha governo assoluto sul mondo fa a pugni con il Deus sive natura.

[…]

Nel capitolo 3, I concetti filosofici sono metafore? Deleuze e il suo problema della letteralità si ritorna sulla letteralità come pratica che esige l’atto di «credere» a ciò che la relazione inedita dà a vedere. Se si prende ad esempio l’enunciato deleuziano-guattariano «il cervello è più erba che albero», la sua lettura letterale poggia sulla relazione inedita tra cervello ed erba tale da determinare un’esperienza diversa del cervello, non più visto come un organo centrale di un sistema ramificato (ad albero), bensì considerato come un «sistema acentrato, una molteplicità le cui connessioni sono in parte probabilistiche e non predeterminate» (LA, 27). L’affermazione di tale relazione inaugura così una nuova sensibilità sia neurologica che filosofica, in quanto va a strutturare nel profondo la nostra esperienza; essa consiste in un esercizio di «credenza», non intenzionale, non cosciente, per l’appunto una sintesi passiva di un atto involontario.

[…]

Nel capitolo 6 Sul detto di Nietzsche, Zourabichvili ci offre un esercizio esemplare di ciò che egli intende con sperimentazione affettiva del testo, applicato ad uno dei più profondi e misteriosi aforismi di Nietzsche: «Bisogna congedarsi dalla vita come Odisseo da Nausicaa – piuttosto benedicendola che restando innamorati di essa». Zourabichvili si ripromette di stare alla frase, di attraversarla ripetutamente senza volerla né spiegare né interpretare, senza voler ricondurne le parole ad un significato nascosto […]

[…]

Restare all’immanenza del testo, di quello dell’aforisma in questione ma insieme anche di tutto il testo nietzscheano, obbliga qui il lettore a non confondere il distacco espresso dalla frase con figure come quella dell’«ideale ascetico», perché non consone a Nietzsche che le ha sempre combattute; inoltre richiede di confrontarsi criticamente con una vulgata che vorrebbe l’amore per la vita come l’unico imperativo nietzscheano. È come se nel suo asserto enigmatico Nietzsche ci indicasse un nuovo pathos per la vita, oltre all’amore, che certo richiama al pathos della distanza attraverso l’esercizio di una regola («bisogna che…») Tale regola potrebbe di primo acchito riecheggiare l’esercizio stoico, ma in realtà se ne distanzia: infatti, per Nietzsche non bisogna smettere di amare la vita al fine di non soffrire troppo all’idea di separarsene, in modo così da prepararsi alla morte;  bisogna invece non continuare ad essere innamorati della vita per bene-dirla, ossia per renderle pienamente giustizia, per omaggiarne l’incanto e la bellezza che le sono propri, proprio come il saggio Odisseo ha riconosciuto l’incanto e la bellezza che promanavano dalla giovinetta Nausicaa, senza con ciò volerla possedere, ma sapendo lasciarla. D’altronde la vita, come Nausicaa, è l’inconsumabile che resiste ad ogni interpretazione, che resiste al concetto, ossia al possesso.

[…]

Nel capitolo 8, Chateaubriand: la rivoluzione e il suo testimone, è il testo Memorie d’Oltretomba a rivelare la postura del suo autore nella sua funzione di lucido testimone dell’evento della rivoluzione del 1789 con cui si inabissava per sempre il mondo a cui Chateaubriand apparteneva profondamente, non per questo ai suoi occhi esente da difetti, lasciando intravedere il baluginare di un altro mondo alieno a sé, ma non per questo del tutto indesiderabile. Chateaubriand si sente costantemente interpellato dalla domanda sul divenire in cui egli è preso vivendo quel frammezzo fra il mondo che scompare e quello che avanza; si sente come colui che sta tra due rive – espressione ricorrente nel suo testo - gettato tra due secoli come tuffato alla confluenza di due fiumi dalle acque agitate senza sapere quale terra potrà accoglierlo. Ma l’analisi di Zourabichvili mira a mostrare il legame profondo che sussiste tra la scrittura stessa di Chateaubriand, la sua creazione artistica, dunque, e il suo destino di testimone della Rivoluzione. Si tratta di una scrittura che, pur nel divampare delle più laceranti passioni partigiane, esprime un’attitudine che Zourabichvili definisce di «ritiro sollecito», in primo luogo dagli schieramenti netti, riconoscendo di incarnare egli stesso il frammezzo perché scisso, contradditorio, definendosi «repubblicano per natura, monarchico per ragione». Chateaubriand mira a dare consistenza semiotica nella sua stessa scrittura alla sua esperienza di testimone dell’evento, ossia di colui che sta tra due rive, tra due mondi e lo fa attraverso un’arte scritturale della collisione melodiosa tra incomparabili dove in una stessa frase due mondi estranei vengono tenuti insieme senza per questo ridurre lo scarto tra i due. L’arte dimostra, anche in questo caso, la sua capacità di dar corpo alla potenza di mutamento affettivo dell’evento.

[…]

Ricorrente in numerosi dei testi qui raccolti è l’osservazione che la svolta estetica è un evento tutt’altro che recente, occorso alla filosofia già da tempo poiché i primi segni di tale svolta risalgono a Baumgarten, a Schiller… a quel cambiamento di paradigma, sorta di vera e propria coupure epistemologique, che accade laddove al filosofo-scienziato, il quale misura il proprio operare su modello della pratica scientifica (Leibniz e Spinoza tra i tanti), subentra il filosofo-artista che assume il procedere artistico quale proprio interlocutore privilegiato. Nietzsche è a pieno titolo un filosofo-artista e anche Deleuze si pone, per Zourabichvili, in questa direzione in quanto l’intera sua ricerca testimonia un dialogo costante con l’arte tanto che «la sua opera impone di chiedere cosa significa che un filosofo, per fare filosofia, abbia bisogno di confrontarsi con l’arte» (LA, 123), come si legge nel capitolo 14 che chiude il testo, L’ancoraggio estetico del pensiero di Deleuze. La risposta che Zourabichvili offre a tale domanda è articolata. Vi è di certo una sorta di triangolazione tra filosofia, arte e resistenza, non solo nella modalità già riconosciuta da Adorno per cui entrambe le pratiche devono darsi come compito quello di resistere al presente e al corrente, di fare resistenza al banale e al cliché, esplicando così un ruolo politico critico,  ma anche perché una filosofia che vuole portare il pensiero alla sua massima radicalità deve affrontare ciò che più resiste al suo elemento, ossia il sensibile, l’ambito di ciò che già Baumgarten definiva come l’eminentemente confuso. Ma la filosofia – in quanto ambito del pensiero distinto – a diretto contatto con il sensibile non può che tendere a ridurne la confusione, riportandola entro l’alveo della distinzione concettuale, poiché questa è la sua vocazione. La soluzione per lasciare al sensibile la sua potenza, ossia la sua natura confusa, è quella di passare attraverso la mediazione dell’arte che proprio nella confusione sensibile ha la propria materia. Questo non è, comunque, il solo motivo dell’interesse filosofico per l’arte. La creazione artistica si presenta alla filosofia come un operare sulla materia del confuso, dell’oscuro, capace di smovere – di toccare – quegli elementi dolorosi, malati anche, che l’artista condivide con gli uomini del suo tempo.

[…]

Il capitolo 7, L’occhio del montaggio (Dziga Vertov e il materialismo bergsoniano) offre nella lettura esemplare del film di Dziga Vertov, L’uomo con la macchina da presa del 1929, l’immagine viva di un gioco artistico la cui regola di differenza estetica comporta effetti potenti di riconoscimento non mimetico.

Zourabichvili parte da un asserto tratto dalla cinefilosofia di Deleuze per il quale, in L’immagine-movimento, il cinema di Vertov è la realizzazione dell’in-sé dell’immagine, attraverso un concatenamento macchinico delle immagini-movimento, tanto che Vertov giunge per questa via a realizzare il programma materialista presentato da Bergson nel primo capitolo di Materia e memoria. Nel film sperimentale del 1929 il gioco dell’opera d’arte di Vertov soggiace alla regola della percezione non umana delle immagini, ottenuta attraverso un montaggio che mette in relazioni immagini molto lontane tra loro, non concatenate secondo il procedere dell’occhio umano; qui la differenza estetica, non mimetica, sta proprio nel far interagire le immagini della città che si sveglia (un tema comune ad alcuni dei film del periodo) per giungere alle condizioni di una percezione non-umana: ecco che Vertov mostra una giovane donna che si sveglia insieme ad una locomotiva lanciata nella sua corsa, il fotogramma della sua schiena nuda e poi una macchina da presa che pur indirizzata a lei, è situata in un altro punto della città e così via. 

[…]

A questo punto Zourabichvili si chiede quale sia il senso di questa operazione artistica:

E perché dovremmo «disfarci di noi stessi, e disfarci noi stessi»? 

Di certo la ricerca di Vertov è mossa da un desiderio politico: essa è da collocare entro quella lettura della rivoluzione d’ispirazione «bergsoniana», già evocata a proposito di Barnet, come apertura di possibilità, di certo poco consona alla politica dell’apparato sovietico. La risposta che Zourabichvili offre alla domanda posta a Vertov rivela come la creatività messa al servizio della visione di un mondo colto da un occhio non umano ha di mira un potenziamento della vita, che poi è la destinazione ultima della vocazione terapeutica dell’arte […].

Info

Sito Negretto Editore

http://www.negrettoeditore.it/

Facebook Negretto Editore

https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/

 

Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/11/29/la-letteralita-e-altri-saggi-sullarte-di-francois-zourabichvili-la-presentazione-di-cristina-zaltieri/