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Intervista di Alessia Mocci a Cristina Zaltieri: vi presentiamo Spinoza e la storia
“Nietzsche coglie cinque motivi di consonanza tra il suo
pensiero e quello del pensatore olandese: entrambi combattono l’illusione del
libero arbitrio, confutano il finalismo di matrice aristotelica, distruggono la
concezione di un ordine morale inerente al mondo, mostrano l’interesse come
motore di ogni umano agire, negano il male ontologico, insito nelle cose stesse.”
– Cristina Zaltieri
“Spinoza e la storia” edito nel
maggio 2019 dalla casa editrice mantovana Negretto Editore è un saggio
critico sul filosofo olandese Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre
1632 – L'Aia, 21 febbraio 1677) comprendente una ricca selezione di saggi
curati da Cristina Zaltieri e Nicola Marcucci, pubblicato nella collana
“Il corpo della filosofia”.
Il saggio si apre con
l’introduzione “Spinoza. Come pensare altrimenti la storia” di Cristina
Zaltieri nella quale sono illustrate le quattro parti che compongono
l’ambizioso e ben riuscito progetto corale di nuova rilettura del filosofo
olandese seguendo la moderna attenzione riservatagli dai filosofi Gilles
Deleuze e François Zourabichvili.
La prima parte, “Alle radici di una
storia spinoziana”, inizia con il saggio di Chiara Bottici e Miguel de
Beistegui, seguono il saggio di Patrizia Pozzi, il saggio di Francesco
Toto, con chiusura di Nicola Marcucci.
La seconda parte, “Una solitudine
condivisa. Tra precursori e seguaci”, prende avvio con il saggio di Augusto
Illuminati, seguono il saggio di Guillermo Sibilia, il saggio di Riccardo
Caporali, con chiusura di Cristina Zaltieri.
La terza parte, “Contro la lettura
astorica”, vede come primo saggio “Spinoza e la storia” di Vittorio Morfino,
seguono il saggio di Thomas Hippler; il saggio di Andrea Cavazzini,
con chiusura di Homero Santiago.
La quarta parte, “Spinoza
oltremoderno”, si apre con il saggio di Ezequiel Ipar, seguono il saggio
di Manfred Walther, il saggio di Maria de Gainza, con chiusura di
Stefano Visentin.
Cristina Zaltieri è docente di
filosofia ai licei e cultrice di filosofia all’Università di Bergamo.
Dirige assieme alla stimata collega Rossella Frabbrichesi la collana “Il corpo
della filosofia”. Precedentemente altri suoi lavori filosofici sono stati
pubblicati per gli editori Guerini e Mimesis.
A.M.: Ciao Cristina ci siamo
conosciute grazie alle pubblicazioni che hai curato sul filosofo francese di
origini georgiane François
Zourabichvili che si dedicò interamente alla comprensione al commento
dell’opera di Baruch Spinoza e Gilles Deleuze. Oggi non ci discosteremo molto
dall’argomento, infatti la nostra chiacchierata verterà sulla nuova
pubblicazione che hai curato con Nicola Marcucci, “Spinoza e la storia”. Come
nasce l’idea di questa raccolta di saggi su Baruch Spinoza?
Cristina Zaltieri: Nel giugno 2013 alcuni studiosi italiani di
Spinoza, Raffaella Colombo, Vittorio Morfino, Gianfranco Mormino e Nicola
Marcucci convocarono a Milano per un convegno di tre giorni esperti di studi
spinoziani da ogni parte del mondo al fine di considerare il complesso rapporto
che il pensiero di Spinoza intrattiene con la storia, al di là di un secolare
interdetto che nelle interpretazioni tradizionali gravava su tale rapporto. Ne
emerse un panorama di studi e di letture variegato e davvero cospicuo che
subito si mostrò meritevole di pubblicazione in quanto il tema risultava nella
letteratura spinoziana pressoché inesplorato. Ma per alterne vicende, in primo
luogo legate al finanziamento della pubblicazione, l’impresa si bloccò fino a
quando, nello scorso anno, Silvano Negretto mostrò interesse al testo per la
sua collana di filosofia “Il corpo della filosofia”. Nicola Marcucci ed io, che
avevo partecipato come relatrice al convegno, ci facemmo carico ben volentieri
del lavoro di curatela della pubblicazione.
A.M.: Quali sono − nella diversità dei punti di vista
evidenziati nei diversi saggi − i temi e concetti chiave per i quali Spinoza
può dirsi interessato al movimento e alle trasformazioni della storia?
Cristina Zaltieri: Spinoza nella sua breve vita ha
elaborato una filosofia che ha il proprio cuore pulsante in un progetto di
liberazione etico-politica, progetto ben testimoniato dall’Etica e dai due Trattati.
Emancipazione, democrazia, libertà, formazione, sono tutti temi che
riecheggiano nelle pagine di Spinoza e la
storia e che ogni studioso di Spinoza sa essere cari al nostro filosofo. Di
certo un interesse per la storia traspare lungo il Trattato teologico-politico ed è presente pure nel Trattato politico; ciò spiega come la
gran parte dei saggi raccolti in Spinoza
e la storia si riferiscano ai due testi in questione. Nel primo testo
Spinoza mostra una profonda conoscenza dei costumi e delle vicende della storia
ebraica biblica che fa valere in senso critico nei confronti di una lettura
astorica della Bibbia. Nel Trattato
politico la disamina dei tre modelli statuali, monarchico, aristocratico e
democratico (quest’ultimo purtroppo non affrontato da Spinoza che muore
lasciano incompiuto il testo) è arricchita da continui exempla tratti dalla storia delle comunità umane – dei romani, degli
aragonesi, degli inglesi, ecc. − ben conosciuta da Spinoza.
Ora, un progetto emancipativo richiede un confronto con
la storia come luogo del divenire umano. Si tratta di capire quali caratteri
assuma l’indubbia attenzione di Spinoza per il divenire umano. È questo il tema centrale del testo,
declinato in molteplici forme dai vari autori. Ad esempio, Manfred Walther
considera la distanza (e anche i punti in comune) tra la concezione spinoziana,
che non ammette l’emergere dell’assolutamente nuovo, e la lettura evolutiva.
Homero Santiago legge nel more geometrico
non l’antitesi ad ogni divenire (come spesso si è detto), bensì la possibilità
di dar conto delle trasformazioni nel senso di un’esplicazione di ciò che ogni
ente inviluppa in sé, proprio come ogni figura geometrica implica in sé
molteplici proprietà. Mariana de Gainza legge in Spinoza una lettura della
storia che l’autrice chiama “prospettivismo critico” e che è antidoto ad ogni
costruzione di una storia universale.
A.M.: Quali sono, secondo te, le fasi storiche
fondamentali (e relativi autori più significativi) nelle quali si svolgono e
via via mutano le interpretazioni della filosofia complessiva di Spinoza?
Cristina Zaltieri: Quando Spinoza muore, nel 1677, non ha
adepti né lettori, al di fuori della cerchia ristretta dei suoi amici; è in
odore di ateismo e per un secolo sarà pressoché dimenticato (se si escludono
rari commentatori come Pierre Bayle) fino a quando nel 1785 il filosofo tedesco
Jacobi rende pubblica una sua conversazione con il grande letterato illuminista
Lessing in cui quest’ultimo dichiarava di sentirsi in piena consonanza con il
pensiero di Spinoza. Lessing asseriva che le tradizionali forme di religione
non gli dicevano più niente, egli riposava ormai su un unico pensiero: en Kai
pan, ossia “tutto è uno”. Ne emerse un dibattito che coinvolse i maggiori
pensatori del momento e che servì per riportare all’attenzione di tutti il
pensiero dell’eretico Spinoza anche se molti dei lettori del tempo, tra cui
Kant, stigmatizzarono in Spinoza un razionalismo esaltato, fanatico, privo di
alcuna misura e limite, che pretende di spiegare ogni verità metafisica. Le
letture idealiste che ne seguirono, quella di Hegel, in primis, se da un lato
riconoscevano al pensiero di Spinoza una grandezza indiscussa, dall’altro lo
inchiodavano a pensiero della sostanza immota, dove il finito e il molteplice,
in quanto effimera apparenza, si inabissano.
Bisogna giungere agli anni sessanta del Novecento per
assistere, in terra francese, a un radicale cambiamento di paradigma nella
lettura di Spinoza. Ne è esponente significativo Gilles Deleuze che nelle sue
ricerche dedicate a Spinoza, Spinoza et le problem dell’expression (1968) e
Spinoza. Philosophie pratique (1981) fa di Spinoza il filosofo della radicale
immanenza valorizzando temi quali quello del desiderio, del corpo, della
filosofia come cammino di liberazione. Negli anni settanta Althusser e i suoi
discepoli, Etienne Balibar e Pierre Macherey, leggono in Spinoza un filosofo
rigorosamente materialista, una sorta di precorritore, nella considerazione
dell’ideologia, del pensiero di Marx. Ad Althusser dobbiamo la lettura di uno
Spinoza portatore di una storia “altra”, una storia policronica e
evenemenziale.
Da allora ai giorni nostri Spinoza è sempre più studiato,
in tutte le parti del mondo, come dimostra la varietà di provenienza degli
studiosi ospitati in Spinoza e la storia. La popolarità di Spinoza ha reso
paradossalmente questo filosofo − così difficile e arduo da comprendere − una
sorta di esponente della pop-filosofia, citato persino da Vasco Rossi prima di
un suo concerto qualche anno fa. Questa popolarità di Spinoza dà ragione a
Deleuze che, mentre lo definiva “il principe dei filosofi”, lo chiamava anche
il “filosofo dei non filosofi” perché il suo pensiero rende possibile una sorta
di approccio “affettivo”, selvaggio, ai suoi concetti.
A.M.: Perché le interpretazioni raccolte sul saggio “Spinoza
e la storia” sono differenti da quelle tradizionali?
Cristina Zaltieri: Spinoza, accompagnato in vita come
dopo la morte, dall’aura negativa del pensatore che fu maledetto dalla sua
stessa comunità di appartenenza, esecrato da tutte le chiese, isolato dalla
cultura ufficiale del suo tempo, ritornò ad essere oggetto di attenzione, anzi
di una vera e propria Spinoza Renaissance,
nel contesto del Romanticismo tedesco. Ora, sia i detrattori sia gli entusiasti
adepti del filosofo dell’Etica, lo
lessero, in quel contesto, come colui che considerava la totalità del reale,
incarnata nella Sostanza infinita, come immobile, dunque senza storia,
abbandonando il divenire dei singoli modi, uomini, esseri animati o cose, alla
conoscenza immaginativa. Questa è una lettura di Spinoza che è durata più di
due secoli e che ha inibito una ricerca in direzione dei possibili apporti
della filosofia di Spinoza per pensare la storia.
Nei saggi raccolti in Spinoza
e la storia si va oltre la tradizionale accusa volta a Spinoza di un
rifiuto della storia e si assume ciò che il testo stesso di Spinoza, in
particolare i due Trattati, chiaramente esprime: un interesse per la storia, considerando
le peculiarità della storia pensata à la
Spinoza. Ne emerge una storia in cui costantemente è al lavoro
l’imprevedibilità del desiderio che sfugge a ogni incanalamento (Bottici – de
Beistegui). Una storia che assume dal toledot,
storia generativa ebraica, caratteri singolari e carnali, legati al passaggio
madre/figlio, senza possibilità di uno sguardo universale e oggettivo, quale la
storia dominante nella cultura platonico-cristiana – di ispirazione erodotea –
esige (Pozzi). Una storia in cui non è agente un soggetto libero e
autodeterminantesi ma un automaton,
ossia un soggetto sociale che si esprime in pratiche determinate (Toto). Si
deve considerare che alla base della concezione spinoziana del tempo, sta la
lettura epicureo-lucreziana che lo vede come una pluralità di ritmi, una
policronia (Illuminati), restando il tempo privo di valenza ontologica, mero ausilio
dell’immaginazione, mentre è la durata, sempre singolare, del modo finito che
ogni ente è, a scaturire dalla potenza della sostanza, ad avere quindi una
realtà ontologica (Sibilia).
A.M.: “Nietzsche e Spinoza contro la moderna
formazione dell’umano” è il titolo del tuo contributo che chiude la seconda
parte del saggio. Cito dal testo: “Sia
Spinoza sia Nietzsche rifiutano di considerare degni di valore concetti quali
quelli di «perfezione» o «imperfezione», «ordine» o «disordine» attribuiti agli
enti, poiché entrambi vi leggono il segno di una riduzione delle cose alla
misura dell’uomo, al criterio del proprio utile.” Quali sono in breve gli
elementi di fondo che si ritrovano nei due filosofi?
Cristina Zaltieri: Nietzsche incontra Spinoza almeno
dieci anni dopo i suoi esordi filosofici, come testimonia la famosa lettera a
Franz Overbeck del 31 luglio del 1881. Ne rimane estasiato, finalmente non si
sente più totalmente isolato, si sente legato a Spinoza in una solitudine a
due, come egli stesso racconta. Nietzsche coglie cinque motivi di consonanza
tra il suo pensiero e quello del pensatore olandese: entrambi combattono
l’illusione del libero arbitrio, confutano il finalismo di matrice aristotelica,
distruggono la concezione di un ordine morale inerente al mondo, mostrano
l’interesse come motore di ogni umano agire, negano il male ontologico, insito
nelle cose stesse. Si potrebbe dire che
Nietzsche legge in Spinoza un suo antecedente in quanto maestro del sospetto,
impegnato a distruggere i falsi idoli della nostra tradizione di pensiero. In
realtà, nella mia ricerca, intendo evidenziare che i punti di contatto sono ben
più numerosi, alcuni non considerati affatto da Nietzsche che spesso condanna
in Spinoza un atteggiamento ascetico, un razionalismo esangue che in realtà non
c’è. D’altra parte come ha recentemente mostrato lo studioso Maurizio
Scandella, Nietzsche non lesse di prima mano Spinoza ma si affidò alla lettura
offerta da Kuno Fischer nella sua storia della filosofia di impostazione
hegeliana. Nel mio lavoro mi interessa in primo luogo la comune lettura
“energetica” della realtà: per entrambi l’essenza di ogni ente è potenza. La
formazione dell’umano è letta da entrambi come pieno dispiegamento
dell’essenza/potenza che definisce ognuno di noi e che richiede un percorso
singolare: entrambi contrastano l’idea di una formazione dell’uomo mirante
all’utile da conseguire il più velocemente possibile e fondata su modelli universali
pre-costituiti. Infine entrambi vogliono combattere i moralisti, i maestri che
giudicano e condannano in nome di passioni tristi (disprezzo per l’uomo, odio,
risentimento…) al fine di una vita che sia davvero liberata e finalmente umana.
A.M.: Poco più avanti troviamo “[…] l’aggettivo «duplice» si presta a due letture: in primo luogo dice
l’innaturale naturalità di cui l’uomo è affetto in quanto animale che crea per
natura l’artificio, che contravviene alla natura modificandola. Dunque, non ha
senso, per Nietzsche, il motto stoico «vivere secondo natura» poiché la vita
umana è ‘innaturale’, ossia è natura che si fa sforzo, artificio, tentativo di
dar forma e stile alla forza”. Che cosa ci fa pensare che l’artificio − la
possibilità di intervenire sulle “cose” − non sia esso stesso dato dalla Natura
essendo una nostra capacità “innata”?
Cristina Zaltieri: Hai colto perfettamente il senso di
ciò che chiamo “naturale innaturalità” dell’uomo: è la nostra natura quella di
essere innaturali, ossia di produrre tecnicamente continue protesi del nostro
corpo, dal bastone acuminato con cui ai primordi del tempo umano il primitivo
suppliva alla scarsa forza delle sue mani per uccidere l’animale, fino al
computer, protesi della nostra mente, della nostra memoria. Questo carattere
dell’uomo era perfettamente colto ben prima di Nietzsche, dal sofista Protagora
come testimonia il mito a lui attribuito e narrato nel dialogo di Platone, il Protagora. In tale mito Epimeteo è
incaricato dagli dei di distribuire i doni divini a tutti gli esseri viventi.
Egli li esaurisce tutti (denti aguzzi, artigli, zampe veloci…) attribuendoli
agli animali e, quando giunge all’uomo, non ha più doni da offrirgli. L’essere
umano avrebbe dovuto soccombere nella lotta per la vita se non fosse
intervenuto il titano amico dell’uomo, Prometeo, che ruba a Efesto il fuoco e
lo dona all’uomo insieme all’entechne
sophia, alla tecnica. Protagora nullifica, migliaia di anni fa, tutte le
lamentazioni, ancora inutilmente presenti, sulla tecnica che snatura l’uomo. In
verità la tecnica, l’artificio, anche quello educativo, è la nostra innaturale
natura.
A.M.: Che cos’è la Bildung e perché “entrambi i filosofi condividono un progetto
di Bildung che resta isolato nel contesto di una modernità protesa a formare
nel modo meno dispendioso e più veloce individui utili e docili alle richieste
dello Stato e del mercato; entrambi avvertono il pericolo della cattiva
educazione che vedono in tal senso agire nelle diverse società a cui appartengono.”?
Cristina Zaltieri: Uso il termine tedesco Bildung perché è equivalente a ciò che i
greci chiamavano paideia e perché è
utilizzato con grande profondità teoretica da Goethe che è il vero tramite tra
Spinoza e Nietzsche. Goethe era spinoziano, si potrebbe dire non per scuola, ma
per natura di pensiero e Nietzsche, amandolo e facendo propria gran parte della
sua riflessione, si è nutrito di pensiero spinoziano ben oltre il suo cosciente
e tardivo entusiasmo per Spinoza di cui ho prima parlato. Bildung, ci spiega Goethe, è termine legato a Bild, che è forma mobile, non fissa come invece in tedesco è Gestalt. Dunque Bildung dice una formazione dell’umano che non è legato a un
modello universale e stereotipato e che si addice perfettamente a ciò che
intendono sia Spinoza che Nietzsche quando riflettono su tale tema. Spinoza
nell’Etica si scaglia contro i
cattivi maestri che invece che firmare l’animo
dei discenti, frangono, distruggono
la loro singolarità. Ancor oggi questo monito severo contro l’omologazione nell’educazione
(che è appunto la distruzione della singolarità) deve farci pensare. Nietzsche
è sconcertato, da parte sua, degli esiti nefasti che egli legge all’esordio
dell’educazione di massa e che consistono nel ridurre l’uomo a moneta corrente,
ossia a merce il più presto possibile pronta ad essere utilizzato nel mercato.
I veri maestri non sono coloro che ci abbandonano all’istinto del gregge
(presente per pigrizia, per inerzia, in ognuno di noi), ma sono coloro che ci
indicano la nostra vera natura, che ci aiutano a dispiegarla appieno. Lo scopo
di ogni educazione autentica è proteggere quel nucleo ineducabile che è la
nostra propria singolarità. Si tratta di riflessioni che sembrano purtroppo
poco o per niente frequentate dalle nostre istituzioni scolastiche.
A.M.: θαυμάζω. Thaumàzein. Nel Teeteto, Platone indica nel pathos
della meraviglia il principio primo. Aristotele parte dall’idea che la
meraviglia possa far stimolare alla ricerca delle cause ultime. Contrari
Nietzsche e Spinoza. Ma trasportiamo questa diatriba ai nostri giorni e
consideriamo quanto la psiche umana sia confusa da orari da rispettare, notizie
che si accavallano ed alle quale non si riesce a trovar il tempo per creare
connessione. Il mondo virtuale che ha modificato l’attività giornaliera del
mondo fisico per un’esaltazione della maschera o dell’Io. In questa insicurezza
del vivere è possibile che la meraviglia di veder il tramonto od il sorgere del
sole senza il bisogno di scattare una fotografia da inserire su un profilo
social, possa portar la capacità di interrogarsi? L’uomo riesce ancora a
chiedersi: ma perché avviene? Se la meraviglia può portare nuovamente il dubbio
a quel punto ci può essere l’ascesa alla pace, al bene, al silenzio?
Cristina Zaltieri: Per quanto concerne la lettura che
Spinoza offre della meraviglia rimando al bel saggio di Nicola Marcucci
contenuto nel libro. Ricordo solo che per Spinoza l’admiratio è il nostro atteggiamento mentale di fronte a ciò che non
colleghiamo a nulla di già esperito, di fronte all’insolito, o meglio, a ciò
che pensiamo, immaginiamo, lo sia. Per questo non ha valenza conoscitiva, ci fa
sospendere qualsiasi connessione e relazione e ha il potere di ingigantire le
passioni che accompagnano l’emergere dell’insolito. Nietzsche poi propende per
concepire l’inizio del pensiero piuttosto che dal tradizionale thaumàzein, da
un trauma, da una ferita che richiede il pensiero come farmaco, come rimedio. Quanto
alla meraviglia che tu identifichi piuttosto con la contemplazione, con il
raccoglimento, con il tempo del pensiero, mi trovi del tutto in sintonia con la
tua preoccupazione: è triste e disumano che le nostre vite non trovino più modo
di ospitare un po’ di vuoto, di silenzio, di tempo da perdere che poi è quello
che nutre il nostro pensiero critico e la nostra creatività.
A.M.: Ci sono in programma presentazioni di “Spinoza
e la storia”?
Cristina Zaltieri: La prima presentazione di Spinoza e la storia è prevista in
Università degli studi di Milano lunedì 24 giugno e vedrà alcuni autori dei
saggi contenuti, Vittorio Morfino, Riccardo Caporali, Stefano Visentin, i
curatori del libro, Nicola Marcucci ed io, discuterne con Roberto Diodato e Giorgio
Mayer Gatti sotto la presidenza di Gianfranco Mormino. Sarà una buona occasione
d’incontro tra spinoziani sulla questione della storia.
A.M.: Puoi darci un’anticipazione? Stai lavorando ad
un nuovo saggio?
Cristina Zaltieri: Sono impegnata nella scrittura di un
testo collettaneo che, a cinquanta anni dalla pubblicazione di Differenza e ripetizione, capolavoro
giovanile di Gilles Deleuze, si interroga sull’attualità dell’opera.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Cristina Zaltieri: Direi che dobbiamo concludere con
Spinoza, con le ultime parole con cui egli chiude la sua Etica:
“[…] la via che ho
mostrato condurre a questo [la vera tranquillità dell’animo] pur se appare molto difficile, può tuttavia
essere trovata. E d’altra parte deve essere difficile, ciò che si trova così
raramente. Come potrebbe accadere, infatti, che, se la salvezza fosse a portata
di mano e potesse essere trovata senza grande fatica, venisse trascurata quasi
da tutti? Ma tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare.”
A.M.: Cristina ti ringrazio per questa
interessante chiacchierata. Seguo il tuo esempio e saluto anche io con una
citazione dell’Etica, dalla parte terza “Essenza ed origine
delle emozioni” (Laterza, 2009): “Di
quanti hanno scritto sulle emozioni e sulla maniera di vivere degli uomini, i
più sembrano trattarne, non già come di cose naturali, conformi alle leggi
comuni della natura, bensì come di cose estranee ad essa. Anzi, sembrano
concepire l’uomo, nella natura, alla stregua d’un impero all’interno d’un altro
impero; credendo che, anziché seguire l’ordine della natura, lo perturbi,
poiché avrebbe un potere assoluto sulle proprie azioni, come non determinato da
altro che da se stesso.”
Written by Alessia
Mocci
Responsabile
Ufficio Stampa Negretto Editore
Info
Sito Negretto
Editore - https://www.negrettoeditore.it/
Facebook Negretto
Editore - https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/
Acquista “Spinoza e la storia” - https://www.ibs.it/spinoza-storia-libro-vari/e/9788895967363?lgw_code=1122-B9788895967363
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/06/12/intervista-di-alessia-mocci-a-cristina-zaltieri-vi-presentiamo-spinoza-e-la-storia/
Intervista di Alessia Mocci alla Fondazione Darcy Ribeiro per l’uscita della nuova traduzione italiana di Utopia Selvaggia
“Per Darcy, la sopravvivenza degli indios risiede nella
loro apparente incapacità di essere decomposta ed annullata nella società
nazionale. Qualunque siano le condizioni che affrontano, gli indios, anche se
profondamente mescolati con neri e bianchi, rimangono indios e si dichiarano
indios.” – Fondazione Darcy Ribeiro
Il primo maggio in tutte le librerie fisiche ed online è
uscito il romanzo “Utopia selvaggia ‒ Saudade dell’innocenza perduta. Una
fiaba” del famoso sociologo, antropologo, scrittore, educatore ed uomo
politico brasiliano Darcy Ribeiro (Montes Claros – Minas Gerais
26-10-1922/ Brasilia 17-2-1997), pubblicato nella collana “Il Pasto Nudo,
assaggi di antropologia” curata da Giancorrado Barozzi per la casa editrice
mantovana Negretto Editore con la nuova traduzione ad opera di Katia Zornetta.
La scelta da parte della casa editrice Negretto Editore
in dialogo e collaborazione con Fundar (Fundação Darcy Ribeiro), con sede a
Rio de Janeiro, offre un contributo importante all’attuale dibattito sui temi
di identità e diversità presenti non solo nel nostro paese ma anche in tutta
Europa.
La cosiddetta “crisi migratoria”, che da una decina
d’anni si è palesata sulle coste del Mar Mediterraneo e sui confini della
Turchia, è una problematica che ancora non ha risposte convincenti e che pian
piano si allontana, per la grande paura del disuguale sempre più presente nel
popolo europeo, dal concetto di mutuo appoggio tra popolazioni e culture
diverse.
Per addentrarci nell’argomento si è deciso di
intervistare le tre donne di rilievo della Fondazione Darcy Ribeiro: Haydée
Coelho, Lúcia Velloso e Elizabeth Brêa, ricercatrici e docenti universitarie,
che operano in diverse aree della letteratura dell’educazione e
dell’antropologia.
A.M.: Nel gennaio del 1996, un anno prima della
morte, Darcy Ribeiro istituisce la Fondazione Darcy Ribeiro con sede a
Copacabana con l’obiettivo di mantenere in vita il suo progetto di comprensione
ed integrazione della variegata moltitudine brasiliana. Da quell’anno ad oggi
cosa avete fatto per portare avanti il lavoro di Ribeiro?
Fondazione Darcy Ribeiro: A questa intervista hanno
risposto tre consigliere della Fondazione Darcy Ribeiro, tre donne − Haydée
Coelho, Lúcia Velloso e Elizabeth Brêa −, ricercatrici e docenti universitarie,
che operano in diverse aree della letteratura dell’educazione e
dell’antropologia. Due di noi, che attualmente partecipano al Comitato
esecutivo della Fondazione, hanno lavorato con Darcy Ribeiro, negli anni ‘80 e
‘90, quando era vicegovernatore dello stato di Rio de Janeiro, sviluppando, tra
le altre "costruzioni" [fazimentos], il più grande programma di
educazione a tempo pieno che il Brasile abbia vissuto. La terza consigliera si
avvicina alla Fondazione grazie alla sua brillante ricerca nel campo della
letteratura, che accompagna il lavoro e la produzione di Darcy Ribeiro nel suo
esilio, in diversi paesi dell'America Latina. Continuiamo, attraverso la
Fondazione, a organizzare eventi e curare libri su Darcy Ribeiro ed i suoi
ideali, per introdurre i giovani studenti universitari al pensiero di questo
autore, attraverso il nostro lavoro nelle università e in altri uffici pubblici.
A.M.: Ribeiro racconta in “Utopia Selvaggia” la
Guerra Guiana come una lotta del Brasile contro un nemico ignoto perché sia i
guiani sia i venezuelani dell’Amazzonia hanno iniziato una resistenza pacifica.
Che cosa vuole rappresentare Ribeiro con questa idea di collasso della guerra?
Cos’è la guerra per Ribeiro?
Fondazione Darcy Ribeiro: Il riferimento alla guerra nel
romanzo di Darcy Ribeiro è legato alle azioni "eseguite dall'esercito
brasiliano a nord del Rio delle Amazzoni". Il primo tenente Gasparino
Carvalhal, agente civile della SNI (National Information Service, creato
durante la dittatura militare nel 1964), prese parte alla guerra. Dal punto di
vista storico, si può dedurre che si trattasse di una forma di vigilanza da
parte del regime militare, durante la Guerra Fredda, per impedire l'espansione
del comunismo (Stéphane Granger). Per quanto riguarda il nome dell'ufficiale,
come osservato, si tratta chiaramente di una parodia di Gaspar de Carvajal, il
prete domenicano spagnolo che prese parte alla spedizione di Gonçalo Pizarro
alla foce del Rio delle Amazzoni. Sempre sulla falsariga della parodia, il
personaggio di Orelhão è un riferimento al conquistador Francisco de Orellana,
il cui viaggio esplorativo è anch’esso associato alla scoperta del Rio delle
Amazzoni.
In A fundação do Brasil (un libro curato da Darcy Ribeiro
e Carlos de Araujo Moreira Neto): "la spedizione di Orellana è sempre
stata importante per il piano geopolitico di occupare la regione amazzonica e
tutto il Sud America (...)."
D'altra parte, le attività militari permettevano anche
l'incontro tra il cosiddetto popolo civilizzato e gli indigeni, rappresentati
dalle Amazzoni e dagli indios Galibi, del popolo Calibã. Poiché il libro fa
riferimento a diversi periodi (il passato, il recente regalo dei brasiliani -
degli anni '60 e '70) e si proietta verso il futuro, l'autore si avvale della
dislocazione spaziale del personaggio, come membro dello staff militare, per
menzionare il Brasile nel capitolo sulla conquista dell'America, che non è
stato fatto solo dai portoghesi. Inoltre, il romanzo, in un modo dialogico,
contiene una diversità testuale che colpisce profondamente i lettori. Qui si
possono citare i testi relativi ai resoconti dei viaggiatori europei in
Brasile; la tradizione letteraria europea che include, tra gli altri testi, La
Tempesta, di William Shakespeare, attraverso le figure di Prospero e Caliban;
le letture e le riletture del dramma dell'autore inglese, incluse versioni e
interpretazioni che hanno prodotto importanti saggi di scrittori
latinoamericani, come Ariel, di José Rodó e Calibán e altri, di Roberto
Fernández Retamar.
La dimensione utopica del libro si impegna in un dialogo
con la tradizione europea, attraverso la lettura di Sérgio Buarque de Holanda
dell'Eldorado (Visão do Paraíso - Vista del Paradiso), attraverso
l'antropofagia e l'utopia di Oswald, e si proietta sul presente/futuro politico
che "è nelle mani sagge e computazionali di Prospero". Data la
complessa cornice (di riferimenti a più letture e testi), si può affermare che
la guerra di Darcy Ribeiro è una guerra di scrittura che implica un impegno
verso una visione multipla e polifonica del mondo che non annulla l'impegno
etico dello scrittore contro lo status quo.
A.M.: Ribeiro cita ‒ talvolta rimescolando i nomi ‒
missionari e storici che si addentrarono nel Sud America (Gaspar de Carvajal,
Francisco de Orellana, Cristóbal de Acuña e CharlesMarie de La Condamine,
Manuel de Nóbrega, Pero de Magalhães Gândavo, Luís Vaz de Camões). In che modo
uomini come quelli citati hanno modificato gli usi e costumi degli indigeni?
Fondazione Darcy Ribeiro: L'espansione iberica ha
scatenato uno dei più grandi processi di civiltà nella storia moderna,
distruggendo migliaia di popoli, lingue e culture. Evangelizzazione, schiavitù,
sottomissione forzata, decimazione da malattie sono aspetti di questo processo
che si è verificato nel continente americano, ma con conseguenze diverse tra l’America
del Nord e l’America portoghese. In Brasile, fu attuato un dominio sulle popolazioni
indigene che è avanzato dalla costa atlantica mentre la conquista del
territorio diventava effettiva. Lo scontro tra civiltà europea e indios a causa
delle malattie sconosciute, delle guerre di sterminio, della cattura degli
indigeni e dell'evangelizzazione etnocida portò all'estinzione di circa 4
milioni di indios nei primi due secoli di conquista. Negli anni '50 e '60, gli
indios stavano per scomparire, vittime di malattie, violenza o acculturazione,
processi di assimilazione o integrazione nella società nazionale. In tale
contesto, Darcy Ribeiro ha sviluppato una concezione che cerca di spiegare
perché l'indiano non è scomparso, al contrario, è tornato a una crescita
demografica. È il concetto di trasfigurazione etnica, in cui
"un popolo già strutturato resiste tenacemente
alla sua destrutturazione, ma lo fa appunto assumendo quei cambiamenti che ne
consentono l'esistenza nel contesto in cui interagisce" − O povo
brasileiro, 2013: 234
Per Darcy, la sopravvivenza degli indios risiede nella
loro apparente incapacità di essere disfatta nella società nazionale. Qualunque
siano le condizioni che affrontano, gli indios, anche se profondamente
mescolati con neri e bianchi, rimangono indios e si dichiarano indios.
A.M.: “Utopia selvaggia” è una storia, è una favola
ma in realtà è molto di più. Ribeiro interviene spesso come voce narrante per
spiegare al lettore ciò che sta leggendo in quel momento e dunque ciò che
accade al personaggio principale Pitum e ciò che pensa dell’incompreso passato
del Brasile. Lo stile del libro si presta al teatro considerando la forza delle
garbate intromissioni dell’autore. Si è mai portato in scena la fiaba o si è
pensato di farne un film?
Fondazione Darcy Ribeiro: Il narratore ha diverse
funzioni nel romanzo di Darcy Ribeiro: si rivolge al lettore; accompagna i
personaggi e il loro movimento attraverso diversi spazi; diventa un saggista e
fa da cronista dei vari periodi. Come tale, tra le altre risorse narrative, il
narratore testimonia e registra attraverso la scrittura, in modo commovente, i
dialoghi tra i personaggi civilizzati e i loro confronti, e le conversazioni
tra Calibã − leader della tribù Galibi − e i rappresentanti degli uomini
civilizzati. Il libro si chiude con un capitolo apoteotico intitolato "A
caapinagem" ["celebrazione di Caapi"]. In esso, Darcy Ribeiro
evoca Glauber Rocha: "Salve, salve Glauber. Benvenuto". In
un'intervista, lo scrittore aveva già annunciato che "A caapinagem"
era un capitolo concepito con l'intento di farlo adattare al cinema dal famoso
regista brasiliano. Nelle Confessioni postume, lo scrittore brasiliano
manifesta anche questo desiderio. Per i cineasti, un'immagine dice tutto.
Indubbiamente, da questa prospettiva, Utopia Selvagem apre la possibilità di
avvicinare il testo di Darcy Ribeiro alla luce della cinematografia e delle
arti visive.
La relazione tra cinema e antropologia, per quanto
riguarda Darcy Ribeiro, è attestata dalle produzioni filmiche che derivano
dalla spedizione etnologica di Ribeiro a Urubus-Kaapor. Nella prefazione a
Diários Índios, afferma che Heinz Foerthmann, quando lo accompagnò in occasione
del suo primo viaggio, produsse un film "su un giorno nella vita di un
popolo nativo nella foresta pluviale". Inoltre, nel 1975 il regista
Gustavo Dahl ha prodotto il film "Uirá, um índio em busca de Deus",
basato sul saggio "Uirá vai ao encontro de Maíra: come esperienze di um
índio que saiu à procura de Deus", pubblicato originariamente nel
periodico Anhembi (1957) e successivamente presentato nel libro Uirá sai à
procura de Deus, sottotitolato Ensaios de Etnologia e Indigenismo.
A.M.: Ribeiro ragiona sul governo brasiliano per
bocca di Pitum e racconta del progetto del maggiore Psiu sui media sul poter
ristabilire in Brasile l’ordine in uno stato sempre più depravato dall’incesto,
nazionalismo, xenofobia, pornografia. Quali sono state le lotte essenziali
della sua vita come uomo politico?
Fondazione Darcy Ribeiro: Darcy Ribeiro, laureato in
sociologia e antropologia, ha iniziato la sua vita professionale lavorando con
il maresciallo Cândido Rondon, che ha definito il suo eroe. Rondon era un
ingegnere militare e un "sertanista" brasiliano, famoso per il suo sostegno
alle popolazioni indiane brasiliane. A quel tempo, Darcy Ribeiro fu assunto
come naturalista, perché ancora non esisteva il ruolo di indigenista o etnologo
nel Servizio di protezione degli indios. Gli anni in cui Darcy Ribeiro visse
tra gli indios lasciò molti legati, tra i quali spicca la creazione, nel 1961,
del Parco Indigeno Xingu, la prima e più grande riserva per i nativi del
Brasile. La convivenza con gli indios e la sua militanza politica hanno segnato
la sua formazione, osservabile nella sua vita professionale e pubblica, in
particolare nell'educazione. Darcy Ribeiro fu educato per opera di Anísio
Teixeira, che egli definì il suo filosofo dell'educazione. Le proposte di
Anísio Teixeira per l'educazione sono state incorporate da Darcy Ribeiro e
implementate in tutte le sue opere nel campo dell'istruzione. Anísio Teixeira
ha presieduto l'Istituto nazionale di studi pedagogici (INEP) e ha consegnato a
Darcy il coordinamento e l'attuazione dei centri regionali di ricerca
educativa, collegati all'INEP. Insieme hanno creato l'Università di Brasilia,
che ha trasformato la comprensione della vita universitaria in Brasile. Darcy
Ribeiro fu il suo primo rettore, consegnando questa responsabilità ad Anísio
Teixeira quando Darcy Ribeiro divenne Ministro della Pubblica Istruzione. Era a
capo della Casa Civile, quando il colpo di stato militare prese il potere. In
esilio, Darcy ha partecipato all'organizzazione di diverse università. Al suo
ritorno, è stato eletto vicegovernatore, con Leonel Brizola, attuando il più grande
programma di educazione integrale nel paese, così come molti altri
"costruttori" [fazimentos], come soleva dire. Negli anni '90 fu
eletto senatore e fu responsabile dell'approvazione delle linee guida e delle
basi della legislazione nazionale sull'istruzione (legge 9394/96), tra gli
altri progetti di legge della sua paternità. È morto 40 giorni dopo
l'approvazione della legge sull'istruzione. Darcy Ribeiro ci ha lasciato il suo
impegno per il Brasile, la sua incessante immaginazione e l'entusiasmo per ogni
nuova idea intellettuale o iniziativa sociale.
A.M.: Indio fu una parola generica che Colombo diede
agli abitanti dell’America ma sappiamo che non è mai esistito un prototipo di
indio bensì un crogiolo di civiltà, popoli e gruppi umani generato da millenni
di processi migratori ed adattamenti. Il Sud-America è diventato un emblema di
mescolanza tra le popolazioni autoctone, gli invasori europei e coloro che
arrivarono come schiavi dall’Africa. Il cosiddetto meticcio è tipico del “Nuovo
Mondo” e mostra la grandezza della possibile integrazione. Ma com’è realmente
vissuta ‒ visto e considerato che lo stesso Ribeiro volle preservare le
popolazioni indios rimaste per non far l’errore di Stati come il Perù ed il
Messico che con la “scusante” di libertà e parità di diritti hanno derubato le
popolazioni della propria terra per una bottiglia di rum ‒ oggi la combinazione
tra indigeno, europeo ed africano?
Fondazione Darcy Ribeiro: In As Américas ea civilização,
un libro che affronta le questioni cruciali della storia americana, come il
senso della colonizzazione, la rottura dell'impero spagnolo in una diversità di
nazioni e le cause di disuguaglianza negli indicatori di sviluppo, Darcy
Ribeiro modella tre tipi di popoli in America: popoli trapiantati, popoli testimoni
e nuovi popoli che derivano dall'unione di bianchi, neri e indios nell'impresa
coloniale, una situazione prevalente in Brasile. Nel prologo alla pubblicazione
di Carta, Darcy Ribeiro scrive:
"Il popolo brasiliano fu costruito come una
popolazione razziale mista, storicamente spezzato in due blocchi: le orde
originate dai regni e dai loro figli creoli, poste in cima come una coorte
dominante, gli indios scampati allo sterminio, delle foreste e dei negri
portati dall'Africa, in opposizione a questi contingenti cresce l'altro blocco
di persone neo-brasiliane, composto da una massa di meticci, mamelucos e
mulatti, che si prendono cura della propria identità, costruendo nella propria
innocenza il loro destino” Carta, n.9, 1993: 16
Secondo Darcy, noi, popolo brasiliano, siamo
"tardo latini, da oltreoceano,
"amorenados" [dalla pelle scura] dalla fusione di gente bianca e
nera, deculturati dalle tradizioni del loro quartier generale ancestrale, ma
che ne portano con se alcune porzioni sopravvissute [di queste tradizioni,
n.d.r] che ci aiutano a contrastare così tanto con i lusitanos." − O povo
brasileiro, 2013: 117
Per Darcy Ribeiro, che fonde patrimonio genetico e
culturale indiano, nero ed europeo, questa è l'avventura brasiliana.
A.M.: Qual è il punto di vista del neo eletto
presidente Jair Messias Bolsonaro sulle popolazioni dell’Amazzonia?
Fondazione Darcy Ribeiro: Nonostante sia un militare e
contando nel suo governo, su una forte partecipazione di membri delle forze
militari, il presidente eletto rompe con il riconoscimento di una politica
indigenista formulata dal maresciallo Cândido Mariano da Silva Rondon che,
all'inizio del XX secolo, nel 1910, creò il Servizio di Protezione degli Indios
[Serviço de Proteção aos Índios-SPI] e difese il riconoscimento dei popoli
indigeni come nazioni autonome, con le quali era necessario stabilire relazioni
di amicizia. Rondon ispirò Darcy Ribeiro che abbandonò la carriera accademica
per diventare un etnologo presso la SPI, dove sviluppò importanti ricerche tra
il Kadiwéu, Urubu-Kaapor, Guarani-Kaiwá, Kaingang e concepì il parco indigeno
di Xingu. Contrariamente a questa visione umanista e al rispetto per il popolo
indio, l'attuale presidente ha intrapreso iniziative deleterie per gli indios
brasiliani. Ha diviso la National Indian Foundation [Fundação Nacional do
Índio-FUNAI], un'organizzazione indigena che è succeduta allo SPI, tra due
ministeri, delegando le azioni di identificazione e demarcazione dei territori
indigeni al Ministero dell'Agricoltura, noto difensore degli interessi dei
grandi proprietari terrieri, che, per la maggior parte, non riconoscono il
diritto alle loro terre tradizionali per le popolazioni indigene, come
stabilito dalla Costituzione brasiliana. Le recenti dichiarazioni del
Presidente Jair Bolsonoro che considerano le terre indigene nelle aree di
confine dell'Amazzonia un pericolo per la sovranità nazionale o che propongono
la liberazione dell'attività mineraria in quei territori mettono a rischio il
futuro delle popolazioni indigene e rivelano una chiara ignoranza della
formazione storica del Brasile.
A.M.: Dagli anni ’70 ad oggi sono vari i libri di
Darcy Ribeiro tradotti in italiano, come avete accolto il progetto di una nuova
traduzione di Katia Zornetta della fiaba “Utopia selvaggia” per la Negretto
Editore?
Fondazione Darcy Ribeiro: È preziosa la scelta di
pubblicare questo libro in questo momento storico del Brasile. Questo romanzo
fu scritto nel 1982 e fondò la sua pertinenza in due argomentazioni: la
profonda credenza di Darcy Ribeiro in cui l'utopia è una forza trainante
dell'umanità che illumina la traiettoria dai sogni alla loro realizzazione; e
il presente sconcertante di questo racconto che registra la saudade di perdita
dell'innocenza, attraverso i collegamenti tra passato e presente, che
proiettano un futuro di speranza, fondato sulla costruzione di una cultura
fondata sull'incrocio di varietà. Darcy ci ricorda che anche in tempi di grandi
avversità, come quello attuale, ci possono essere delle compatibilità, anche se
può sembrare troppo utopico.
A.M.: Salutateci con una citazione…
Fondazione Darcy Ribeiro: Considerando che l'opera Utopia
Selvagem: saudades da inocência perdida: uma fábula si riferisce a vari
intervalli di tempo − il periodo storico della conquista dell'America da parte
di spagnoli e portoghesi, così come i decenni del 1960 e il 1970 (gli anni
sotto la dittatura in Brasile) e il periodo della guerra fredda, trovo la
riflessione sulla cultura presente in Os brasileiros: 1. Teoria do Brasil di
estrema importanza. In questo senso, richiamo l'attenzione sul passaggio:
"In determinate condizioni catastrofiche − come
sconfitte in guerre, ecatombe o conquiste − i mezzi attraverso i quali le
culture si esprimono possono essere ridotti a livelli minimi. Tali
vicissitudini a volte causano traumi così profondi a una cultura che la
condannano alla scomparsa. Tuttavia, poiché ogni uomo è sempre essenzialmente
un essere culturale, un detentore della tradizione che lo ha reso umano, la sua
cultura sparirà solo se gli sarà impedito di trasmetterlo socialmente ai suoi
discendenti. " Darcy Ribeiro, 1985, p.128
A.M.: Vi ringrazio per questa bella chiacchierata e
per l'importante lavoro che svolgete con la Fondazione Darcy Ribeiro. Saluto
con le parole di Antonio Gramsci: "Cultura non è possedere un magazzino
ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere
la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha
cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti
gli altri esseri."
Written by Alessia Mocci
Traduzione in lingua italiana di Claudio Fadda
Info
Sito Negretto Editore
http://www.negrettoeditore.it/
Facebook Negretto Editore
https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/
Acquista “Utopia selvaggia”
https://www.ibs.it/utopia-selvaggia-saudade-dell-innocenza-libro-darcy-ribeiro/e/9788895967356
Sito Fundação Darcy Ribeiro
https://www.fundar.org.br/
Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/05/28/intervista-di-alessia-mocci-alla-fondazione-darcy-ribeiro-per-luscita-della-nuova-traduzione-italiana-di-utopia-selvaggia/
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