Intervista di Alessia Mocci a Cristina Zaltieri: vi presentiamo Spinoza e la storia
“Nietzsche coglie cinque motivi di consonanza tra il suo
pensiero e quello del pensatore olandese: entrambi combattono l’illusione del
libero arbitrio, confutano il finalismo di matrice aristotelica, distruggono la
concezione di un ordine morale inerente al mondo, mostrano l’interesse come
motore di ogni umano agire, negano il male ontologico, insito nelle cose stesse.”
– Cristina Zaltieri
“Spinoza e la storia” edito nel
maggio 2019 dalla casa editrice mantovana Negretto Editore è un saggio
critico sul filosofo olandese Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre
1632 – L'Aia, 21 febbraio 1677) comprendente una ricca selezione di saggi
curati da Cristina Zaltieri e Nicola Marcucci, pubblicato nella collana
“Il corpo della filosofia”.
Il saggio si apre con
l’introduzione “Spinoza. Come pensare altrimenti la storia” di Cristina
Zaltieri nella quale sono illustrate le quattro parti che compongono
l’ambizioso e ben riuscito progetto corale di nuova rilettura del filosofo
olandese seguendo la moderna attenzione riservatagli dai filosofi Gilles
Deleuze e François Zourabichvili.
La prima parte, “Alle radici di una
storia spinoziana”, inizia con il saggio di Chiara Bottici e Miguel de
Beistegui, seguono il saggio di Patrizia Pozzi, il saggio di Francesco
Toto, con chiusura di Nicola Marcucci.
La seconda parte, “Una solitudine
condivisa. Tra precursori e seguaci”, prende avvio con il saggio di Augusto
Illuminati, seguono il saggio di Guillermo Sibilia, il saggio di Riccardo
Caporali, con chiusura di Cristina Zaltieri.
La terza parte, “Contro la lettura
astorica”, vede come primo saggio “Spinoza e la storia” di Vittorio Morfino,
seguono il saggio di Thomas Hippler; il saggio di Andrea Cavazzini,
con chiusura di Homero Santiago.
La quarta parte, “Spinoza
oltremoderno”, si apre con il saggio di Ezequiel Ipar, seguono il saggio
di Manfred Walther, il saggio di Maria de Gainza, con chiusura di
Stefano Visentin.
Cristina Zaltieri è docente di
filosofia ai licei e cultrice di filosofia all’Università di Bergamo.
Dirige assieme alla stimata collega Rossella Frabbrichesi la collana “Il corpo
della filosofia”. Precedentemente altri suoi lavori filosofici sono stati
pubblicati per gli editori Guerini e Mimesis.
A.M.: Ciao Cristina ci siamo
conosciute grazie alle pubblicazioni che hai curato sul filosofo francese di
origini georgiane François
Zourabichvili che si dedicò interamente alla comprensione al commento
dell’opera di Baruch Spinoza e Gilles Deleuze. Oggi non ci discosteremo molto
dall’argomento, infatti la nostra chiacchierata verterà sulla nuova
pubblicazione che hai curato con Nicola Marcucci, “Spinoza e la storia”. Come
nasce l’idea di questa raccolta di saggi su Baruch Spinoza?
Cristina Zaltieri: Nel giugno 2013 alcuni studiosi italiani di
Spinoza, Raffaella Colombo, Vittorio Morfino, Gianfranco Mormino e Nicola
Marcucci convocarono a Milano per un convegno di tre giorni esperti di studi
spinoziani da ogni parte del mondo al fine di considerare il complesso rapporto
che il pensiero di Spinoza intrattiene con la storia, al di là di un secolare
interdetto che nelle interpretazioni tradizionali gravava su tale rapporto. Ne
emerse un panorama di studi e di letture variegato e davvero cospicuo che
subito si mostrò meritevole di pubblicazione in quanto il tema risultava nella
letteratura spinoziana pressoché inesplorato. Ma per alterne vicende, in primo
luogo legate al finanziamento della pubblicazione, l’impresa si bloccò fino a
quando, nello scorso anno, Silvano Negretto mostrò interesse al testo per la
sua collana di filosofia “Il corpo della filosofia”. Nicola Marcucci ed io, che
avevo partecipato come relatrice al convegno, ci facemmo carico ben volentieri
del lavoro di curatela della pubblicazione.
A.M.: Quali sono − nella diversità dei punti di vista
evidenziati nei diversi saggi − i temi e concetti chiave per i quali Spinoza
può dirsi interessato al movimento e alle trasformazioni della storia?
Cristina Zaltieri: Spinoza nella sua breve vita ha
elaborato una filosofia che ha il proprio cuore pulsante in un progetto di
liberazione etico-politica, progetto ben testimoniato dall’Etica e dai due Trattati.
Emancipazione, democrazia, libertà, formazione, sono tutti temi che
riecheggiano nelle pagine di Spinoza e la
storia e che ogni studioso di Spinoza sa essere cari al nostro filosofo. Di
certo un interesse per la storia traspare lungo il Trattato teologico-politico ed è presente pure nel Trattato politico; ciò spiega come la
gran parte dei saggi raccolti in Spinoza
e la storia si riferiscano ai due testi in questione. Nel primo testo
Spinoza mostra una profonda conoscenza dei costumi e delle vicende della storia
ebraica biblica che fa valere in senso critico nei confronti di una lettura
astorica della Bibbia. Nel Trattato
politico la disamina dei tre modelli statuali, monarchico, aristocratico e
democratico (quest’ultimo purtroppo non affrontato da Spinoza che muore
lasciano incompiuto il testo) è arricchita da continui exempla tratti dalla storia delle comunità umane – dei romani, degli
aragonesi, degli inglesi, ecc. − ben conosciuta da Spinoza.
Ora, un progetto emancipativo richiede un confronto con
la storia come luogo del divenire umano. Si tratta di capire quali caratteri
assuma l’indubbia attenzione di Spinoza per il divenire umano. È questo il tema centrale del testo,
declinato in molteplici forme dai vari autori. Ad esempio, Manfred Walther
considera la distanza (e anche i punti in comune) tra la concezione spinoziana,
che non ammette l’emergere dell’assolutamente nuovo, e la lettura evolutiva.
Homero Santiago legge nel more geometrico
non l’antitesi ad ogni divenire (come spesso si è detto), bensì la possibilità
di dar conto delle trasformazioni nel senso di un’esplicazione di ciò che ogni
ente inviluppa in sé, proprio come ogni figura geometrica implica in sé
molteplici proprietà. Mariana de Gainza legge in Spinoza una lettura della
storia che l’autrice chiama “prospettivismo critico” e che è antidoto ad ogni
costruzione di una storia universale.
A.M.: Quali sono, secondo te, le fasi storiche
fondamentali (e relativi autori più significativi) nelle quali si svolgono e
via via mutano le interpretazioni della filosofia complessiva di Spinoza?
Cristina Zaltieri: Quando Spinoza muore, nel 1677, non ha
adepti né lettori, al di fuori della cerchia ristretta dei suoi amici; è in
odore di ateismo e per un secolo sarà pressoché dimenticato (se si escludono
rari commentatori come Pierre Bayle) fino a quando nel 1785 il filosofo tedesco
Jacobi rende pubblica una sua conversazione con il grande letterato illuminista
Lessing in cui quest’ultimo dichiarava di sentirsi in piena consonanza con il
pensiero di Spinoza. Lessing asseriva che le tradizionali forme di religione
non gli dicevano più niente, egli riposava ormai su un unico pensiero: en Kai
pan, ossia “tutto è uno”. Ne emerse un dibattito che coinvolse i maggiori
pensatori del momento e che servì per riportare all’attenzione di tutti il
pensiero dell’eretico Spinoza anche se molti dei lettori del tempo, tra cui
Kant, stigmatizzarono in Spinoza un razionalismo esaltato, fanatico, privo di
alcuna misura e limite, che pretende di spiegare ogni verità metafisica. Le
letture idealiste che ne seguirono, quella di Hegel, in primis, se da un lato
riconoscevano al pensiero di Spinoza una grandezza indiscussa, dall’altro lo
inchiodavano a pensiero della sostanza immota, dove il finito e il molteplice,
in quanto effimera apparenza, si inabissano.
Bisogna giungere agli anni sessanta del Novecento per
assistere, in terra francese, a un radicale cambiamento di paradigma nella
lettura di Spinoza. Ne è esponente significativo Gilles Deleuze che nelle sue
ricerche dedicate a Spinoza, Spinoza et le problem dell’expression (1968) e
Spinoza. Philosophie pratique (1981) fa di Spinoza il filosofo della radicale
immanenza valorizzando temi quali quello del desiderio, del corpo, della
filosofia come cammino di liberazione. Negli anni settanta Althusser e i suoi
discepoli, Etienne Balibar e Pierre Macherey, leggono in Spinoza un filosofo
rigorosamente materialista, una sorta di precorritore, nella considerazione
dell’ideologia, del pensiero di Marx. Ad Althusser dobbiamo la lettura di uno
Spinoza portatore di una storia “altra”, una storia policronica e
evenemenziale.
Da allora ai giorni nostri Spinoza è sempre più studiato,
in tutte le parti del mondo, come dimostra la varietà di provenienza degli
studiosi ospitati in Spinoza e la storia. La popolarità di Spinoza ha reso
paradossalmente questo filosofo − così difficile e arduo da comprendere − una
sorta di esponente della pop-filosofia, citato persino da Vasco Rossi prima di
un suo concerto qualche anno fa. Questa popolarità di Spinoza dà ragione a
Deleuze che, mentre lo definiva “il principe dei filosofi”, lo chiamava anche
il “filosofo dei non filosofi” perché il suo pensiero rende possibile una sorta
di approccio “affettivo”, selvaggio, ai suoi concetti.
A.M.: Perché le interpretazioni raccolte sul saggio “Spinoza
e la storia” sono differenti da quelle tradizionali?
Cristina Zaltieri: Spinoza, accompagnato in vita come
dopo la morte, dall’aura negativa del pensatore che fu maledetto dalla sua
stessa comunità di appartenenza, esecrato da tutte le chiese, isolato dalla
cultura ufficiale del suo tempo, ritornò ad essere oggetto di attenzione, anzi
di una vera e propria Spinoza Renaissance,
nel contesto del Romanticismo tedesco. Ora, sia i detrattori sia gli entusiasti
adepti del filosofo dell’Etica, lo
lessero, in quel contesto, come colui che considerava la totalità del reale,
incarnata nella Sostanza infinita, come immobile, dunque senza storia,
abbandonando il divenire dei singoli modi, uomini, esseri animati o cose, alla
conoscenza immaginativa. Questa è una lettura di Spinoza che è durata più di
due secoli e che ha inibito una ricerca in direzione dei possibili apporti
della filosofia di Spinoza per pensare la storia.
Nei saggi raccolti in Spinoza
e la storia si va oltre la tradizionale accusa volta a Spinoza di un
rifiuto della storia e si assume ciò che il testo stesso di Spinoza, in
particolare i due Trattati, chiaramente esprime: un interesse per la storia, considerando
le peculiarità della storia pensata à la
Spinoza. Ne emerge una storia in cui costantemente è al lavoro
l’imprevedibilità del desiderio che sfugge a ogni incanalamento (Bottici – de
Beistegui). Una storia che assume dal toledot,
storia generativa ebraica, caratteri singolari e carnali, legati al passaggio
madre/figlio, senza possibilità di uno sguardo universale e oggettivo, quale la
storia dominante nella cultura platonico-cristiana – di ispirazione erodotea –
esige (Pozzi). Una storia in cui non è agente un soggetto libero e
autodeterminantesi ma un automaton,
ossia un soggetto sociale che si esprime in pratiche determinate (Toto). Si
deve considerare che alla base della concezione spinoziana del tempo, sta la
lettura epicureo-lucreziana che lo vede come una pluralità di ritmi, una
policronia (Illuminati), restando il tempo privo di valenza ontologica, mero ausilio
dell’immaginazione, mentre è la durata, sempre singolare, del modo finito che
ogni ente è, a scaturire dalla potenza della sostanza, ad avere quindi una
realtà ontologica (Sibilia).
A.M.: “Nietzsche e Spinoza contro la moderna
formazione dell’umano” è il titolo del tuo contributo che chiude la seconda
parte del saggio. Cito dal testo: “Sia
Spinoza sia Nietzsche rifiutano di considerare degni di valore concetti quali
quelli di «perfezione» o «imperfezione», «ordine» o «disordine» attribuiti agli
enti, poiché entrambi vi leggono il segno di una riduzione delle cose alla
misura dell’uomo, al criterio del proprio utile.” Quali sono in breve gli
elementi di fondo che si ritrovano nei due filosofi?
Cristina Zaltieri: Nietzsche incontra Spinoza almeno
dieci anni dopo i suoi esordi filosofici, come testimonia la famosa lettera a
Franz Overbeck del 31 luglio del 1881. Ne rimane estasiato, finalmente non si
sente più totalmente isolato, si sente legato a Spinoza in una solitudine a
due, come egli stesso racconta. Nietzsche coglie cinque motivi di consonanza
tra il suo pensiero e quello del pensatore olandese: entrambi combattono
l’illusione del libero arbitrio, confutano il finalismo di matrice aristotelica,
distruggono la concezione di un ordine morale inerente al mondo, mostrano
l’interesse come motore di ogni umano agire, negano il male ontologico, insito
nelle cose stesse. Si potrebbe dire che
Nietzsche legge in Spinoza un suo antecedente in quanto maestro del sospetto,
impegnato a distruggere i falsi idoli della nostra tradizione di pensiero. In
realtà, nella mia ricerca, intendo evidenziare che i punti di contatto sono ben
più numerosi, alcuni non considerati affatto da Nietzsche che spesso condanna
in Spinoza un atteggiamento ascetico, un razionalismo esangue che in realtà non
c’è. D’altra parte come ha recentemente mostrato lo studioso Maurizio
Scandella, Nietzsche non lesse di prima mano Spinoza ma si affidò alla lettura
offerta da Kuno Fischer nella sua storia della filosofia di impostazione
hegeliana. Nel mio lavoro mi interessa in primo luogo la comune lettura
“energetica” della realtà: per entrambi l’essenza di ogni ente è potenza. La
formazione dell’umano è letta da entrambi come pieno dispiegamento
dell’essenza/potenza che definisce ognuno di noi e che richiede un percorso
singolare: entrambi contrastano l’idea di una formazione dell’uomo mirante
all’utile da conseguire il più velocemente possibile e fondata su modelli universali
pre-costituiti. Infine entrambi vogliono combattere i moralisti, i maestri che
giudicano e condannano in nome di passioni tristi (disprezzo per l’uomo, odio,
risentimento…) al fine di una vita che sia davvero liberata e finalmente umana.
A.M.: Poco più avanti troviamo “[…] l’aggettivo «duplice» si presta a due letture: in primo luogo dice
l’innaturale naturalità di cui l’uomo è affetto in quanto animale che crea per
natura l’artificio, che contravviene alla natura modificandola. Dunque, non ha
senso, per Nietzsche, il motto stoico «vivere secondo natura» poiché la vita
umana è ‘innaturale’, ossia è natura che si fa sforzo, artificio, tentativo di
dar forma e stile alla forza”. Che cosa ci fa pensare che l’artificio − la
possibilità di intervenire sulle “cose” − non sia esso stesso dato dalla Natura
essendo una nostra capacità “innata”?
Cristina Zaltieri: Hai colto perfettamente il senso di
ciò che chiamo “naturale innaturalità” dell’uomo: è la nostra natura quella di
essere innaturali, ossia di produrre tecnicamente continue protesi del nostro
corpo, dal bastone acuminato con cui ai primordi del tempo umano il primitivo
suppliva alla scarsa forza delle sue mani per uccidere l’animale, fino al
computer, protesi della nostra mente, della nostra memoria. Questo carattere
dell’uomo era perfettamente colto ben prima di Nietzsche, dal sofista Protagora
come testimonia il mito a lui attribuito e narrato nel dialogo di Platone, il Protagora. In tale mito Epimeteo è
incaricato dagli dei di distribuire i doni divini a tutti gli esseri viventi.
Egli li esaurisce tutti (denti aguzzi, artigli, zampe veloci…) attribuendoli
agli animali e, quando giunge all’uomo, non ha più doni da offrirgli. L’essere
umano avrebbe dovuto soccombere nella lotta per la vita se non fosse
intervenuto il titano amico dell’uomo, Prometeo, che ruba a Efesto il fuoco e
lo dona all’uomo insieme all’entechne
sophia, alla tecnica. Protagora nullifica, migliaia di anni fa, tutte le
lamentazioni, ancora inutilmente presenti, sulla tecnica che snatura l’uomo. In
verità la tecnica, l’artificio, anche quello educativo, è la nostra innaturale
natura.
A.M.: Che cos’è la Bildung e perché “entrambi i filosofi condividono un progetto
di Bildung che resta isolato nel contesto di una modernità protesa a formare
nel modo meno dispendioso e più veloce individui utili e docili alle richieste
dello Stato e del mercato; entrambi avvertono il pericolo della cattiva
educazione che vedono in tal senso agire nelle diverse società a cui appartengono.”?
Cristina Zaltieri: Uso il termine tedesco Bildung perché è equivalente a ciò che i
greci chiamavano paideia e perché è
utilizzato con grande profondità teoretica da Goethe che è il vero tramite tra
Spinoza e Nietzsche. Goethe era spinoziano, si potrebbe dire non per scuola, ma
per natura di pensiero e Nietzsche, amandolo e facendo propria gran parte della
sua riflessione, si è nutrito di pensiero spinoziano ben oltre il suo cosciente
e tardivo entusiasmo per Spinoza di cui ho prima parlato. Bildung, ci spiega Goethe, è termine legato a Bild, che è forma mobile, non fissa come invece in tedesco è Gestalt. Dunque Bildung dice una formazione dell’umano che non è legato a un
modello universale e stereotipato e che si addice perfettamente a ciò che
intendono sia Spinoza che Nietzsche quando riflettono su tale tema. Spinoza
nell’Etica si scaglia contro i
cattivi maestri che invece che firmare l’animo
dei discenti, frangono, distruggono
la loro singolarità. Ancor oggi questo monito severo contro l’omologazione nell’educazione
(che è appunto la distruzione della singolarità) deve farci pensare. Nietzsche
è sconcertato, da parte sua, degli esiti nefasti che egli legge all’esordio
dell’educazione di massa e che consistono nel ridurre l’uomo a moneta corrente,
ossia a merce il più presto possibile pronta ad essere utilizzato nel mercato.
I veri maestri non sono coloro che ci abbandonano all’istinto del gregge
(presente per pigrizia, per inerzia, in ognuno di noi), ma sono coloro che ci
indicano la nostra vera natura, che ci aiutano a dispiegarla appieno. Lo scopo
di ogni educazione autentica è proteggere quel nucleo ineducabile che è la
nostra propria singolarità. Si tratta di riflessioni che sembrano purtroppo
poco o per niente frequentate dalle nostre istituzioni scolastiche.
A.M.: θαυμάζω. Thaumàzein. Nel Teeteto, Platone indica nel pathos
della meraviglia il principio primo. Aristotele parte dall’idea che la
meraviglia possa far stimolare alla ricerca delle cause ultime. Contrari
Nietzsche e Spinoza. Ma trasportiamo questa diatriba ai nostri giorni e
consideriamo quanto la psiche umana sia confusa da orari da rispettare, notizie
che si accavallano ed alle quale non si riesce a trovar il tempo per creare
connessione. Il mondo virtuale che ha modificato l’attività giornaliera del
mondo fisico per un’esaltazione della maschera o dell’Io. In questa insicurezza
del vivere è possibile che la meraviglia di veder il tramonto od il sorgere del
sole senza il bisogno di scattare una fotografia da inserire su un profilo
social, possa portar la capacità di interrogarsi? L’uomo riesce ancora a
chiedersi: ma perché avviene? Se la meraviglia può portare nuovamente il dubbio
a quel punto ci può essere l’ascesa alla pace, al bene, al silenzio?
Cristina Zaltieri: Per quanto concerne la lettura che
Spinoza offre della meraviglia rimando al bel saggio di Nicola Marcucci
contenuto nel libro. Ricordo solo che per Spinoza l’admiratio è il nostro atteggiamento mentale di fronte a ciò che non
colleghiamo a nulla di già esperito, di fronte all’insolito, o meglio, a ciò
che pensiamo, immaginiamo, lo sia. Per questo non ha valenza conoscitiva, ci fa
sospendere qualsiasi connessione e relazione e ha il potere di ingigantire le
passioni che accompagnano l’emergere dell’insolito. Nietzsche poi propende per
concepire l’inizio del pensiero piuttosto che dal tradizionale thaumàzein, da
un trauma, da una ferita che richiede il pensiero come farmaco, come rimedio. Quanto
alla meraviglia che tu identifichi piuttosto con la contemplazione, con il
raccoglimento, con il tempo del pensiero, mi trovi del tutto in sintonia con la
tua preoccupazione: è triste e disumano che le nostre vite non trovino più modo
di ospitare un po’ di vuoto, di silenzio, di tempo da perdere che poi è quello
che nutre il nostro pensiero critico e la nostra creatività.
A.M.: Ci sono in programma presentazioni di “Spinoza
e la storia”?
Cristina Zaltieri: La prima presentazione di Spinoza e la storia è prevista in
Università degli studi di Milano lunedì 24 giugno e vedrà alcuni autori dei
saggi contenuti, Vittorio Morfino, Riccardo Caporali, Stefano Visentin, i
curatori del libro, Nicola Marcucci ed io, discuterne con Roberto Diodato e Giorgio
Mayer Gatti sotto la presidenza di Gianfranco Mormino. Sarà una buona occasione
d’incontro tra spinoziani sulla questione della storia.
A.M.: Puoi darci un’anticipazione? Stai lavorando ad
un nuovo saggio?
Cristina Zaltieri: Sono impegnata nella scrittura di un
testo collettaneo che, a cinquanta anni dalla pubblicazione di Differenza e ripetizione, capolavoro
giovanile di Gilles Deleuze, si interroga sull’attualità dell’opera.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Cristina Zaltieri: Direi che dobbiamo concludere con
Spinoza, con le ultime parole con cui egli chiude la sua Etica:
“[…] la via che ho
mostrato condurre a questo [la vera tranquillità dell’animo] pur se appare molto difficile, può tuttavia
essere trovata. E d’altra parte deve essere difficile, ciò che si trova così
raramente. Come potrebbe accadere, infatti, che, se la salvezza fosse a portata
di mano e potesse essere trovata senza grande fatica, venisse trascurata quasi
da tutti? Ma tutte le cose eccellenti sono tanto difficili quanto rare.”
A.M.: Cristina ti ringrazio per questa
interessante chiacchierata. Seguo il tuo esempio e saluto anche io con una
citazione dell’Etica, dalla parte terza “Essenza ed origine
delle emozioni” (Laterza, 2009): “Di
quanti hanno scritto sulle emozioni e sulla maniera di vivere degli uomini, i
più sembrano trattarne, non già come di cose naturali, conformi alle leggi
comuni della natura, bensì come di cose estranee ad essa. Anzi, sembrano
concepire l’uomo, nella natura, alla stregua d’un impero all’interno d’un altro
impero; credendo che, anziché seguire l’ordine della natura, lo perturbi,
poiché avrebbe un potere assoluto sulle proprie azioni, come non determinato da
altro che da se stesso.”
Written by Alessia
Mocci
Responsabile
Ufficio Stampa Negretto Editore
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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2019/06/12/intervista-di-alessia-mocci-a-cristina-zaltieri-vi-presentiamo-spinoza-e-la-storia/