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Intervista di Alessia Mocci a Silvano Negretto: quando la filosofia incontra l’editoria di qualità


Il ‘so di non sapere’ socratico ‒ come premessa alla ricerca di una direzione di marcia razionale e realistica per noi sia come singoli soggetti, sia come “razza umana” ‒ si conferma come il metodo più razionale, (io direi meglio: l´unico realisticamente possibile) per la soluzione dell´eterno problema del “senso” dell´identità in rapporto alle diversità […]” Silvano Negretto

La celebre citazione del filosofo Socrate giunta sino a noi resta la via da seguire se si vuole procedere verso una possibile pace interna ed esterna dell’essere umano e come giustamente sostiene Silvano Negretto: “per la soluzione dell’eterno problema del senso dell’identità in rapporto alle diversità”.

Silvano Negretto è la mente ed il braccio della casa editrice mantovana Negretto Editore. Da anni nel mercato editoriale online e fisico propone le scienze dell’uomo intese in ambito filosofico, antropologico, sociale, naturalistico, passando per la psichiatria, la pedagogia e la didattica.

Le pubblicazioni sono indirizzate ai lettori che si pongono domande sul proprio tempo in continua ricerca di informazioni e riflessioni critiche sull’esistenza, lettori che coltivano il dubbio e che sono pronti a scardinare pregiudizi e luoghi comuni.

Silvano, dalla cattedra di filosofia di un Liceo di Mantova, prosegue questo lungo dialogo iniziato con i suoi studenti trasmutandolo in materia con la pubblicazione di testi ed autori fortemente selezionati che rispettano l’interesse per la ricerca della verità, autenticità e coerenza. Perché chi produce libri ha il dovere di consolidare e soddisfare questi bisogni impellenti della società.

A.M.: Silvano, sono lieta di poterti finalmente intervistare. Vorrei iniziare chiedendoti quando e come è nata l’esigenza di creare una casa editrice che supporta le grandi tematiche sociali e la filosofia. Quali filosofi hai continuato ad ammirare ed a studiare dalla tua giovinezza sino ad ora?
Silvano Negretto: Devo dire che è la prima volta che mi metto in gioco personalmente, descrivendo anche la mia formazione filosofica e ideologica... ma lo faccio volentieri: è ora di chiarire quali siano le idee che stanno alla base delle nostre pubblicazioni che – dico subito sono poche quantitativamente ma tutte significative dal punto di vista della qualità. Gli anni della mia formazione universitaria sono stati decisivi: accanto ai grandi filosofi classici dell´età moderna e al marxismo, ho studiato con passione i filosofi della scienza (in quegli anni in particolare Popper e Hempel), e la filosofia esistenzialistica (ho amato molto Jean Paul Sartre). Poi, via via, ho fatto i conti seriamente con Nietzsche e Heidegger, oltre che con la psicoanalisi, ed infine con “Verità e Metodo” di Gadamer. Penso che l´ermeneutica possa rappresentare un metodo di confronto “universale” tra le diverse correnti che compongono la filosofia contemporanea e so che su questo punto suscito serie obiezioni anche da parte di cari amici: ma ben vengano! Credo infatti che il dialogo fatto di argomentazioni, che arricchisca tutti i “contendenti”, sia non solo l´essenza (da Socrate in poi) della filosofia occidentale, ma rappresenti oggi, per la nostra attuale società, il concetto chiave che dovrebbe ispirare governi nazionali e internazionali nella soluzione dei grandi  problemi che ci troviamo di fonte: dagli epocali movimenti dei popoli al confronto tra culture nel mondo globalizzato, al degrado del rapporto uomo-natura, e alla necessità di una seria educazione civica e ambientale.

A.M.: Perché è importante seguire il precetto di Socrate: “So di non sapere”?
Silvano Negretto: Il “so di non sapere” socratico come premessa alla ricerca di una direzione di marcia razionale e realistica per noi sia come singoli soggetti, sia come “razza umana” si conferma come il metodo più razionale, (io direi meglio: l´unico realisticamente possibile) per la soluzione dell´eterno problema del “senso” dell´identità in rapporto alle diversità, e dei conseguenti problemi che vanno dalle relazioni interculturali e sociali, fino alla necessità di una convivenza pacifica sempre più equa e inclusiva. E già il grande Eraclito, un secolo prima di Socrate, aveva così sentenziato “Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti”. 

A.M.: Si può affermare che in Italia il pensiero del filosofo francese François Zourabichvili sia pressoché sconosciuto. Perché hai deciso di scommettere su questa interessantissima voce?
Silvano Negretto: La scelta di dedicare all’opera di Zourabichvili quattro testi della nostra collana è stata sollecitata dalle valorose Direttrici (Rossella Fabbrichesi e Cristina Zaltieri) della fortunata collana “Il Corpo della Filosofia”. Infatti il pensiero di Zourabichvili è segnato fortemente dall´incontro con Gilles Deleuze. Questi ancora oggi è al centro di un dibattito sostanzialmente rivolto ad una forte reinterpretazione di grandi filosofi come Nietzsche e Spinoza, e delle classiche tematiche del rapporto tra mente e corpo, tra passioni e razionalità, tra una concezione metafisica tradizionale ed una pragmatica o empiristica della Verità. Il filosofo francese era considerato appunto l´erede di Deleuze prima della sua prematura scomparsa. A questo proposito, cito la presentazione di Cristina Zaltieri a “Il divenire della filosofia in F. Zourabichvili”: “Il suo pensiero non è liquidabile come un mero commento alla filosofia altrui, ma è il lavoro ardito e fruttuoso di un originale pensatore che ci offre una produzione concettuale ancor viva, (...) dissidente rispetto alla via maestra platonico-cartesiana, di grande tensione etica e politica”. Personalmente, sono impegnato, assieme agli autori del primo libro in lingua italiana su Zourabichvili, a divulgarne sempre più il pensiero filosofico, pedagogico e politico. E sono molto contento dei risultati che questa operazione culturale sta producendo e dei consensi che sta suscitando tra docenti studenti e anche semplicemente tra coloro che amano leggere saggi che non siano “usa e getta”.

A.M.: Ritieni che la filosofia sia legata alla psichiatria? Si deve analizzare il “Pensiero” amalgamando le due discipline oppure siamo agli antipodi?    
Silvano Negretto: Già negli anni ‘70 erano diffuse le posizioni di Franco Basaglia in Italia, che esprimeva quel nuovo modo di intendere la psichiatria inaugurato dalla filosofia fenomenologica-esistenziale di Husserl Heidegger Binswanger. Alla fine degli anni ‘70 il movimento per la chiusura dei manicomi era diventato inarrestabile, da Trieste a Bologna e a Mantova... Opponendosi all´impostazione positivistica, per la quale i sintomi della malattia mentale sono classificabili come dati “oggettivi”, la scuola fenomenologica scopriva che la psiche umana è quanto mai complessa e che il senso dei comportamenti non può essere disgiunto dai contesti famigliari e sociali nel quale il soggetto – sempre unico e non riducibile a nessuna rigida classificazione si trova a vivere. È importante ricordare qualche nome tra gli psichiatri raccolti nella Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica e collaboratori della rivista “Comprendere”: Enzo Agresti, Andrea Carlo Ballerini, Arnaldo Ballerini, Eugenio BorgnaBruno Callieri, e soprattutto, per quanto ci riguarda, Ferruccio Giacanelli. Questi guidò la chiusura laboriosa e sofferta, che coinvolse l´opinione pubblica bolognese ed anche quella nazionale, dell´Ospedale psichiatrico Roncati. E qui sto prendendo in causa l´ultima opera di Cinzia Migani, che ho cercato a lungo e di cui ho conservato, per mia fortuna, l´attiva collaborazione con quattro opere di cui è curatrice e/o autrice e che rientrano nel catalogo di Negretto editore. Già l´intervista che la rivista Oubliette Magazine ha fatto a Cinzia – e alla quale rimando a fine intervista chiarisce molto bene il valore di “Memorie di trasformazione. Storie da manicomio” che ricostruisce le vicende dell´ex manicomio bolognese a partire dalla sua fondazione, fino alla chiusura (1980). Il libro, a detta di tutti molto serio e approfondito, soprattutto nella prima sezione presenta gli studi e le ricerche dell’autrice coadiuvata dal citato professor Ferruccio Giacanelli. Nei mesi scorsi qualche gruppo ideologico-politico annunciava di voler mettere in discussione la Legge 180 del 1978 (Legge Basaglia), ma io mi schiero, assieme a Cinzia ed assieme a centinaia di Amministrazioni e Associazioni e a migliaia di gruppi di volontariato e di intellettuali, per un rafforzamento delle iniziative che hanno dato in passato e dovranno ancora dare forza e spessore alle strutture alternative post-manicomiali.

A.M.: In Italia c’è una letterale invasione di poeti e di libri di poesia ma c’è anche un’invasione di lettori di poesia? Come possiamo interpretare questa “esigenza” dell’essere umano dello scrivere?
Silvano Negretto: Quanto all´abbondanza di poeti, voglio citare l´opinione di Angelo Lamberti, quando dice “Quello della poesia è un mondo frequentato da soggetti che formano, loro malgrado, un circolo chiuso...”  Anche se (umoristicamente quanto giustamente) Gesualdo Bufalino dice che: “Tutti al mondo sono poeti, persino i poeti.” La poesia è il luogo in cui i diversi livelli di esperienze culturali, pensieri e idee, razionali e consapevoli, diventano un tutt’uno con l’emozione e con l’aspirazione al Senso innato in ogni soggetto che sia aperto al Vero. Detto questo, credo che ogni singolo poeta oggi non possa essere facilmente collocabile in una determinata corrente poetica o letteraria: del resto ognuno, giustamente, rivendica un proprio percorso e uno stile originale.
Di Martina Manara, che spero continui a dedicarsi all´espressione poetica, ho ammirato (fu uno dei miei primi Autori) la colta (e matura per la sua giovane età) espressione autobiografica dei problemi (relazionali, emozionali, sentimentali) tipici di una adolescente che si avvale di colto e coraggioso sforzo di autoanalisi.
Di Claudio Borghi stimo ed evidenzio l´originalissima capacità di mettere in stretta relazione linguaggi e discipline comunemente considerati inaccostabili (dalla fisica alla filosofia alla poesia).
Di Nadia Alberici, della quale seguo il percorso umano e letterario da alcuni anni, ho rilevato ed incoraggiato l´equilibrata ricerca linguistica nell’esprimere emozioni intense quanto credibili ed autentiche.
Di Angelo Lamberti (una persona umanamente speciale, oltre che autore colto di teatro a partire dagli anni ‘70, da alcuni anni anche poeta) parlano già abbastanza i suoi trascorsi con Umberto Bellintani, Giampiero Neri, Mario Artiolli, Giorgio Bernardi Perini e soprattutto con Giorgio Berberi Squarotti. Questi, nella prefazione alla raccolta “Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze” chiarisce con splendido acume critico la coerenza e lo stile del percorso letterario di Angelo.
Aggiungo che il numero dei lettori di poesia può essere ampliato da iniziative di associazioni di poeti noti o meno noti, critici o docenti di letteratura in collaborazione anche con le scuole o con Amministrazioni municipali che abbiano a cuore la diffusione della cultura. Voglio citare (a titolo solo esemplificativo) l´operato della Casa della Poesia (Salerno), del Salotto Caracci (Milano) o del Gruppo dei Poeti di Mantova che ha raggiunto traguardi notevoli nella divulgazione di qualità del genere poetico, anche attraverso il Festival di Poesia Terra di Virgilio o la nuova rivista “Versante Ripido” Fanzine online per la diffusione della Poesia.

A.M.: Come editore quali sono le caratteristiche che ricerchi in un libro?
Silvano Negretto: Prima di tutto desidero conoscere l´Autore, la sua personalità, la sua cultura, il suo percorso di studio e le sue idee: mi interessano sia le competenze sia la passione o le motivazioni che lo spingono a proporre un’opera che pretenda di essere originale e unica. A seconda delle collane che da alcuni anni caratterizzano il mio catalogo, selettivo e perciò abbastanza snello, il testo può essere definito “accademico” (termine che per me ha un’accezione positiva) oppure accessibile a un pubblico più vasto, pur nel significato propriamente etnologico evidenziato da Giancorrado Barozzi, membro dell´Accademia Virgiliana per i suoi meriti di studioso della storia e della cultura popolare padana. In ogni caso, il testo deve avere un valore scientifico, o comunque utile al progresso della ricerca che ogni ambito o settore culturale deve esigere. In tal senso, sia le “Fiabe” raccontate da Berta Bassi sia lo studio dei concetti di altruismo e cooperazione definiti un secolo fa da uno studioso come Petr A. Kropotkin, costituiscono temi che alimentano la nostra memoria storica e per questo consolidano la nostra identità. Questa è tanto più autentica quanto più cerca e progressivamente riesce a ritrovare le radici storiche della propria comunità o della cultura di appartenenza.

A.M.: Da lettore valuti ci siano case editrici che negli ultimi dieci anni siano state attive nella pubblicazione di libri di interesse sociale?
Silvano Negretto: Dal 2008 in poi ho conosciuto direttamente o indirettamente varie piccole o grandi case editrici, anche per merito dei miei Direttori di Collana, in particolare Lidia Beduschi e Cinzia Migani che mi hanno aperto una finestra, prima per me poco conosciuta, sul grande e variegato mondo del volontariato Sociale, delle Amministrazioni della Sanità ed Associazioni che spesso producono pubblicazioni di interesse sociale. Tra i privati, è per me esemplare l´operato dell´editrice Eleuthera, nata nel 1986, che così dichiara nel sito non si è mai considerata una casa editrice «normale», né tanto meno ha considerato il libro un prodotto il cui scopo è «incidere sul fatturato» (...) si è sempre considerata un progetto culturale libertario la cui ragion d'essere è stata quella di dare un contesto originale e coerente alle tante riflessioni che, in modo non univoco, si propongono di cambiare la realtà a partire da una critica del principio d'autorità”. Ho conosciuto direttamente molti originali piccoli editori, come Chersi Libri (Brescia) oltre ad editori indipendenti che producono moltissimo per il forte attivismo dei titolari, come Gilgamesh di Dario Bellini (di Asola). Hanno altresì una funzione positiva gli editori che si dedicano alla storia e cultura locale, e per Mantova vedo in questa fase molto attive le edizioni Tre Lune di Luciano Parenti, Il Cartiglio Mantovano di Monica Bianchi, Nicola Sometti, Universitas Studiorum di Edorado Scarpanti, il Rio (e mi scuso se ora dimentico qualcuno). Sul ruolo delle piccole case editrici nel mercato librario globale, rimando a fine intervista a due miei interventi pubblicati sulla Rivista “Socialnews” (cartacea e online), che esce mensilmente con interessanti numeri monografici tematici. Il confine tra piccola e media editoria è labile, ed anche le piccole case editrici sono molto diversificate. Nel mio caso, gli obiettivi basilari sono la creazione di una nicchia culturalmente originale e comunque riconoscibile, la selezione oculata di qualità in coerenza con i concetti chiave che animano le nostre Collane, e la compatibilità tra costi e benefici.

A.M.: Quali sono le novità editoriali del 2019? Puoi anticiparci qualcosa?
Silvano Negretto: A partire dal gennaio 2019, le uniche pubblicazioni sicure saranno il testo collettivo “Spinoza e la storia” e la nuova traduzione del romanzo “Utopia selvaggia” del brasiliano Darcy Ribeiro (risale al 1982 ma noi lo riteniamo molto vivo e attuale). Della prima, che si inserisce perfettamente nella collana “Il corpo della filosofia”, la curatrice Cristina Zaltieri scrive: “Così fino a tempi recenti e in parte ancor oggi la letteratura su Spinoza ha espunto dal suo pensiero qualsiasi possibilità di pensare tempo, durata e storia in una guisa che, alla lettura attenta dei testi, pare ora non rendere giustizia alla complessità della sua filosofia...”. Della seconda, Giancorrado Barozzi nella sua bellissima introduzione, parla di “romanzo utopico”: “Terzo dei quattro romanzi pubblicati in vita da Darcy Ribeiro, un poliedrico autore (per un 30% antropologo evoluzionista, per un altro 30% politico riformatore, per un 20% intellettuale cosmopolita e per il restante 20% boccaccesco affabulatore), Utopia selvagem fonde assieme, come in una tropicale sarabanda di Carnevale, elementi tra loro eterogenei, in apparenza inconciliabili...” – Per me, si tratta di un romanzo fantasioso, irridente, ed umoristicamente surreale. In questa fase in cui pubblicare diventa un’impresa delicata e problematica, confido anche nella citata Cinzia Migani, in Fabrizio Bertolino (docente di Pedagogia presso l’Università di Aosta) e in Alberto Scandola (docente di Storia e Critica del cinema all’Università di Verona): potrebbero – come prevedo suggerirmi progetti o proposte interessanti e di qualità. Aggiungo che tra i nostri programmi rientra il progetto di un potenziamento della nostra offerta in formato digitale. Ricordo anche che il kit Odori Suoni Colori (libro di 22 schede cartonate e profumate con simboli tattili, un alfabeto plurisensoriale dei colori, che è accompagnato da uno speciale sito internet una proposta didattica rivolta ad Istituti, Cooperative, Associazioni, Scuole e singoli privati che hanno a cuore e praticano l´inclusione dei disabili visivi e sensoriali) è ancora in vendita al prezzo di 16 euro. Il kit, ideato da Lidia Beduschi e realizzato con sito accessibile da Mario Varini con suoni di Isabella Tondi e testi letterariamente stimolanti della stessa Autrice, è un “ausilio” veramente originale: si fonda sulle ultime ricerche scientifiche di scuola americana e si avvale dei risultati credibili e sempre interessanti di molteplici sperimentazioni.
In chiusura colgo l´occasione per augurare Buon Natale e Buon Anno nuovo ai lettori e agli amici che mi seguono sui social o che rispondono positivamente alle mie proposte nelle newsletter o sui social.

A.M.: Salutaci con una citazione…
Silvano Negretto: Invece di riferirmi a grandi classici, stavolta voglio citare ancora uno dei miei Autori, che prende amichevolmente in giro il sottoscritto, con parole che comunque approvo (amo definirmi come “privato no profit”) e che possiamo ritenere conclusive di questa intervista:
Consiglio a trecentosessanta gradi la Casa Editrice Negretto, precisando però, (onde evitare malintesi), che il titolare (Silvano Negrettonon ha mai pubblicato (non ne sarebbe capace) da Imprenditore sensibile alle esigenze di un successo economico, ma soprattutto (sarebbe forse meglio dire unicamente) da Editore sensibile alle ragioni intellettuali ed ideologiche che può rintracciare e cogliere tra le parole scritte.”  Angelo Lamberti

A.M.: Silvano ti ringrazio per questa proficua chiacchierata, mi unisco a te nell’augurare Buon Natale e ti saluto con la certezza che continueremo il lungo dialogo che da più di un anno ci unisce. Chiudo questa puntata con le parole di un autore della Negretto, Claudio Borghi, tratte da “L’anima sinfonica”: “[…] L’essere è un eterno pulsare tra movimento e quiete, principio e fine, nascita e morte./ Il centro emana luce nell’essere./ L’uomo se ne stupisce, illudendosi di trovare il senso nell’io./ L’io è alienato in una dimensione spaziale, abita il cerchio, è consapevole dell’una totalità del cosmo, coglie la fonte dell’armonia – in un volo smarrito.// La mente è ancorata alle immagini, alla materia, al mondo, nella visione immediata della coscienza./ Il mondo è un presente crearsi che si rinnova./ La vita è lo sviluppo della creazione, la sinfonia che risolve un’azione incompiuta.// […]”.

Written by Alessia Mocci

Info
Sito Negretto Editore
https://www.negrettoeditore.it/
Facebook Negretto Editore
https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/
Intervista Cinzia Migani – Memorie di Trasformazione
http://oubliettemagazine.com/2018/10/16/intervista-di-alessia-mocci-a-cinzia-migani-autrice-del-saggio-memorie-di-trasformazione-storie-da-manicomio/
Fiabe Berta Bassi
https://www.ibs.it/fiabe-da-leggere-da-ascoltare-libro-berta-bassi/e/9788895967202 
Intervista Giancorrado Barozzi
http://oubliettemagazine.com/2018/04/16/intervista-di-alessia-mocci-a-giancorrado-barozzi-vi-presentiamo-altruismo-e-cooperazione-in-petr-a-kropotkin/
Sito Odori Suoni Colori
http://www.odorisuonicolori.it/
Social News Tra qualità e difficoltà finanziarie
http://www.socialnews.it/blog/2010/02/01/tra-qualita-e-difficolta-finanziarie/
Social News Terzo settore ed editoria di qualità
http://www.socialnews.it/blog/2013/01/28/terzo-settore-ed-editoria-di-qualita-quando-il-rapporto-funziona/

Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/12/21/intervista-di-alessia-mocci-a-silvano-negretto-quando-la-filosofia-incontra-leditoria-di-qualita/

Intervista di Alessia Mocci ad Ennio Cavalli e Bonifacio Vincenzi per l’uscita di Secolo Donna 2018


“[…] In sogno un giorno l’ho ricordata. Mi mostrava confini./ “È la nostra antichità”, diceva mia madre, “l’arma che manca./ La bellezza del mondo, la bellezza di altri”./ Voce del primo giorno:/ “Vedi, là, da parte a parte il mare raduna le terre./ Non temere questa discesa dalla potenza alle mie braccia”./ Era dietro di me? E non le chiesi come mi chiamavo?/ Niente dubbi sul mio nome, non ancora./ Ero ciò che sarei stata, un futuro che manca all’eternità.// […]” ‒ “Libro I” ‒ Paola Malavasi

La bellezza del mondo narrata in versi, la bellezza dell’antichità giunta in sogno, il non chiedere il proprio nome tanto era lo stupore per la visione del creato. Paola Malavasi aveva appena quarant’anni quando è scomparsa improvvisamente il 18 settembre 2005 a Venezia.

Lo scrittore Bonifacio Vincenzi e la casa editrice Macabor Editore hanno voluto dedicare alla sua memoria l’edizione del 2018 de “Secolo Donna – Almanacco di poesia italiana al femminile” recentemente divulgato nelle librerie fisiche ed online. La monografia su Paola Malavasi prende avvio con l’introduzione del poeta, giornalista e compagno della vita Ennio Cavalli, seguono gli interventi di Maria Cristina Mannocchi, Maria Grazia Calandrone, Emilia Sirangelo, Valentina Calista, Antonella Anedda, Derek Walcott, Gabriella Sica, Adam Zagajewski e prosegue con una selezione di poesie dell’autrice.

L’almanacco dedica uno spazio a Nadia Campana, scomparsa nel 1985, con la pubblicazione di due inediti conservati nell’archivio personale di Milo De Angelis; presente il ricordo della poetessa calabrese scomparsa nel 2003 Ermelinda Oliva.

Nella Piccola Antologia poetica conosciamo più da vicino poetesse di valore come Maddalena Bergamin, Paola Loreto, Alessandra Paganardi (Nord Italia); Laura Corraducci, Lella De Marchi, Giorgia Spurio (Centro Italia); Elena Bartone, Marisa Papa Ruggiero, Ornella Spagnulo (Sud Italia); Daìta Martinez, Marina Minet, Teresa Zuccaro (Italia insulare). E delle giovanissime nate a partire dagli anni 90 Mariapia L. Crisafulli, Damiana De Gennaro, Chiara Alessandra Piscitelli.

Per la poesia al femminile del resto del mondo si presentano ai lettori italiani poesie di Ana María del Re (Venezuela), Sylvie Fabre G. (Francia), Alla Gorbunova (Russia) con le traduzioni di Marcela Filippi Plaza, Gabriella Serrone e Paolo Galvagni.

Presentare in poche righe una pubblicazione così variegata è pressoché impossibile, “Secolo Donna 2018” è una selezione raffinata di poetesse che sono riuscite e riescono ad ascoltare il canto interiore, voce narrante e coro si amalgamano armoniosamente nella tessitura per donarci ciò che hanno visto: un frammento della luce. 

A.M.: Salve Bonifacio mi congratulo per la nuova pubblicazione “Secolo Donna 2018”, un almanacco della poesia italiana al femminile. Come nasce l’idea di questo almanacco?
Bonifacio Vincenzi: Era da qualche anno che ci pensavo e come succede spesso ho dovuto affrontare e risolvere alcune perplessità che, in qualche modo, mi frenavano. C’era proprio bisogno di un Almanacco di poesia al femminile in Italia? Era una domanda a cui non sapevo rispondere. O meglio, quello che più temevo, è che mi si accusasse di voler fare della poesia al femminile una sorta di genere, e non era assolutamente il mio intento. Secolo Donna nasce dalla consapevolezza che questo secolo dimostrerà ampiamente il valore delle donne non solo nella poesia ma in tutti i campi. È il loro secolo. La loro grande occasione per ripagarsi di tutti i torti subiti nei secoli passati.

A.M.: L’edizione del 2018 è dedicata alla poetessa, insegnante e giornalista Paola Malavasi ma ritroviamo all’interno anche altre poetesse italiane e straniere. La selezione percorre la via della conclusione della trattativa con l’ombra?
Bonifacio Vincenzi: Trattativa con l’ombra è in realtà è il titolo di una raccolta di poesie di Ennio Cavalli. Un canzoniere d’amore dedicato a Paola, una ribellione costante alla sua assenza. Passano gli anni e questa lunga trattativa non riesce a risolversi. E questo ci fa pensare alla straordinaria persona che è stata Paola. Ma Paola Malavasi è anche una grande poeta. E come scrivo nell’introduzione al volume è giunto il momento di chiudere questa lunga trattativa con l’ombra, iniziare un nuovo rapporto, vivo, intenso, importante e trovarlo nella magica dimensione della sua poesia. L’unica vita possibile per Paola ora è lì nel lieve brivido che danno i suoi versi ad ogni carezza dello sguardo.

A.M.: Ennio la ringrazio per il tempo che ha voluto dedicare all’intervista soprattutto in questi giorni frenetici successivi alla pubblicazione de “Secolo Donna 2018”. L’introduzione, “La perfetta sconosciuta”, è dedicata all’assenza vista ora come Euridice ora come pagine mai scritte o semplicemente come ciò che resta. Ma se ciò che non c’è è ciò che resta, in quale spazio potremo collocare la presenza? E dunque quale spazio dare alla vita ed alla necessità del presente?
Ennio Cavalli: Il mito di Orfeo e Euridice mi ha colpito al punto da rielabolarlo, in pieno attrito con l'oggi, nel poema dal titolo "Orfeo e il Signor Tod" (La Vita Felice 2018). Queste pagine sono il seguito delle poesie per Paola riunite in "Trattativa con l'ombra" (Aragno 2013) e rappresentano un tentativo di uscire dal vortice e oggettivare il tema della perdita, sottraendo dal costrutto, in modo elementare, la fantasia dell'impossibile. Mi chiedo, tra l'altro, cosa sarebbe successo se Euridice fosse tornata in vita, accanto a Orfeo. Sarebbero stati indenni oppure no da litigi, incomprensioni, gelosie, tipiche di un rapporto di coppia borghese? Comunque l'alibi di Orfeo sta nella sua capacità di sognare. Poesia o non poesia, Orfeo si spinge fino alla superficie calpestabile dell'Ade e avvia un patteggiamento seduttivo per la restituzione dell'ostaggio. Tutto questo può avvenire solo in sogno o nel teatro della propria anima. Ma a riportarci coi piedi per terra, ecco il Signor Tod in persona, l'impresario di tutta la baracca. “Der Tod”, in tedesco, significa “Morte”, parola di genere maschile. Per assurdo, il fallimento di Orfeo, la perdita definitiva di Euridice, comporta il ritorno alla vita dello stesso Orfeo, costretto a ridimensionare l'impossibile e a fare i conti con ciò che resta. Orfeo e Euridice, clamorosi amanti, potrebbero ora incarnare due anziani con l'Alzheimer, un bambino col suo cane, una coppia gay, Achille riflesso in Patroclo, Gilgameš sopraffatto da se stesso, una migrante col figlio in braccio, un idraulico finito fuori strada col furgone, un drogato in crisi di astinenza, il muro contro muro di fanatismi religiosi. Quei due potrebbero essere diventati o avere accolto in sé qualcosa di diverso, di lontano (ma non di estraneo), coprendosi le spalle per continuare a indovinarsi. Ogni creatura è un riassunto di metamorfosi. Da lì veniamo: gocce di sudore e di rugiada che l'Eterno si scrolla di dosso. Non a caso la testa mozzata di Orfeo solcherà il fiume continuando a cantare. Niente inceppa il corso delle cose. Mito o non mito, il passato taciturno spennella l'universo con il suo fulgore. E il futuro mostra quanti denti ha ancora in bocca, quanti grilli inesausti per la testa.

A.M.:Stanotte ho sognato un’altra Isola./ Una catena di canali a specchio con case,/ capanne sotto le capanne e stalle e buchi sotto le colline./ […]” Paola era solita sognare isole? Qual era il vostro rapporto con l’onirico?
Ennio Cavalli: Chi non sogna isole? L'universo è imprendibile anche con le tenaglie dell'inconscio. Ricordo lunghe passeggiate fatte assieme a Paola, per meta il nostro stesso dialogo. Nel fare jogging, parlavamo di Dio e di cosa ci sarebbe andato di mangiare la sera.

A.M.:Da quando il vento ha smesso di fischiare/ In una stanza sulla strada, lavoro a case di parole./ Non so se le parole hanno già un’ombra./ Ma salgono dal colle battuto dal vento/ che non ha ancora un nome/ e che da oggi vorrei chiamare “colle del canto”.” Essere poeti è possedere innata la sensibilità di ascoltare il canto?
Ennio Cavalli: Essere poeti significa "avere orecchio" per un sacco di cose: umanità, storia, natura, coscienza del proprio tempo e poi i grandi interrogativi che ci fanno uomini (impastati, cioè, di humus). Il poeta non ha formule nascoste o segrete per interpretare tutto ciò. Ha bisogno di esperienza, paragoni, compassione, allegria, infine capacità e perizia per cucire bordi e asimmetrie con l'ago e il filo di una visione originale.

A.M.: “[…] Ferma sulla spiaggia ho visto un giorno le ossa duplicarsi/ e i denti, i muscoli, la carne gonfiata di inconsapevole sapienza./ Le mie braccia erano prati di frumento e subito dopo solitudine./ Ero nella storia comune e sono stata terra, volto, petali/ sparsi in conteggi futili.// […]” Che cos’è l’inconsapevole sapienza?
Ennio Cavalli: Forse è il brivido che ti prende quando hai l'impressione di riconoscere in te una goccia di universo e nel tuo pensiero il respiro del divenire. Perfino la fisicità ha barlumi di assoluto, penso che Paola volesse dire questo.

A.M.: Fra tutte le poetesse citate nell’almanacco ha notato qualche verso che le ha destato interesse?
Ennio Cavalli: Ho appena ricevuto il libro e mi fermo alla prima delle poetesse presenti nell'antologia, Nadia Campana. Mi colpisce la "nudità" felliniana di questi versi: "I mangiatori di fuoco ballano verdi/ sulle colline e si incarnano dalla bocca/ che getta scintille staccano capogiri/ e ricordi come stelle". Ecco, la vera poesia dovrebbe riuscire a "staccare capogiri" dalla testa di chi la legge.

A.M.: Sono in programma presentazioni de “Secolo Donna 2018” per la chiusura dell’anno oppure saranno rinviate al 2019?
Bonifacio Vincenzi: La serie di presentazioni, come consuetudine, partirà all’inizio del 2019. Mi piacerebbe iniziare da Bracciano, in provincia di Roma con una prima presentazione al Liceo Ignazio Vian, dove Paola ha insegnato. Subito dopo le feste contatterò la dirigente e spero di ottenere delle risposte positive. Poi cercheremo di andare in più posti possibili. L’anno scorso le richieste sono state tante ed era, obiettivamente, impossibile rispondere a tutte. Il criterio di scelta che usiamo è quello dell’entusiasmo. Se notiamo grande entusiasmo e grande amore verso la poesia da parte di chi organizza noi faremo di tutto per fissare una data ed esserci.

A.M.: Mi piacerebbe chiudere con una citazione...
Bonifacio Vincenzi: L’azione è la più ampia porta del riscatto. Essa soltanto può dare risposta alle domande del cuore. Nikos Kazantzakis
Ennio Cavalli: Per tornare all'"inconsapevole sapienza" dei versi di Paola Malavasi, mi piacerebbe citare, a conclusione, la magnifica matrice di Walt Whitman: "Mi accorgo di incorporare gneiss, carbone, muschio dalla lunga fibra, frutti, grano, radici commestibili. E sono tutto stuccato con quadrupedi e uccelli". Un grande panegirico sulla Natura in poche righe. Qui si saldano mondo minerale, vegetale, animale e quinta dimensione. Qui c'è lo zampino di quel gran provolone del dio Pan. Occhio a Foglie d'erba. A volte sono cavi d'acciaio.

A.M.: Bonifacio ed Ennio vi ringrazio nuovamente per la disponibilità e vi saluto con le parole del poeta, pittore ed aforista libanese Khalil Gibran: “Il maestro se egli davvero è saggio non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida sulla soglia della vostra mente.”


Written by Alessia Mocci


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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/12/18/intervista-di-alessia-mocci-ad-ennio-cavalli-e-bonifacio-vincenzi-per-luscita-di-secolo-donna-2018/

Hahaha

hahaha s a

Al tuo cuore con la poesia di Rosario Tomarchio: alla famiglia ed alle persone care


Vorrei essere una fontana/ Che dona allegramente acqua/ A tutti gli anziani al riparo delle calde ore,/ in circolo ricordano il loro passato/ e progettano sogni infiniti/ […]‒ “Vorrei essere una fontana”

La figurazione millenaria dell’anziano dell’essere umano che ha permesso agli anni di solcargli il viso e le mani che, in circolo davanti ad una fontana, si cimenta nella narrazione di ciò che la sua mente rammenta in quell’istante, al riparo dal sole.

Ancor più solcato è il Pensiero e, libero senza il tremolare delle ginocchia, affronta la scia di immagini talvolta supportata da sogni a cui non si può decretar la fine.

La voce narrante esprime la volontà di esser acqua la trasformazione in una fontana forse per poter sentire quei segreti che gli anziani si narrano o forse per rinfrescare i loro respiri con nuova linfa. 

“Al tuo cuore con la poesia” è una breve raccolta poetica dell’autore siciliano Rosario Tomarchio. L’autore conta di numerose pubblicazioni sia poetiche come “La musica del silenzio” (Statale 11, 2010), “Storia d’amore” (Aletti editore, 2012), “Ricordi di poesie” (Rupe Mutevole Edizioni, 2013), “Cielo” (Rupe Mutevole Edizioni, 2014) sia brevissimi saggi come “Il mito della semplicità”, “In cammino”, “Dalla grotta al tempio”, “In viaggio per incontrare Gesù”.

La raccolta è dedicata al cuore dello stesso autore, ogni verso nasce dal profondo amore verso le persone care: ai genitori (al padre, l’uomo del silenzio; alla madre, la donna della vita), ai pochi e veri amici che una persona conta sulle dita della mano, ad una relazione con una donna del passato, alla nonna Vincenza scomparsa molti anni fa, alla lettura dei Vangeli che sin da giovane hanno popolato la sua mente, agli animali che rendono la vita meno solitaria.

Il versificare è semplice, le parole sono immediate. Percorrono immagini care a Rosario e che si dipanano tra ricordi e presente in una continua esortazione all’amore.

“Quante volte mi ritrovo con il cuore affranto,/ con le lacrime che disegnano curve sul viso./ Quante volte mi ritrovo in un angolo del mondo,/ a rileggere lo stesso libro/ che racconta la mia vita/ tra poche gioie e tanti dolori./ Quante volte mi ritrovo sotto questo cielo,/ a guardare le stelle/ sperando ancora di poter colorare i sogni./ […]” “Dedicata a tutti i cani che ci fanno compagnia”

Rosario rilegge il suo libro chiamato vita, come tanti esseri umani vive una solitudine portata da quello che stiamo chiamando “progresso” ma che sempre più si rivela “regresso”.

La famiglia non ha più quel potere di collante sociale, il figlio è chiamato all’imperante isolamento nella quale tutti possiamo accedere al social network che ha avuto la pretesa di avvicinare le persone ma che ci ha resi schiavi delle mura di una casa e di un dispositivo che presenta una facciata, la misera ombra di noi stessi.

Rosario, con le lacrime che curvano il viso, si ritrova a guardare il cielo e quelle stelle che sin da bambino ascoltavano i suoi malumori e le sue gioie.

E se tutto intorno diventa estraneo, e se l’empatia verso l’altro dimostra di non trovar appiglio, l’autore ritrova la fiducia nella vita in un animale, nel sguardo complice di un cagnolino che si avvicina e che senza bisogno di parole, senza doni o serenate rammenta la semplicità dell’emozione.



“Che vanto nei hai fante/ A vincere tutte le battaglie/ Se non tocchi il cuore/ Della tua regina?/ […]” “Fante innamorato”

Written by Alessia Mocci

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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/11/21/al-tuo-cuore-con-la-poesia-di-rosario-tomarchio-alla-famiglia-ed-alle-persone-care/


Intervista di Alessia Mocci a Claudio Alvigini: vi presentiamo Il Capitano di Bastur


Una sfumata memoria sembrava, infatti, smentire quella certezza. Ombra sottile essa accennava ad una qualche familiarità con quel luogo che lui, fino ad un attimo prima, avrebbe giurato non esistere. “Il Capitano di Bastur”

“Il Capitano di Bastur” edito nel 2018 dalla casa editrice Macabor Editore nella collana “Il mondo di Morel” è l’ultima pubblicazione di Claudio Alvigini.

L’autore è nato in Svizzera e ha vissuto a Palermo, Pozzuoli e Roma. Giovanissimo ha iniziato la sua carriera aeronautica come pilota civile dell’Alitalia, per svariati anni è stato comandante di Boeing 747. Sin dalla sua adolescenza trascorsa in Sicilia si è cimentato con le prime prove letterarie, attività ininterrotta che ha visto i suoi primi frutti nel 1997 con il saggio “L’inconcepibile esercizio” edito nella rivista di psicoterapia e psichiatria “Il sogno della farfalla”.

È datata 1998 la sua prima silloge poetica con Nuove Edizioni Romane “Visita in città”, segue nel 2002 “La casa sol terrazzo” per Edizioni La camera verde, nel 2005 “Ulàn Batòr” per Edizioni Helicon, nel 2007 “Trafficante di colori” per Edizioni LietoColle, nel 2012 “Il principio di non contraddizione” per Manni Editore. Ha vinto numerosi premi letterari. 


A.M.: Salve Claudio, ti ringrazio per aver accettato questa intervista che verterà sul tuo romanzo “Il Capitano di Bastur” edito da Macabor Editore. Ma prima mi piacerebbe che ti presentassi ai lettori raccontando qualcosa di te, una delle domande che mi vengono in mente è: i romanzi e le poesie che hai pubblicato dal 1998 sono il frutto dell’esser stato per tanti anni sopra le nuvole?

Claudio Alvigini: Cara Alessia, ho volato così tanto che sostenere che questa lunga frequentazione di “uno spazio più alto” non abbia influenzato la mia scrittura sarebbe assurdo. Quelle insolite visioni, quell’assenza di ostacoli allo sguardo, quegli spazi senza fine, quelle “nuvole maestose e deliranti” come dico in una poesia, mi sono, poco alla volta, entrati dentro, nel profondo. In altre parole abitano in me. Poi, quando scrivo, a quel fondo cerco di attingere e può allora accadere che quelle vaghe immagini affiorino in superfice e, se riesco ad afferrarne qualcuna prima che svanisca, si fermino sul foglio. Mi chiedevi qualcosa di me, potrei dirti che una delle mie grandi passioni è stato il calcio e che a Palermo, dove ho frequentato la terza media all’Alberigo Gentili e il liceo scientifico “Stanislao Cannizzaro” e dove ho scritto le mie prime cose, giocavo nella mitica Bacigalupo, anzi, per la precisione, nell’Athletic club Bacigalupo. Erano anni quelli in cui, per noi ragazzi e come diceva benissimo Luciano Bianciardi, il calcio rappresentava un bene assoluto. Se allora tu mi avessi chiesto quel’era la mia più grande aspirazione, il mio sogno, ti avrei risposto senza esitazioni che era giocare un giorno nel Palermo, calpestare l’erba della “Favorita”, come io continuo a chiamare quello stadio. Poi la vita andò diversamente e mi trovai a… portare aeroplani. Appartengo a quella generazione di piloti che erano anche un po’ artigiani, che “lavoravano” l’aereo, perché, come dicevano certi vecchi comandanti, l’aereo si porta con il… culo. La frase un po’ spiazzante va intesa letteralmente. Spiego subito: intendevano dire che bisogna ascoltare le proprie sensazioni fisiche e se, stando seduti al posto di pilotaggio si avverte anche un vago disagio fisico, bisogna fidarsi della sensazione, qualcosa non va… Poi vinse il computer e il pilota perse il corpo… ma questo è un altro discorso… Ed è stata una grande passione il volo. Contrariamente all’immaginario e agli stereotipi e rischiando di deludere qualcuno, una passione un po’ solitaria e a volte, un po’ dolorosa. Ma qui parlo per me, a titolo personale. Perché vedi, penso che ciò che vivi, la contraddizione assurda tra la tua normale vita d’uomo e la grandiosità dello scenario in cui all’improvviso sei catapultato e dentro il quale il tuo lavoro si svolge è talmente esagerata da rendere difficile il racconto, la condivisione. Dolorosa perché poi si soffre un po’ per non saper raccontare e quel vissuto, allora, si preferisce tenerlo per sé. Forse, appunto, soffrendo un po’… Ma io “volevo” raccontare. E ci ho provato. Ci ho provato con alcune poesie ma, soprattutto, con uno dei lavori cui sono più affezionato, “L’inconcepibile esercizio” che è anche il mio esordio come lavoro pubblicato, tra l’altro su una raffinata rivista di psichiatria e psicoterapia, “Il sogno della farfalla”. Un saggio/racconto in cui indago il rapporto dell’uomo con il volo anche da un punto di vista storico. Esso rappresentava e rappresenta, al di là degli anni passati dalla pubblicazione, la summa delle riflessioni fatte in tanti anni di attività. Ho volato su molti tipi di aeroplani e ho molto amato l’ultimo grande aeroplano dell’era diciamo così analogica, il mitico Boeing 747, il “Jumbo”, nobile quadrimotore e splendido aeroplano su cui ho trascorso indimenticabili anni in giro per il mondo. Una mia poesia, “Titano” (tutti gli aeroplani, sai, hanno un nome) inizia così: “Titano, gigante assai paziente, aveva quattro cuori che battevano forte…”. Ma più del calcio e della scrittura ho amato le donne della mia vita. Da esse ho preso tutto.


A.M.: “Il Capitano di Bastur” è dedicato ad una grande personalità italiana: lo psichiatra e psicoterapeuta Massimo Fagioli (Monte Giberto, 1931 ‒ Roma, 2017) conosciuto per la sua teoria della nascita e gli studi sulle origini delle patologie mentali nonché per l’essersi più volte distaccato dal metodo freudiano. Hai personalmente conosciuto Fagioli o sei un suo lettore?

Claudio Alvigini: Il Capitano di Bastur è dedicato a Massimo Fagioli, certo. Come dici tu, e come adesso sempre da più parti si riconosce, grande personalità italiana. È ancora poco, Alessia, molto poco per quello che quest’uomo geniale ha fatto e scritto, troppo poco. Ma lui per primo ci ha insegnato che bisogna aspettare, saper aspettare. Ho il privilegio grande di aver conosciuto e frequentato questo moderno Giordano Bruno, questo rivoluzionario del pensiero. Ho partecipato, infatti, assieme a tantissime altre persone, a quella che è conosciuta come Analisi collettiva. L’esperienza fondamentale della mia vita e dunque del mio pensiero, quella che di esso ha segnato il cammino e lo sviluppo. Il debito di riconoscenza nei confronti di questa storica ed irripetibile esperienza, nei confronti di quest’uomo formidabile che si è battuto tutta la vita perché l’immagine femminile trovasse il suo riscatto, è tale che questa dedica e questo mio piccolo libro sono davvero poca cosa, un granello di sabbia, una goccia d’acqua in cambio dell’oceano di umanità, di cura, di ricerca e di formazione ricevuto. La Teoria della nascita cui tu, con molta puntualità accenni, mi ha spinto oltre me stesso, oltre i miei limiti, oltre quello che sarei stato o diventato senza di essa, mi ha “costretto” alla fantasia di inventarmi un me stesso “nuovo” per reggere la sfida e andare avanti. La fantasia e il coraggio che ognuno può trovare se davvero vuole cambiare la propria vita, superarsi. È stato un grande mare Alessia, un mare in cui è stato assai dolce e bello naufragare. Sai, sognavo da una vita di scrivere un romanzo così e se ti dico che mi è costato un’enorme fatica e sei e sette anni di lavoro puoi capire quanto ad esso sia legato. Certo… mi sarebbe piaciuto che lui lo leggesse… la dedica sarebbe stata la stessa… ma le cose sono andate diversamente…


A.M.: Nel primo capitolo troviamo il vecchio Maestro Cardelio furente con l’allievo Basin perché non ha rispettato le regole del Lavoro d’Eleganza. Leggiamo infatti: “Devi essere specchio, specchio negli occhi, certo, ma poi, e questo lo sai benissimo, devi essere specchio nella mano!”. È molto interessante il concetto di specularità tra occhio e mano. Ti sei ispirato ad un filosofo od un poeta nel formularlo?

Claudio Alvigini: Dopo la risposta che ti ho appena dato, è assai facile capire a chi o a cosa mi sia ispirato e da chi abbia tratto alcune frasi che trovi in questa stessa intervista. E rispondo così alla tua terza domanda... Vedi, è che Cardelio, il vecchio maestro, spinge Basin, e ogni suo allievo, ad essere come lui, spinge all’identificazione. Un’identificazione talmente assoluta, totale e paralizzante da essere “specchio” dell’altro, specchio negli occhi, dice infatti Cardelio, ma poi, addirittura Specchio nella mano il cui movimento, è consustanziale al segno da riprodurre affinché la ripetizione non si distingua da ciò che ripete. E l’uno diventi specchio dell’altro, indistinguibile da lui… E qui, insieme alle fonti teoriche c’è l’immaginazione di chi scrive; immaginazione che, in letteratura, può e deve tendere la corda della fantasia al suo limite estremo, con il rischio, sempre presente e di cui va tenuto conto, che essa si spezzi e cada frantumata al suolo. Scrivere, scrivere in un certo modo, dico, è un mestiere … pericoloso che… “richiede indubbiamente coraggio…” (tra virgolette una frase da “Istinto di morte e conoscenza” di Fagioli). Spero che al “Capitano” il coraggio non sia mancato e nemmeno la fantasia che nel suo torcersi e tendersi spasmodicamente, sia arrivata al suo limite estremo e magari anche un po’ oltre, ma senza mai spezzarsi. Spero che chi leggerà il libro si appassioni, si commuova, ami la storia che legge o anche la odi e la disprezzi e butti via il libro, tutto purché non gli risulti indifferente scivolando via sulla superficie della sua attenzione come fa l’acqua sul dorso dell’oca. Il fatto è, Alessia, che se vince Maestro Cardelio e quelli come lui, se vince il vuoto degli affetti, il nulla, l’uomo si ammala e la sua azione si ferma, la sua vita stessa si ferma, si ferma la sua curiosità o meglio ancora, la sua ansia di conoscenza. E se invece l’uomo vuole vivere, se sperimenta la tristezza infinita di amare così tanto la vita… deve tentare di sviluppare le sue possibilità, tutte le sue possibilità, deve cercare se stesso, essere se stesso. È questo il fiume sotterraneo che corre lungo tutto il romanzo, la lotta silenziosa che si svolge tra i vari personaggi...


A.M.: Il Capitano di Bastur appare sin dal secondo capitolo come nome proibito da pronunciare ma che durante le notti attorno al fuoco si poteva udire da alcuni enigmatici vecchi del paese. Ma la vera protagonista di questa prima parte del romanzo è la curiosità di Basin. Ritieni che la curiosità sia una dote innata fornita ad un essere umano piuttosto che ad un altro?

Claudio Alvigini: La curiosità, dici, domina la parte iniziale del libro. È vero, anche se il termine meriterebbe una riflessione e una distinzione. Esso può valere in senso buono infatti e cioè esprimere amore di conoscenza oppure esprimere semplice indiscrezione, ozioso interesse. La curiosità è femmina si dice; e non certo per fare un complimento alle donne, anzi… Dunque sì, quella di Basin e dei ragazzini suoi coetanei è curiosità nella sua accezione migliore, accresciuta dalla paura per il luogo esecrabile e proibitissimo, l’osteria in cui si riuniscono quei misteriosi e assai gagliardi vecchi. Ma mi chiedi anche se ritengo che questo “atteggiamento” nei confronti della vita sia caratteristica originaria umana o meno. Credo di sì, penso che nasciamo con una naturale tendenza alla conoscenza. È un classico il “e perché?” continuo dei bambini. Ci sarebbe da chiedersi semmai perché sembri un destino quasi altrettanto universale e ineluttabile la fine di questa ansia di sapere. E perché in alcuni, invece, permanga. È la storia antica, eterna della perdita dei sogni quando si cresce, si diventa grandi. Bisogna affrontare la realtà! Altro che sogni, altro che ideali! Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere? Penso in fondo che tutto il romanzo sia un inno alla curiosità intesa nel suo significato più nobile.


A.M.: Consideriamo per un istante che sia possibile entrare nel romanzo e render vivo un personaggio: a chi daresti respiro in “Il Capitano di Bastur?

Claudio Alvigini: Forse a una figura che è solo appena accennata, la contadina-lavandaia dagli occhi grandi e scuri che “traffica” un mattino di primavera con il grande, taciturno e schivo Tagivaro. Traffico da cui nascerà Lasapo, attore non secondario del nostro racconto. Sta in riva al fiume questa donna senza nome quando Tagivaro l’incontra, inginocchiata, intenta al ritmato movimento di bagnare e ritirare i panni dall’acqua limpida che salta tra i sassi; onda del mare che viene e che va, malia sinuosa alla quale anche il pur serissimo e schivo Tagivaro soccomberà. È donna donna, femmina vera, splendida nella sua spontaneità e sincerità; del corpo ancor prima che del sentimento o del pensiero. È l’opposto, l’assolutamente diverso da Tagivaro, per lui l’attrazione irresistibile di un’origine perduta… Vive poco nella storia, anche se, ma qui lascio la ricerca alla curiosità del lettore, forse riappare sotto mutate spoglie…


A.M.: Come ti trovi con la casa editrice Macabor Editore? La consiglieresti?

Claudio Alvigini: Questa tua domanda mi permette non solo una risposta sincera, ma anche l’esercizio di un debito di riconoscenza maturato con la Macabor di Bonifacio Vincenzi. Nella vita qualche volta, a forza di provare (sapessi quanti no ha ricevuto il “Capitano”!) credendo con un pizzico di paranoia nel proprio lavoro, può accadere di fare l’incontro giusto. E io ho fatto l’incontro giusto. O forse lo abbiamo fatto entrambi. Pochi giorni fa, chiacchierando con Bonifacio dicevamo che forse eravamo entrambi in attesa. Lui di un libro come il mio, io di un editore come lui. Figura straordinaria e in via d’estinzione di quello che si chiamava un tempo editore puro, con l’aggiunta (o l’aggravante) di essere anche lui un valentissimo scrittore e poeta, Bonifacio Vincenzi mi ha del tutto sorpreso, commosso, conquistato. Da sempre più attento al valore, alla qualità dei rapporti umani (che antepongo a tutto) che ad altre cose, ho “sentito” che il mio Capitano era nelle mani giuste, aveva trovato la sua casa. Credo che in Bonifacio, mascherata da toni sinceri e diretti, semplici e umani, immersa in una sterminata cultura letteraria, risieda un amore per la buonissima letteratura così sincero e profondo da spingerlo a una generosità sorprendente. Generosità che arriva al punto (del tutto inconcepibile per uno scrittore) di trascurare il suo stesso libro appena uscito (un magnifico romanzo, “Il raduno” per le edizioni della romana Ensemble) e battersi con tutte le sue forze per le sorti del Capitano! Senza esagerazioni, Alessia, ho il privilegio di intrattenere con lui il rapporto che ogni autore sogna di avere con il proprio editore. Dunque certo che consiglio la Macabor cui auguro di intraprendere, magari proprio con “Il Capitano di Bastur” quella strada di crescita e di successo che ampiamente merita.


A.M.: Hai in programma presentazioni del tuo libro?

Claudio Alvigini: Sì, certo, alcune date sono stabilite per altre mancano i dettagli finali. Ho esordito in Calabria, a Trebisacce, il 16 novembre alle 18.00 nella sede dell’associazione Passaggi in via Manzoni, ospite della squisita Caterina De Nardi di quell’associazione presidentessa. Ha presenziato, e lo ringrazio, il sindaco Franco Mundo insieme all’editore Bonifacio Vincenzi. Uno scrittore e critico come Gianni Mazzei mi ha onorato di un suo intervento critico sul “Capitano”. Dal 14 al 16 dicembre avrò tre importanti appuntamenti a Palermo: sotto l’egida e lo spassionato interessamento di un amante e finissimo intenditore di letteratura come Massimiliano Manfredi sarò il 14 alla Libreria Macaione Spazio Cultura con la prestigiosa presentazione dello scrittore e storico Pasquale Hamel. Il 15 avrò l’onore di essere accolto, grazie alla generosità di Domitilla Alessi, nella sua raffinata e prestigiosa “Novecento” che ha ospitato grandissimi come Borges e Calvino, il quale definì Novecento “la più bella libreria d’Italia”. Il tour palermitano si concluderà il 16 al famoso circolo “Lauria”. Il 5 gennaio, finalmente, a Roma presso la libreria IBS di via Nazionale, con una presentazione di prestigio del “Capitano” da parte del noto psichiatra romano Martino Riggio, un appuntamento cui tengo moltissimo. Sarò poi a Pisa in una data da stabilire che ti comunicherò appena possibile e penso di chiudere a Padova, il 15 gennaio alle 18.30, presso la elegante ed accogliente libreria “La forma del libro” con un’altra prestigiosa figura che mi farà l’onore di parlare del “Capitano”, Lucia Gaddo Zanovello, splendida poetessa e scrittrice. Anche se la conclusione di questa prima tornata di presentazioni si dovrebbe concludere a Lisbona, con una presentazione presso l’Istituto Italiano di Cultura assai ben diretto da Luisa Violo. Ecco, vedi Alessia, una cosa che molto mi conforta e mi fa bene e mi commuove è l’adesione pressoché immediata, sentita e spontanea di questi grandi intellettuali e letterati, che non conoscevo se non di fama, una volta letto “Il Capitano”, a dichiararsi non solo disponibili a presentarlo, ma anche felici di farlo.


A.M.: C’è sempre un nuovo libro nel cassetto…

Claudio Alvigini: Il Capitano mi è costato così tanto che adesso, arrivati finalmente alla pubblicazione, mi sento come svuotato, capace solo di battermi con tutte le mie possibilità e forze per promuoverlo e farlo conoscere. C’è una spremuta di vita in questo libro, ho dato ad esso così tanto che ci vorrà un po’ di tempo per riprendere le forze… Forse non così lontano vedo semmai un ritorno alla poesia; più in là vedremo. Ma sai queste cose valgono fino a un certo punto perché io non ho mai programmato niente, quindi anche quello che ho appena detto potrebbe essere smentito domani. La scrittura, in fondo, mi ha sempre sorpreso, è sempre venuta lei quando e come voleva, e quando io magari, non me lo aspettavo proprio. Quindi, mai dire mai, e chissà che...


A.M.: Salutaci con una citazione…

Claudio Alvigini: Prima della citazione permettimi di congratularmi per il livello delle tue domande che denotano sensibilità profonda, amore per la letteratura e grande e attenzione, oltre, naturalmente, a grande professionalità. Ne sono rimasto assai colpito. La citazione, a questo punto, non può che essere fagioliana. Mi piace perché esprime una profonda verità attraverso un’apparente contraddizione, quasi un ossimoro: “La libertà è l’obbligo assoluto di essere esseri umani”. Grato della tua attenzione, ti mando un abbraccio.


A.M.: Claudio sei molto gentile e ti ringrazio per le tue sentite parole. La nostra intervista, le mie “curiosità” sono nate grazie alla tua interessante opera “Il Capitano di Bastur”, dunque è nella stessa che individuo il motore di questa piacevole chiacchierata. Ti saluto con una piccola sorpresa… ho avuto la possibilità di dare uno sguardo ad “Il principio di non contraddizione” (Manni editori, 2012 con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti) trovandolo intrigante e di riflessiva memoria: “Quando il sasso/ buttato dentro l’acqua/ planando placido sul fondo/ avrà spento/ i cerchi in superficie,/ tutto ritornerà/ com’era prima.// Nessuno saprà mai/ di quel momento.// L’acqua sarà/ com’era sempre stata,/ la superficie del tempo/ scorre di nuovo liscia/ senza nessun avvenimento/ ad incresparla.// […] “Il tempo”


Written by Alessia Mocci



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http://oubliettemagazine.com/2018/11/15/intervista-di-alessia-mocci-a-claudio-alvigini-vi-presentiamo-il-capitano-di-bastur/

Intervista di Alessia Mocci ad Angelo Lamberti: vi presentiamo Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze



[…] E non ho tempo di guardare se fuori/ è rimasta la comicità della luna/ o la crudeltà dell’alba.” ‒ “La casa dell’infanzia”


“Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze” edito nel 2010 dalla casa editrice Negretto Editore è una silloge poetica di Angelo Lamberti. L’autore nato nel 1942 a Castel d’Ario, in provincia di Mantova, vanta un ricco curriculum di pubblicazioni tra poesia e teatro.

Ricordiamo brevemente ‒ per non tediare il lettore in un elenco troppo vasto ‒ la prima raccolta poetica del 1994 con la casa editrice Trito e Ritrito “Colpevoli d’innocenza” e l’ultima nel 2018 con Ace International “La morte non esiste”; in campo teatrale sono varie le collaborazioni con registi quali Mattia Giorgetti, Nanni Fabbri, Buno Garilli, Maria Grazia Bettini, Luigi Tani, Pino Manzari, Gherardo Coltri, Ruggero Jacobbi e le rappresentazioni a New York, Lugano, Mantova, Milano, Roma, Verona.

“Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze” è suddiviso in quattro parti, la prima denominata “Scene di vita da un cimitero” presenta le date 1942-1958; la seconda “Alfredo, non fu possibile diversamente” vede come determinazione gli anni che vanno dal 1980 al 1988; la terza “Lea, il malessere dell’attesa” va dal 1995 al 2007; infine la quarta “Parole di sesamo” che chiude la raccolta con un pugno di versi che mettono in luce ciò che si è seminato nelle precedenti parti.

La raccolta di cui parleremo in questa intervista è risultata vincitrice nel 2011 al Premio “Garcia Lorca” di Torino.


A.M.: Angelo ti ringrazio per aver accettato questa intervista. Vorrei partire da una domanda che forse ti avranno già rivolto ma a cui non posso fare a meno: “Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze”, perché un titolo così particolare?

Angelo Lamberti: Colgo l’occasione di questa intervista per dire che il libro è uscito soprattutto per le insistenze di Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale, per convincermi alla pubblicazione, mi ha sedotto con il dono della sua preziosa prefazione. Nella prefazione Bàrberi Squarotti svela il mistero del titolo, che mi è stato ispirato dalla didascalia di un’immagine calcistica, più precisamente di un derby milanese disputato nei primi anni cinquanta. Infatti, il “Pompiere” è l’ex centravanti del Milan Gunnar Nordhal; il “Kamikaze” è l’ex portiere dell’Inter Giorgio Ghezzi. Il ricordo della succitata didascalia, lo devo alle letture (quand’ero bambino) del quotidiano socialista “l’Avanti”, a casa di mio nonno. Il cosiddetto mistero è poeticamente svelato a pagina 40 del volume. Nelle sezioni che compongono la silloge, può esserci per il lettore, il mistero di un altro titolo, aggravato perdipiù, (per colpa mia), da un refuso. Si tratta del titolo assegnato a una sezione: “unciduncitrinciquariquarinci”, che altri non è che un conteggio giocoso e progressivo, (uno-due-tre-quattro-cinque...), armoniosa-mente deformato a scioglilingua-filastrocca, e adottato da noi bambini a mo’ di conta, per l’assegnazione dei ruoli nei giochi di gruppo.


A.M.: La tua silloge presenta numerosi cenni autobiografici di forte rilievo come la nascita durante la guerra in una stanza del cimitero o come il ritorno di un padre lontano. Perché l’uomo attraverso l’arte sente l’esigenza di raccontare la sua vita?

Angelo Lamberti: Forse per la conferma e la conseguente sublimazione di un tempo vissuto. Fors’anche per una romantica (e/o poetica) forma di risarcimento spirituale.


A.M.: Nella lirica “La casa dell’infanzia” scrivi: “[...] Mi aspetta un lavoro di raspa e di lima/ora che sciolgo il nodo della memoria/e come al suo vizio il baro/mi corro incontro a ritroso// [...]”. Ed ancora nella lirica “Asilo di Castel d’Ario”: “[...] e la memoria non ha più pagine/per rintracciare intrecci/ormai privi di trama// [...]”.

Angelo Lamberti: Quando accade che l’essere umano – il poeta – incorre nella necessità di intraprendere un viaggio nel suo passato? Non so se e quando l’uomo – il poeta - senta esattamente questa necessità. Per quanto mi riguarda, penso di averla sempre avuta; in ragione anche di un’infanzia (la mia) segnata da episodi ed eventi indelebilmente impressionabili.


A.M.: Ne “Il pompiere salta cavallerescamente il kamikaze”, la figura di tuo padre è quella che compare maggiormente, dalla sua lontananza al suo ritorno, dalla sua attività di barbiere alla sua morte, dal vestito della domenica che diviene l’abito funerario, alle continue domande sulla vita di un uomo dipinto: “[...] come premeditato riflesso/ d’universo://ogni volta diverso.”

Angelo Lamberti: Parlare di mio padre me lo impone l’umana valutazione di un rapporto (il nostro) caratterizzato da scambi, che hanno avuto momenti intensi quanto fortemente aspri e contradditori; all’inizio certamente più bui che luminosi. Nella raccolta, già dall’inizio ho cercato di dare una traccia del clima che si respirava nella realtà famigliare, con il capitolo introduttivo dal titolo: “Risaie e rasoi” (pagina 17). È stato un rapporto condizionato e difficile, a volte con esiti contrari ai nostri reali sentimenti e alla nostra volontà  (“Non fu possibile diversamente” – pagina 25). Con mia madre il rapporto è stato più dolce e comprensivo. Della raccolta mi limito qui a segnalare una poesia: “L’acqua nell’acqua”, (pagina 67), che, senza dilungarmi in pleonastiche spiegazioni, (esplicitarla negli anfratti delle sue ragioni, mi occuperebbe diverse pagine), vuole essere la dichiarata speranza che ci sia un domani, in un altrove, (altrimenti il vivere sarebbe inutile), in cui io la possa rivedere e riabbracciare, come quaggiù la nuvola di pioggia diventa un tutt’uno con l’acqua del fiume...


A.M.: La Solitudine. Un dono e una dannazione.
Angelo Lamberti: Più che un dono e/o una dannazione, la solitudine è una condizione. Vedasi: Gesù Cristo: “Elì, Elì, lemà sabactani?”; Salvatore Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuor della terra...”;  Leo Longanesi: “Sono talmente solo, che lo specchio non mi riflette più.” Il poeta: laureato/e non/malinconico/solingo/depresso/, paradossalmente può finanche ringraziare la dannata Solitudine, per avergli ispirato ed elargito, il dono di versi divini. Da parte mia, credo che la solitudine, unita alla vecchiaia, sia la miglior preparazione per la conoscenza della Morte. (Dico questo anche in ragione degli anni che ho trascorso in un cimitero, (sedici, in un periodo, che va dalla nascita all’adolescenza), che mi induce a ritenere d’essere, (seppur da teorico dilettante), un esperto in materia).


A.M.: Eugenio Montale in un’intervista del 1959 sostiene che i poeti sono i lettori dei poeti, e che non c’è un vero e proprio mondo di lettori di poesia. Pensi che Montale avesse ragione?

Angelo Lamberti: Montale aveva ragione. Del resto lui stesso ha ammesso che quando doveva dichiarare verbalmente o apporlo per iscritto sui dei documenti, qual era la sua effettiva professione, preferiva adottare quella generica di Giornalista. Quello della poesia è un mondo frequentato da soggetti che formano, loro malgrado, un circolo chiuso di emarginati (vedi l’albatro dalla “Ballata di un marinaio” di Coleridge). Anche se (umoristicamente quanto giustamente) Gesualdo Bufalino dice che: “Tutti al mondo sono poeti, persino i poeti.” In concreto c’è da dire che viviamo in un’epoca in cui le case editrici privilegiano, (prevalentemente), quegli scrittori che assicurano loro un vantaggio economico. Ecco quindi spuntare e crescere come funghi, cultori della remunerativa forma cosiddetta  del: noir, giallo, suspense, thrilling... Fermo restando che la forma di scrittura più difficile e poco redditizia, rimane per me quella teatrale. Del resto il più grande scrittore di tutti i tempi (Shakespeare) è diventato Shakespeare scrivendo per il teatro; forma oggigiorno mal-considerata dagli Editori.


A.M.: Ogni poeta ha un fanciullesco riferimento, mi piace denominarlo “un padre di poesia”. Quali sono i versi che ti hanno amorevolmente seguito nel corso della tua giovinezza?

Angelo Lamberti: L’albero a cui tendevi/ la pargoletta mano...” Successivamente ho amato un numero sterminato di poesie partorite, tra gli altri, da: Leopardi, Baudelaire, Dickinson, Rimbaud, Kavafis, Ungaretti, Montale, Corazzini, Borges, Landolfi, Caproni, Campana, Bufalino, Neri Pontiggia, Cappi, Malagò, etc... Per la mia formazione poetica, un “grazie” cordiale, devoto e senza confine lo devo riconoscere ed elargire a Franz Kafka e a Umberto Bellintani (il quale mi considerava: “un figlio spirituale”). Umberto Bellintani lo vorrei inoltre ricordare per una sua caustica affermazione: “Le poesie vanno lette nel silenzio più assoluto, e nella più completa solitudine. Ecco perché ritengo che il luogo più congeniale sia il cesso.


A.M.: Come ti sei trovato con la casa editrice Negretto Editore? La consiglieresti?
Angelo Lamberti: Con Silvano Negretto c’è da sempre un rapporto di amicizia, di stima, e di affinità ideologiche, che si è graniticamente confermato e consolidato nel corso degli anni. Consiglio a trecentosessanta gradi la Casa Editrice Negretto, precisando però, (onde evitare malintesi), che il titolare (Silvano Negretto) non ha mai pubblicato (non ne sarebbe capace) da Imprenditore sensibile alle esigenze di un successo economico, ma soprattutto (sarebbe forse meglio dire unicamente) da Editore sensibile alle ragioni intellettuali ed ideologiche che può rintracciare e cogliere tra le parole scritte cui è sottoposto a valutare.


A.M.: Salutaci con una citazione...
Angelo Lamberti: “Il coito quale punizione della felicità di stare insieme.” ‒ Franz Kafka
“La morte non esiste.” ‒ Umberto Bellintani
“C’è chi crede che la rettitudine sia una disfunzione intestinale.” ‒ Giuliano Parenti
“Una testa può anche non servire, quando c’è un cappello.” ‒ Angelo Lamberti


A.M.: Angelo ti ringrazio per il tempo che hai concesso a questa intervista e ti saluto anche io con quattro autori provando a continuare la conversazione. Cito Henri Frederic Amiel “Tutte le colpe producono da sé la propria punizione.”; Arthur Schopenhauer “Non v'è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l'intervallo.”; Fedro “Sopporta che ti siano pari nella dignità quelli che sono inferiori a te per valore.”; ed infine Harold Pinter “È impressionante a quanta gente la propria testa serva unicamente quale supporto per i capelli e i cappelli.”.


Written by Alessia Mocci
Ufficio Stampa Negretto Editore


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Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/11/08/intervista-di-alessia-mocci-ad-angelo-lamberti-vi-presentiamo-il-pompiere-salta-cavallerescamente-il-kamikaze/