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Psicologia dell'alimentazione

Solitamente mangiare e bere sono alla base delle esigenze fisiologiche attraverso cui il nostro corpo richiede energia e nutrimento. Ma mangiare e bere corrispondono anche all’ appagamento di un desiderio, e ne consegue che al cibo si da un valore ben oltre il semplice sostentamento. Ovviamente non dimentichiamo che le cattive abitudini alimentari influenzano questo tipo di rapporto, e contribuisci a quel senso di appagamento che la nostra mente desidera e richiede. Il cibo diventa una vera e propria sostanza da cui dipendere psicologicamente quando è vissuto e/o percepito come valvola di sfogo, rifugio o addirittura analgesico contro le sofferenze vissute in una giornata, o situazioni di disagio, o stati emotivi che risultano difficili tollerare. Spesso il cibo non viene gustato, ma ingurgitato per riempire in fretta un opprimente senso di vuoto interiore, confondendo il senso di fame vero e proprio. Mangiare o meglio ingozzarsi di cibo, allora, può diventare, in mancanza di altre possibilità espressive, l’unica risposta valida a difficoltà affettive ed emotive. Il cibo può compensare un’affettività carente o non gratificante, può placare un ‘aggressività non esternata, attenuare momentaneamente stati di ansia o sintomi depressivi, consolare da delusioni, fallimenti o eventi traumatici (come lutti, separazioni…). Inoltre spesso la rabbia, la noia ed altre emozioni sono confuse con la fame. A questo poi ne consegue un aumento di peso, estremizzando fino a casi di obesità, che innesca a sua volta stati di frustrazione, sensi di colpa e fallimento sprofondando in un circolo vizioso senza fine. Ciò a cui si dovrebbe realmente tendere, è un’evoluzione più completa della persona, in direzione di un costante processo di cambiamento e di acquisizione di una nuova consapevolezza di sé e dei propri meccanismi inconsci di relazione con il cibo. Maggiori info su Psicologia dell'alimentazione - Centro Keiron